Tra i primi lavori di Regaliamoci Futuro ci sono le nuove docce, che saranno inaugurate mercoledì 24 novembre 2021 in occasione del 19° anniversario della Fondazione.
Il servizio docce, insieme al guardaroba, è tra i più utilizzati dalle persone che vivono in grande difficoltà. A causa della pandemia, però, il servizio è stato sospeso alla fine di febbraio 2020.
Per questo, all’interno del progetto di Regaliamoci Futuro le nuove docce sono state tra i primi interventi a essere realizzati e saranno inaugurate mercoledì 24 novembre 2021, in occasione del 19° anniversario della Fondazione.
Nella riorganizzazione dello spazio si è pensato anche alle nuove esigenze di sicurezza legate alla pandemia: le nuove docce sono ora collocate in una diversa ala della sede di via Brambilla. Qui hanno uno spazio più grande e un ingresso dedicato: verrà ripristinato infatti quello che era l’accesso principale dell’edificio scolastico che dal 2004 ospita la Casa della Carità.
Questo permetterà di evitare assembramenti e di proteggere la salute di tutti.
Nella stessa area, sarà inoltre creato un nuovo centro diurno polifunzionale, dove gli ospiti delle docce potranno ricominciare a partecipare ai laboratori artistici e alle attività di “Arredare l’attesa“ e dove gli anziani del Municipio 2 potranno tornare a ritrovarsi e trascorrere la giornata insieme.
Un servizio nato con la Casa
Il servizio Docce e Guardaroba è nato insieme alla Casa della Carità. A metterlo in piedi in quei primi anni di attività della Fondazione e a occuparsene per molti anni furono in particolare tre volontarie: Angiolina Fornari, Liliana Succi e Marta Medici Munari, oggi “in pensione”, che saranno presenti per il taglio del nastro delle nuove docce.
In via Brambilla la figura di Angiolina è quasi mitologica. Anche chi non l’ha conosciuta sa chi è, ha sentito parlare del suo carattere deciso e dei suoi modi diretti e sinceri e sa con quanto affetto e passione si è dedicata alle docce, tanto da arrivare ogni volta da sola con i mezzi pubblici da Carugate. E lo ha fatto fino agli ultimi tempi, quando aveva già superato gli 80 anni.
Racconta Angiolina: «Non so come sono arrivata alla Casa della Carità. Forse un colpo di fortuna o forse una sventura, non so. Comunque è stata una cosa bellissima e sono stata ben contenta di esserci. Non so dire se tutto ha funzionato sempre bene, ma per noi è andata molto bene. Sono stata soddisfatta del mio lavoro e del rapporto avuto con i miei ospiti e infatti li chiamavo “i miei” ospiti».
Ed è stata proprio lei a far avvicinare alla Casa anche Marta: «Con Angiolina facevo la volontaria alla Cena dell’Amicizia in piazza Leonardo. Poi un giorno mi ha presa per il braccio e mi ha detto di andare con lei alla Casa della Carità. E all’Angiolina non si può dire di no».
E aggiunge: «Non vedevo l’ora che arrivasse il martedì, per venire alla Casa e tenere fede a questo impegno. L’ho fatto con amore e con piacere. E anche quando, con l’età, i miei figli mi scoraggiavano dal venire, io finché ho potuto ho voluto esserci».
Racconta invece Liliana: «Mi sono avvicinata alla Casa della Carità 16/17 anni fa quando, dopo lo sgombero di un campo rom, erano arrivate in via Brambilla tantissime persone. Io, allora come oggi, vivevo dietro la Casa e quindi ho iniziato ad andare mattina e pomeriggio per dare una mano a gestire le docce. E in quel momento abbiamo iniziato anche il guardaroba. All’inizio non sapevamo bene come si “facesse” un guardaroba. Poi ci siamo organizzate sempre di più, fino ad arrivare ad avere tutti gli indumenti divisi per tipo e per taglia».
«Sono contenta di quello che ho fatto in questi anni e venire alla Casa mi manca molto. Mi mancano le altre volontarie, con cui siamo diventate amiche, e mi manca il contatto con gli ospiti, con i quali si creava una relazione perché ognuno poi ci raccontava la sua storia o qualcosa di sé», dice ancora.
Tanti gli episodi e le persone che sono rimasti impressi nella mente di Liliana. Ne ricorda in particolare due: «Un ragazzo russo arrivato insieme ad altri connazionali, che mi confessò di voler tornare in patria, ma non voleva farlo da “perdente”, come invece si sentiva in quel momento. E un ragazzo italiano, che dormiva vicino alla Martesana e che si era perso nella droga. A Milano non aveva parenti, ma con gli operatori si era riusciti a rintracciare la sorella che viveva in Sardegna. Lei lo aveva accolto, proprio poco tempo prima che lui morisse».
Docce: la storia di Andrei
Le persone seguite dai volontari e dagli operatori delle docce, alla Casa della Carità si sentono accolte, avvolte da gesti di amicizia.
Qui trovano una casa, senza giudizio, in una relazione di prossimità, dentro una dinamica affettiva e di cura che per noi è fondamentale.
Una di queste persone è Andrei, di cui Ciro Di Guida – il responsabile del servizio Docce e Guardaroba – racconta la storia.
La dedica a don Roberto Malgesini
Tra le persone che sono “transitate” da questo servizio nei primi anni di attività della Fondazione, c’è stato anche don Roberto Malgesini, il sacerdote ucciso a Como il 15 settembre 2020. E proprio a lui saranno intitolate le nuove docce della Casa.
«Don Roberto era un ragazzo gentile, delicato, attento, con una voce lieve quasi non volesse disturbare e con un volto da ragazzino ma con una presenza “efficace e concreta” come tutti gli uomini di montagna. La sua è stata una presenza garbata, ma decisamente efficace, capace di entrare in punta di piedi nella relazione con gli ospiti e anche con le volontarie», ricorda Fiorenzo De Molli, responsabile del Settore Ospitalità e Accoglienza.
Che aggiunge: «”Mi ha mandato il vescovo Diego Coletti, mi ha detto vai lì a vedere un po’, a fare esperienza. Ed eccomi qui”. Così si era presentato il primo giorno. Quasi non si vedeva, eppure la sua presenza la si sentiva. Libero di scegliere dove posizionarsi, si è collocato naturalmente alle docce dove ha servito gli ultimi degli ultimi».
«Dopo un anno, ci ha detto “sono pronto” ed è tornato in diocesi a “servire il Signore negli ultimi”. Siamo rimasti amici e ogni tanto ci si sentiva, soprattutto quando c’era qualcuno in difficoltà tra Milano e Como. L’ultima volta che ci siamo visti fu in occasione della massiccia presenza dei profughi a Como. L’abbiamo chiamato e subito è venuto a introdurci fra i profughi ammucchiati fuori dalla stazione in attesa di tentare il passaggio in Svizzera. Ne conosceva tantissimi, si capiva che si sentiva a casa», conclude l’operatore.