Acqua. 10 anni dal Referendum. Tre capitoli sulla mercificazione della vita – di Emilio Molinari
Vicepresidente dell’Associazione Laudato Si’, Emilio Molinari è tra i fondatori del movimento dell’acqua in Italia e ha contribuito fattivamente alla riuscita del referendum del 2011.
Premessa
Penso da tempo, e come me tanti altri, che il tempo debba dettare la politica. Il tempo sempre più breve. Quello che abbiamo a disposizione per cambiare prima che il Pianeta si liberi di noi. Il tempo, che si misura in decenni, non più con l’indeterminato termine del futuro: il sol dell’avvenire o il regno di Dio in terra.
La lezione ci arriva da chi di Dio se ne intende, Papa Francesco.
Difficile pensare alla politica del tempo breve. Ma chi pensava che i ghiacciai dell’Himalaya decollassero in meno di 50 anni, che la California potesse diventare un arido territorio dopo che intere generazioni l’hanno sognata come il paradiso terreste?
Chi pensava che tutto il mondo si sarebbe fermato per un virus? Nessuno.
Nessuno ha pensato e temuto un presente in cui la propria vita e quella di miliardi di persone fosse appesa al Chi offre di più per il vaccino salva vita? praticato dalle multinazionali del farmaco. Ora tutti lo vediamo e lo subiamo.
I vaccini, governati dai brevetti e dal WTO, sono diventati la politica, la corruzione politica, la lotta per salire sulla scialuppa di salvataggio, la nostra ansia e la nostra rabbia egoistica. Inaccessibili per miliardi di poveri senza copertura sanitaria. Attesi con ansia da ultraottantenni e malati con difese immunitarie ridotte dalle chemioterapie. La vergogna di vecchi in fila al pomeriggio davanti ai centri vaccinali per raccogliere gli “avanzi della giornata”, come i poveri alla chiusura dell’ortomercato raccolgono le cassette avanzate. Vaccini… pretesi dagli ordini di avvocati, degli psicologi e professionisti d’ogni tipo e per alcuni da garantire a chi è produttivo. Imboscati e contrabbandati, si spostano verso chi li paga di più.
Pensate all’acqua domani.
La politica muore di privatizzazioni (sanità, trasporti, ponti che crollano) e mentre i media alimentano le più disparate passioni e anche i più forti movimenti per i diritti civili restano spesso indifferenti, i vaccini diventano geopolitica delle multinazionali, guerra commerciale, armi di distruzione di massa.
Pensate ad Israele che esclude i palestinesi e Gaza dai vaccini e dall’acqua. La gente muore.
L’accesso ai vaccini salvavita, l’accesso all’acqua e ai servizi igienici e la CO2 nell’aria, sono la politica, la vita, il lavoro, l’economia per miliardi di persone e sono il tempo breve a disposizione delle coscienze.
Una percezione, colta per un momento dalla gente nel lontano 2011, che si è voluta perdere e che va ricostruita.
1° capitolo – A che Punto siamo con l’acqua
Il 2021 è il decennale del referendum sull’acqua pubblica ed è anche il ventennale del primo Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre.
Perciò ne parlo ancora, anche se di questi tempi parlare di acqua e di movimenti universali per i diritti umani alla vita, sembra una cosa da matti.
La legge di attuazione del referendum sull’acqua pubblica giace in parlamento da 10 anni ed è difficile trovare una simile violazione delle regole nel mondo democratico. Difficile è anche trovare una così ottusa determinazione privatistica, come quella che anima la politica italiana.
Eppure pensate: il nostro paese dalla metà degli anni ‘90 ha privatizzato il 50% delle reti idriche, ma ha ancora il 42% di perdite in rete ed è lontano dal livello di investimenti nel servizio idrico che aveva nel 1985.
E pensate ancora: il relatore dell’ONU Leo Heller ci parla di 311 situazioni nel mondo che, dalla gestione privata del servizio idrico, sono tornate a quella pubblica e che la gestione privata delle reti idriche ha escluso, con il costo delle tariffe, dall’accesso all’acqua molta parte del mondo, i poveri in particolare, e alimentato la corruzione politica ovunque.
Tutto ciò mentre il Rapporto delle Nazioni Unite sulle riserve di acqua dolce nel mondo, suona come un grido, che ci dovrebbe coinvolgere tutti: “Il nostro pianeta sta vivendo una crisi idrica senza precedenti. Un essere umano su 4 non ha accesso a fonti d’acqua sicure, più di un terzo della popolazione mondiale vive senza servizi igienici. 850 mila vittime all’anno solo per acqua sporca, 400 mila bambini, 1000 vittime al giorno. 3 miliardi non possono lavarsi le mani regolarmente, 700 milioni defecano all’aperto ed è una delle principali situazioni dove avvengono violenze sulle donne. Ben 17 paesi nel mondo rischiano di terminare completamente le proprie risorse idriche, in particolare quelle contenute nelle falde acquifere sotterranee. A questo ritmo, entro il 2030, si determineranno oltre 700 milioni di sfollati e rifugiati”.
Un grido ignorato.
E guardate al destino che l’Europa riserva all’acqua. L’UE partorisce direttive nelle quali l’acqua continua ad essere un bene economico. Cosa significa la parola “economico”, ce lo mostrano i brevetti e la gestione delle multinazionali dei vaccini anti-Covid. Nel termine economico, c’è un elemento culturale devastante, socialmente ed ecologicamente. C’è il senso epocale e criminale del paradigma della mercificazione dei beni fondamentali: più scarseggia un bene dal quale dipende la vita, più sale la disperazione umana, più sale il suo prezzo, più salgono i profitti e più le disuguaglianze.
Qui si misura la differenza tra bene economico e bene comune, una differenza che muove la politica al di là delle belle parole “green”.
La mercificazione va oltre la privatizzazione di un farmaco, di un servizio pubblico locale o l’aumento della tariffa. È il potere economico, nella sua essenza disumana, di dare o privare della vita, con un clic, con un algoritmo. Qualcosa che aggredisce in profondità la cultura dello stare assieme e lascia intravvedere una società nella quale si comincia a sentire il sapore del genocidio e dell’eugenetica.
E permettetemi la sincerità. La cultura ambientalista ufficiale delle grandi organizzazioni ambientaliste non ci aiuta (se ben ricordo, tra i Verdi solo Gianni Tamino, nessun dirigente di Legambiente e nel WWF solo il vecchio presidente Fulco Pratesi e sua moglie si impegnarono). La cultura ambientalista opera una rottura nel suo pensare alla “cura” della natura. Separa i contenuti ecologici da quelli economici e finisce con il dimenticare la mano “di Dio profitto”, che decreta l’esclusione dalla vita di milioni di persone.
Anche le grandi associazioni per i diritti umani operano una simile rottura: ignorano il diritto all’accesso ai beni fondamentali e guardano ai diritti individuali o separano l’affermazione di tali diritti da chi ne detiene la proprietà o la gestione. Da qui l’indifferenza sulla necessità di concretizzare la Risoluzione votata dall’ONU conquistata dal movimento nel 2010, che dichiarava l’acqua un diritto umano. La risoluzione ONU, come il referendum italiano, è rimasta perciò senza seguito e l’acqua è l’unica grande questione senza agenzie, protocolli e tribunali internazionali che ne sanciscano la violazione.
Bisogna ancora parlare di acqua e parlarne adesso, mettendo in fila avvenimenti noti e sui quali già il Forum dell’acqua sta raccogliendo numerose firme.
Wall Street 6 ottobre 2020. Chiedo a tutti di segnarsi questa data. Per la prima volta nella storia, la più grande piazza finanziaria del mondo, ha annunciato la creazione del primo “futures” dell’acqua. Per la precisione si quota l’acqua della California. La California, capite? Il sogno americano, l’orto dell’occidente, la patria della digitalizzazione, le libertà: gli LGBT e la metafora del disastro idrico. Incredibile. La California, sconvolta da siccità e da incendi devastanti, assetata, ha “consumato” i fiumi Sacramento e Colorado. A Los Angeles, una delle più grandi metropoli del mondo, dai rubinetti sgorga acqua depurata delle fogne, in un riciclo continuo (acqua green e industriale). Manca l’acqua in California ed è proprio lì che diventa un titolo derivato.
Che dire? Rubo le parole a Frederick Kaufman della City University di New York che sulla prestigiosa rivista Nature scrive: “Niente può essere più catastrofico che scommettere sull’acqua. […] Significa che ha un prezzo ovunque venga scambiata”. E vi aggiunge una sentenza che dovrebbe far riflettere le grandi associazioni ambientaliste: “Demenziali appaiono i discorsi di alcuni ambientalisti, per i quali, mettere un prezzo sull’acqua dolce, può essere la nostra migliore scommessa per salvare l’approvvigionamento del pianeta…”. Un altro avvenimento.
Il Brasile di Bolsonaro, come il Cile di Pinochet. Scrive Dalida Calisto del Coordinamento Nazionale del Movimento Dighe (MAP): “…con le recenti leggi (2020) del governo Bolsonaro il grande capitale si sta appropriando delle riserve naturali di acqua e del settore igienico-sanitario del nostro paese. Le aziende vogliono il diritto di proprietà esclusiva di fiumi e bacini idrografici… come successe in Cile con il golpe del 1973… In caso di siccità, la priorità dell’uso dell’acqua verrebbe data solo a coloro che la utilizzano con maggiore redditività”.
E non mancano gli epigoni in casa nostra. Piemonte 22 Ottobre 2020. La Regione mette a gara 67 grandi invasi per: “acquisire nuove entrate e sostenere la politica delle energie rinnovabili… (il 15% in più) …ci saranno investimenti da parte di chi subentra ovvero soggetti privati o misti pubblici-privati”. Capite? In ballo ci sono 500 grandi dighe. Miliardi di litri di acqua per produrre energia, rifornire i rubinetti, irrigare le compagne… da consegnare alle multiutility, alle multinazionali francesi e da quotare in borsa.
E adesso il Recovery Plan. Se nel nostro paese si ragiona attorno a quanto si agita attorno al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e al titolo: “Tutela del territorio e della risorsa idrica”, mentre i finanziamenti sono ben lontani dall’affrontare la riparazione delle reti e la costruzione di depuratori adeguati, temo di leggervi la “soluzione finale” per l’acqua pubblica. Un cappio. E saranno proprio i finanziamenti indirizzati verso le 4 multiutility – Acea, Iren, Hera, A2A – e alle multinazionali francesi Veolia e Suez già ben insediate nel nostro paese, in Sicilia e Calabria, gestori integrati dei vari servizi – acqua, energia, gas, rifiuti. Tutte SPA private al 49% e quotate in borsa. Tutte aziende/istituzione ed espressioni della nuova “governance”: il partenariato pubblico/privato con i suoi manager super pagati. Sono i soli soggetti gestori riconosciuti, in grado di attrarre investitori e garantire profitti. A loro viene destinata la “torta” dei servizi locali, da spartirsi e contendersi. A loro, la “missione” di intervenire nel Sud (sempre arretrato) non ancora “aziendalizzato e finanziarizzato”.
In sintesi:
- il SUD diventa, per le multiutility, la colonia interna, nel quale praticare water e land grabbing, acqua e terra da conquistare per il loro mercato: dei rubinetti e dei servizi sanitari, degli invasi, del cibo e della terra coltivata, e del territorio da destinare alla produzione elettrica con il fotovoltaico, le pale eoliche e l’elettrolisi dell’acqua;
- poi, 34 società in house dell’acqua, da far sparire, assorbire e privatizzare definitivamente (SPA con il 100% delle azioni in mano al Comune di Milano);
- gli acquedotti di natura pubblica, gestiti dai piccoli comuni (dove spesso stanno le sorgenti) dovranno essere eliminati, nel piano Colao sono addirittura definiti “realtà senza soggetto gestore”.
- Infine le SPA in house di Milano MM (Comune di Milano) e quella dell’area metropolitana milanese CAP (presidente dell’area metropolitana sempre il sindaco di Milano) si unificano e questo è un bene, ma rischiano sempre di essere isolate in un contesto che spinge verso l’ingresso dei privati e gli appetiti di A2A (della quale sempre il sindaco di Milano è uno degli azionisti di maggioranza);
- in Toscana si profila la volontà della Regione di sganciarsi da ACEA e SUEZ per dar vita ad una multiutility regionale (pubblica o privata?). E i comuni? La Toscana vuol correre autonomamente all’accesso ai finanziamenti del Recovery?
In realtà, c’è un agitarsi, ma non c’è nessun disegno nazionale di contrasto al dispiegarsi della mercificazione globale, è un agire affannoso locale.
Che Fare?
I Comuni sembrano impotenti e consegnano il proprio ruolo alle società per azioni. Sono spariti sulla politica dell’acqua e sono spariti nell’anno della pandemia, dimenticando persino che sono l’autorità sanitaria principale per i cittadini.
I sindaci dei grandi Comuni confondono sempre più il loro ruolo con quello dei manager delle aziende dei servizi… diventano con questi intercambiabili.
Da dove cominciare? Bisogna ricominciare dalla narrazione, dalla “predicazione” del significato profondo e universale dell’acqua; del suo essere Bene comune, minacciato dalla mercificazione; del diritto umano alla vita. In un mondo dove passioni e mobilitazioni sono dominati dai diritti dell’individualità, il diritto alla salute e all’acqua sono un ribaltamento della cultura democratica. È trovare il modo di comunicare di nuovo con la gente.
Poi ci sono obiettivi e campagne universali:
- pretendendo che venga concretizzata la risoluzione ONU dell’Acqua Diritto Umano, con un’Agenzia, un protocollo e un tribunale come l’Aia che ne sancisca le violazioni;
- chiedendo che il diritto all’acqua e ai vaccini salva vita sia inserito nelle Costituzioni del mondo.
- pretendendo che la legislazione europea sia ispirata dal principio dell’acqua bene comune e non economico. Fuori da ogni trattato commerciale e da quotazioni in borsa;
Penso che sul piano nazionale si debba:
- continuare con il richiamo al rispetto del referendum del 2011;
- contrastare il disegno delle 4 multiutility, scuotendo il torpore dei Comuni;
- garantire a tutti il diritto al minimo vitale di acqua gratuito e a carico della fiscalità generale. Da garantire ai campi rom e ai baraccati e ai morosi, eliminando il ricorso alla chiusura dei rubinetti.
- partecipare alla rete delle “città blu”, con i sindaci che sostengono l’acqua pubblica e ne pubblicizzano l’uso, invitano a non bere acqua minerale industriale e con relative bottiglie di plastica.
La condizione primaria è di ritrovare il rapporto con la gente, parlare a tutti, ovunque, nei quartieri, nelle scuole, nelle parrocchie, nei sindacati e ci pone il problema del linguaggio, della sua trasversalità e unitarietà.
2° Capitolo – La transizione ecologica
Ora c’è la “transizione ecologica” e, in Europa, 730 miliardi pubblici per realizzarla. Sarà una rivoluzione come quelle del carbone, del petrolio, dei semi della Monsanto e della chimica Bayer che hanno prodotto gli attuali progressi e disastri globali? È questa l’era della rivoluzione delle rinnovabili e dell’idrogeno? Cosa determinerà? Sarà un cambiamento reale? Sarà un cambiare per non cambiare nulla? Oppure sarà l’ennesima illusione che ci ritornerà indietro come boomerang?
Domande a cui è difficile rispondere. Dai combustibili fossili si deve uscire, questo è un obbligo. Vorrei solo non sostituire il sogno malato del ‘900 con un altro. Quando si parla di sviluppo delle rinnovabili e dell’idrogeno, vorrei che ci ponessimo la domanda: sono al riparo dalla mercificazione dei beni comuni fondamentali e dove ci porta? Da quali mani saranno governate queste fonti? Che ricadute su altri beni fondamentali come l’acqua e la terra avranno? Non entro nel merito dell’insieme del Recovery Plan. Cerco solo il filo, che chiamo della mercificazione della vita, che mi inquieta. È un filo che lo percorre nell’enfatizzazione e attraverso l’uso del termine rivoluzione. Per l’intreccio tra acqua, energia, terra, salute… e la concentrazione della proprietà e della gestione nelle anonime mani del mercato che trasformerà la democrazia stessa.
Rivoluzione verde, rivoluzione dell’idrogeno e delle rinnovabili, rivoluzione dell’agricoltura di precisione, rivoluzione della sanità di precisione.
Diffido. Diffido delle reali intenzioni di abbandonare i combustibili fossili. Tutto lascia intendere la volontà di continuare e sviluppare l’uso del gas, anche nella produzione di idrogeno, ma diffido anche di queste rivoluzioni di ENI – ENEL – SNAM – A2A e del ministro Cingolani, ecc. ecc.
Vorrei guardare ogni prospettiva con disincanto e criticità. Sono per le rinnovabili, sono per l’idrogeno. Sono per la riconversione della centrale di Civitavecchia, sono anche per il trenino della Val Camonica, ma: diffido delle soluzioni risolutive globali e diffido della tecnologia risolutrice.
Anche le soluzioni più giuste e nobili si ritorcono contro, se non si fa i conti con le mani che le posseggono e le governano.
Inoltre la pandemia, la crisi idrica, ci dicono una verità scomoda: non basta produrre in modo diverso. Produciamo troppo, consumiamo troppo, scartiamo troppo. La rivoluzione è questa.
La rivoluzione dell’idrogeno e delle rinnovabili.
L’idea che circola è che l’idrogeno potrebbe coprire quasi un quarto di tutta la domanda energetica in Italia entro il 2050: trasporto, treni, automobili, riscaldamento degli edifici, applicazioni industriali. Idrogeno blu da metano (in attesa di quello verde da “acqua”). Oltre il 90% dell’idrogeno prodotto attualmente deriva direttamente o indirettamente da processi che prevedono l’utilizzo di idrocarburi. Tutti dicono che l’idrogeno verde sarà quello risolutivo. Ma che c’è tempo, è solo sperimentale. Il ministro Cingolani ci parla di dieci anni e rilancia grandi investimenti per la fusione nucleare, probabilmente pensa sia questa l’energia per determinare l’elettrolisi dell’acqua.
Intanto si crea il mito:
- Teleborsa: “L’idrogeno sarà una priorità in Next Generation”
- Enea e Confindustria ENI, ENEL hanno siglato un accordo strategico per individuare lo sviluppo delle filiere dell’idrogeno nel nostro Paese.
- Green&Blue, la rivista di De Benedetti titola: “Idrogeno, l’oro del prossimo decennio è battaglia in Europa… l’Italia è in ritardo”
- ENEL: un progetto negli USA targato NextChem ed Enel Green Power per la produzione di idrogeno verde tramite elettrolisi dell’acqua.
- ENI: stiamo sviluppando progetti di produzione di idrogeno a partire da fonti rinnovabili attraverso l’elettrolisi dell’acqua (il cosiddetto idrogeno verde)
- Toyota: Mirai è arrivata l’automobile Mirai e segna l’inizio dell’era della mobilità alimentata a idrogeno a zero emissioni
- H₂ydroGEM, il generatore di calore a idrogeno Giacomini per uso domestico.
E poi c’è A2A. A2A, può essere eletta a simbolo di come le imprese multiutility si preparano alla transizione ecologica. Nel suo Piano Strategico si intravede tutto l’intreccio acqua-terra-energia: reti idriche, invasi per agricoltura, combustibili fossili, rinnovabili e consumo di territorio per fotovoltaico e eolico. A2A presenta il futuro e continua il passato. Con il carbone nella centrale in Montenegro, il teleriscaldamento dalla Centrale a gas di Cassano d’Adda che dovrebbe portare acqua calda a Milano per riscaldare 150 famiglie, con 35 KM di tubo e di escavazioni. Gestisce gli invasi delle dighe in Lombardia, in Friuli e in Calabria. Firma un accordo di cooperazione per l’idrogeno verde con la piattaforma finanziaria internazionale Andrian: 275 investitori di 40 paesi. (Tutto torna, i francesi del fondo Ardrian con Gavio ex gruppo Acqua hanno lanciato un’offerta pubblica di acquisto anche di Autostrade). Firma un altro accordo con FNM (ferrovie Nord) e SNAM (gas) per la produzione d’idrogeno verde in Lombardia. Che ci fa Snam? Se non produrre idrogeno dal metano?
L’obbiettivo dice è la prima Hydrogen Valley italiana. In val Camonica. Nome evocativo: H2iseO.
Occorre l’acqua? Dove prendere l’acqua? Per Renato Mazzoncini, Amministratore Delegato di A2A: “L’idrogeno avrà un ruolo fondamentale in A2A nel favorire la transizione. Ma nessuno si pone la domanda: pur usando fotovoltaico e eolico per produrre l’energia necessaria all’elettrolisi, quanta acqua “consumiamo”? E quanta terra coperta da pannelli o pale occorre? Di acqua non si parla e nemmeno di terra. Se andate su Google per sapere quanta acqua si consuma per produrre un kg di idrogeno farete fatica a raccapezzarvi. Con difficoltà scoprirete che: per produrre 1 kg di idrogeno sono necessari 10 litri di acqua e 41,4 kWh di energia fotovoltaica o eolica. Una automobile da 2 litri e 4 cilindri, ferma, al minimo, consuma mezzo litro di acqua ogni 10 minuti. Un treno della prima “Hydrogen Valley”, consuma 800 Kg di idrogeno e 8000 litri di acqua al giorno e l’intera flotta 2.500 kg di idrogeno al giorno. Non so se è poco o tanto ma, se cerco di immaginarmi un uso globale non deve essere poca cosa.
È vero che non si perde nulla e si recupera tutto in vapore e pioggia, ma dove cadrà questa pioggia? Che effetti avrà sugli invasi dai quali attingiamo? L’acqua è sparita dalla presentazione dell’idrogeno. Per trovarne traccia, devo scomodare Jules Vernes: “Credo che l’acqua sarà un giorno impiegata come combustibile, che l’idrogeno e l’ossigeno di cui è costituita, utilizzati isolatamente o simultaneamente, offriranno una sorgente di calore e di luce inesauribili e di un’intensità che il carbon fossile non può dare. L’acqua è il carbone dell’avvenire”.
La transizione Ecologica è tutto un fiorir di termini. Quale disegno sottendono?
La rivoluzione in agricoltura non guarda alla agricoltura contadina. Questa è lasciata ai documentari di Geo & Geo, a Slow Food.
La nuova agricoltura è l’agricoltura di precisione. Tecnologica e digitale, uomini dietro a una consolle, grandi robot semoventi, droni, satelliti e algoritmi. Una fabbrica 4.0 che elimina il contadino e la fattoria e persino l’immigrato, che necessita di grandi investimenti e di grandi estensioni di terra e disponibilità di acqua. Un salto nel paradigma della mercificazione. Una spinta alla vendita di terreni agricoli e alla compera, alla concentrazione delle proprietà e del potere nelle mani di chi già controlla acqua ed energia.
È un modello che sta devastando l’Africa, ma distratti dalla grande crisi globale, rischiamo di non accorgerci che anche da noi ettari di terreni fertili finiscono nelle mani di pochi. In tutto il Nord Italia, è in atto una riorganizzazione dell’attività consortile. Dice il presidente Neri: “Quest’operazione cancellerebbe il nostro patrimonio. A darci il colpo di grazia e a mettere una pietra tombale sulla nostra storia non sarà certo il Covid, ma una società quotata in borsa… Ci troveremo di fronte a una realtà concepita da società finanziare e da banche, con l’assillo del profitto ad ogni costo che nulla ha a che fare con i nostri principi e valori”.
Via Campesina and Hands off the Land network ci dice che in Italia oltre 700.000 piccole aziende sono sparite nell’arco di un decennio e il 30% dei terreni fertili è in mano a l’1% delle aziende. I terreni agricoli della penisola sono praticamente diventati la “banca” degli svizzeri che con il 16% del totale delle proprietà agricole sono la nazionalità più rappresentata tra gli imprenditori agricoli stranieri presenti in Italia. Una corsa alla terra a cui corre anche la mafia che ha comprato terreni a prezzo stracciato, per produzioni alimentari e energie rinnovabili.
Per chiudere lo scenario, del nuovo orizzonte della transizione appare anche il termine “sanità o medicina di precisione”. È seguita al progetto di sequenziamento del genoma umano e da come l’agricoltura di precisione e gli OGM, intendono la nuova “rivoluzione” agricola si capisce che siamo di fronte ad un altro capitolo della mercificazione della vita. Il genoma… grande scoperta scientifica, lo affermo con convinzione. Apre nuovi orizzonti alla cura, ma abbandona la medicina preventiva ed è come anche una porta aperta su un abisso.
Negli anni ‘70 gli studenti universitari delle facoltà scientifiche si formarono attorno al paradigma della non neutralità della scienza e sulle origini sociali della malattia. Tutto cancellato. Qui, nella medicina di precisione, si aprono le due vie: la sanità dei ricchi e la sanità della fantascienza. In un mondo che non garantisce a 3 miliardi di persone acqua potabile, servizi igienici elementari, verranno investite grandi risorse finanziarie per “curare” la malattia, modificando i geni. La povertà, l’inquinamento, la mancanza di acqua potabile e servizi igienici, la denutrizione, la tubercolosi, l’umiliazione della disuguaglianza tra i generi non sono più fonti di malattia da sconfiggere. La malattia diventa genetica… si può curare ed estirpare tecnologicamente. Un po’ selettiva, ma è il progresso. È il paradigma tecnocratico che solo il Papa con la Laudato Si’ ha paventato.
C’è in tutto questo, qualcosa che fa riemergere l’eterno sogno dello scienziato che vuol costruire l’uomo perfetto: Franchisten o l’immortale Dorian Gray. Qualcosa che ci fa ripiombare nella cultura eugenetica. Una cultura che, oltre ad essere una menzogna, fa paura.
3° Capitolo – C’è ancora la democrazia?
Il tramonto dei comuni e dei sindaci lo si può leggere nel ruolo assunto dai partenariati pubblici/ privati delle multiutility e delle lobby dei costruttori. Il Covid ha visto evaporare il loro ruolo. All’insegna della pandemia, se non avvengono colpi di coda, sembra chiudersi la storia della democrazia e non per troppo accentramento e divieti o con colpi di stato militari o neo fascismi politici e repressivi, che pure esistono e crescono minacciosi. Ma la democrazia muore col consenso al feticcio dei tecnici di alto profilo. Una evoluzione del liberismo democratico, finanziario, che svuota parlamenti e governi nazionali e locali, con l’oggettività dei saperi economici del mercato, cancellando questione sociale e lotta sociale.
Il governo Draghi, dà l’idea della resa della politica. Draghi, il super tecnico, circondato da tre super tecnici che affida a McKinsey, la più grande società di consulenza finanziaria del mondo, la definizione di alcune scelte sul Recovery Plan. Che cosa rappresenta per la democrazia parlamentare? Qual è il senso di eleggere un parlamento e delegare poi le decisioni ai tecnici finanziari e poi alla McKinsey?
Chi è Mac Kinsey? Con altre imprese finanziarie, dal 2008 è nella lobby principale dell’acqua: Water Resource, che orienta gli investimenti sull’acqua i Members include: McKinsey & Company; the World Bank Group, and a consortium of business partners: The Barilla Group, The Coca Cola Company, Nestlé SA, New Holland Agriculture, SAB Miller PLC, Standard Chartered and Syngenta AG. Scrive Stefano Feltri su Start Magazine: “McKinsey è diventata un governo ombra, non soltanto negli Stati Uniti, consiglia alle grandi aziende come interagire con i governi e ai governi quali servizi esternalizzare, agli investitori in quali aziende investire, con tutti gli inevitabili conflitti di interesse che ne derivano.”
Conclusioni o appello?
Nel 2010 scrissi che la questione della proprietà dei mezzi di produzione era diventata la proprietà dei mezzi per la riproduzione della vita: aria, acqua, terra, fuoco, salute e conoscenza. Scrissi che lo scontro nel mondo non era riducibile tra classe operaia e capitalismo: ma tra l’intera umanità e le multinazionali. Eravamo entrati dell’era del superamento del limite, del tempo breve e della mercificazione della vita. Non so se risponde al vero.
Da tempo, dal Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre del 2001, sostengo che i movimenti sociali, coloro che dovrebbero tentare di fermare la deriva, sono divisi e abbarbicati alle loro reti e associazioni. Che talvolta come nei Forum e ora nella “Società della cura” si mettono assieme, si incontrano, ma solo per raccontarsi le loro esperienze in tavoli tematici o, nella migliore delle ipotesi, per partorire una lunga lista di obiettivi. Per continuare nelle loro abituali pratiche consuete. Da tempo penso che bisognerebbe mettere tutte assieme le reti e assieme scegliere due o tre obiettivi simbolici, assieme batterci per muovere la politica e le istituzioni. Non mollandoli mai questi obiettivi. Facendoli diventare cultura di massa, del diritto e del bene comune.
Sono dentro il movimento dell’acqua e ad associazioni e reti, di cui sono tra i fondatori. Sono legato alla rete sulla Salute e Medicina Democratica, a quella della Costituzione della Terra e sono legato da profonda amicizia con femministe storiche impegnate nella Casa delle Donne. Guardo la rete “Società della cura”, che unisce duecento associazioni e molte delle quali hanno rapporti con paesi europei e non solo. Conosco di queste reti numerosi compagni e personaggi.
È possibile condurre con decisione alcune battaglie con tutte le reti assieme? Produrre appelli di intellettuali e artisti, iniziative e spettacoli. Determinare aggregazioni di parlamentari, di consiglieri comunali, regionali e altri ancora che, a loro volta, producano iniziative. Mozioni da presentare nelle istituzioni, in attesa che si possa tornare sulle piazze e rivolgerci direttamente ai cittadini e manifestare e fare banchetti e gazebo ecc. So di sembrare un grillo parlante, ma non posso non chiedermi e chiedere perché è impossibile? Perché non dare vita ad un Forum Sociale e concentrare gli sforzi di tutti su tre questioni, tre paradigmi del diritto umano e dei beni comuni:
- la questione dei vaccini e dei brevetti:
- la questione dell’acqua quotata in borsa;
- la questione del chiudere in Europa con le trivellazioni di idrocarburi e gas.
Tutte da rendere questioni trasversali, paradigmi dell’era del Covid e del coraggio, quello di un Papa che è stato lasciato solo da destra e da sinistra e anche da molte reti e movimenti moderni.
Oggi si pongono due o tre obiettivi determinanti. Vedo con speranza che è in atto un’aggregazione di associazioni e che sono in atto due campagne importanti che hanno peraltro il segno della universalità: quella per il diritto ai vaccini e quella per il diritto all’acqua.
Forse si potrebbe pensare ad un’altra sull’energia. Tutte campagne che pongono il diritto alla vita e la questione della mercificazione globale dei beni comuni. Sono in atto già alcune importanti iniziative e raccolte di firme: l’Iniziativa dei Cittadini Europei su vaccini e brevetti e la raccolta firme del Forum Italiano dei movimenti sull’acqua contro la quotazione dell’acqua in borsa.
E poi ci sono reti di associazioni che si sono aggregate. La rete Generazione futura per una legge sui beni comuni. La rete Costituzione della terra. I giovani di Fridays for Future e di Extinction Rebellion. Ebbene, la rete “Società della Cura”, con circa 200 associazioni, mi sembra sia la più vicina all’idea di aggregazione a cui penso.
Grandi incontri, stessi organizzatori come nel Forum Sociale, stessa lunga lista di impegni (22 obiettivi) e numerosi tavoli tematici. Ecco non si tratta di mettere in discussione le singole vocazioni delle associazioni, nemmeno le ispirazioni politiche o ideologiche che le muovono. Ma di dar vita ad un luogo di incontro di tutte le realtà, reti ed esperienze, di scambio certo, ma soprattutto luogo dove si decide di portare avanti due o tre obiettivi tutti assieme, attraverso due o tre campagne. In modo da individuare e definire obiettivi di attualità, evocativi di una narrazione universalista, fatta da tanti aspetti (ambientali, del diritto, della mercificazione del bene comune, della democrazia, della partecipazione).
Obiettivi affermativi del diritto alla vita senza il quale tutti gli altri perdono significato. Capaci di invertire il senso di degrado delle coscienze. Capaci di evocare negli intelletti cosa vuol dire le fonti della vita nelle mani di multinazionali e del casinò delle borse. Capaci di parlare alla grande parte della gente (come il referendum sull’acqua e il nucleare) e condivisi da gran parte della gente. Obiettivi capaci di incidere nella politica e nelle istituzioni, anzi formare le basi della cultura politica dell’era del limite. Qualcosa che ci impegna tutti: movimenti, associazioni, semplici cittadini, donne e uomini, artisti e scienziati, politici e amministratori.
È possibile pensare e formulare queste due o tre campagne da portare avanti tutti assieme sul piano europeo? Il Forum di Porto Alegre fallì proprio su questa incapacità di decidere. Ho vissuto questa esperienza e sono convinto che non si può riunire 200 associazioni solo per scambiarci le esperienze in tavoli tematici, stendendo carte di decine di obiettivi, tutti giusti, per carità. Significa che ognuno poi continua con le sue abitudini, le sue buone pratiche, le sue autoreferenzialità. E nessuno si rivolge alla gente.
Voglio fare un esempio storico, solo per farmi capire, non per riproporre un passato improponibile: la Prima internazionale – che riuniva dai comunisti di Marx ai socialisti, ai repubblicani italiani, agli anarchici, alle suffragette – decise una cosa: la giornata lavorativa di 8 ore. La seconda internazionale decise di battersi per: il suffragio universale e per la giornata lavorativa di 8 ore. È così si è costruita la cultura politica. È impossibile decidere per il diritto umano ai vaccini e ai farmaci salvavita, fuori dal WTO e decidere per l’acqua bene comune e non economico e concretizzare il diritto umano già conquistato nel 2010? È possibile fermare le trivellazioni?
Voglio solo far sapere quanto penso. Non ho titoli per farmi ascoltare. Posso solo sperare che non venga persa un’altra occasione come quella del Referendum sull’acqua e quella ancor più grande del Forum sociale mondiale.
[La foto in apertura è di Simona Sambati]