L’articolo di Angelo Fioritti è contenuto nel numero 22 di SOUQuaderni.
Il 29 Agosto 1980 Franco Basaglia si spegneva nella sua casa di Venezia dopo una breve malattia. Aveva 56 anni e da pochi mesi aveva accettato l’incarico di coordinamento dei servizi psichiatrici del Lazio, con il compito di portare a termine a Roma il lavoro di deistituzionalizzazione che aveva già realizzato a Trieste. Un banco di prova impegnativo su cui testare a livello nazionale le possibilità di realizzazione della legge 180/78 da poco approvata e che, onore riservato a pochissimi soprattutto tra i non politici, sarebbe passata alla storia con il suo nome nonostante i distinguo e le prese di distanza da parte di Basaglia stesso.
Si chiudeva così prematuramente il percorso umano e professionale di una delle figure più influenti sulla storia della medicina e sulla cultura della seconda metà del XX secolo. Così come per altri grandi psichiatri come Freud e Montessori, l’impatto della sua opera è andato ben al di là della pratica psichiatrica, lasciando una impronta duratura e di livello internazionale sulla cultura e sulla società.
Pur non essendo né un “discepolo basagliano” né un suo biografo, avverto il bisogno di rendere un omaggio per così dire personale alla sua memoria. Non so se si possano avere ricordi di una persona che non si è mai incontrata, ma in un certo senso sento di avere avuto, come immagino tanti altri, un lungo dialogo interiore con lui, coltivato attraverso i suoi scritti, le interviste televisive, le biografie ed i film ispirati alla sua storia, le mostre fotografiche, le opere d’arte a lui dedicate, i racconti di chi lo ha conosciuto, i dibattiti sulla sua figura e le sue idee e tutta la sterminata produzione scientifica, storica e letteraria che gira attorno a lui.
Parlo di un dialogo con Basaglia perché approcciarsi alla sua vita ed alla sua opera richiede un certo impegno critico, stante la complessità delle idee, le tante inevitabili contraddizioni, la radicalità del suo pensiero, la ricchezza dei messaggi a volte di luminosa evidenza, altre volte criptici ed allusivi, ma sempre capaci di suscitare un dubbio, aprire una domanda, indicare una possibilità.
D’altra parte Basaglia non fece mai nulla per smussare le spigolosità della sua personalità, per addolcire i messaggi, per adattare le analisi e le proposte operative, per ammorbidire le sue posizioni. Traeva forza dalla linearità del percorso di analisi critica che conduceva con sua moglie Franca Ongaro e con tutto il gruppo di fedelissimi collaboratori. Traeva forza dal vivere nelle contraddizioni, dalla consapevolezza che le contraddizioni sono le cose vere su cui lavorare, dall’unire un lavoro durissimo sul campo ad una ricerca sofisticata in campo filosofico, politico e sociale. Non ebbe mai la presunzione di voler conquistare tutti, ma credeva fortemente che anche una piccola “minoranza egemone” potesse cambiare lo stato delle cose, e ciò si realizzò effettivamente. Le sue posizioni risultavano spesso provocatorie e spiazzanti, tanto che Mistura in un bel libro di qualche anno fa parla anche di un Basaglia “surrealista”, affascinante prodotto ed interprete del suo tempo, totalmente assorbito dall’avanzamento del suo progetto anti-istituzionale e politico1.
Proprio in queste settimane è uscito un bel libro collettaneo sulla eredità internazionale che Basaglia ha lasciato al termine di una vicenda personale e istituzionale tra le più stupefacenti della storia della medicina e della cultura del Novecento2. Basaglia ed il “basaglianismo” hanno costituito un punto di riferimento ineludibile nel processo di profondo rinnovamento sociale del Secondo Dopoguerra, tanto per i fautori quanto per i detrattori. Animarono e guidarono un percorso di radicale riforma del sistema psichiatrico in Italia che assunse un significato paradigmatico per altre battaglie civili combattute nel segno della libertà, della inclusione e della dignità umana. Possiamo considerare frutti di quel percorso, cui il movimento anti-istituzionale diede direttamente o indirettamente il suo contributo, anche le riforme degli anni ’70 sulla scuola, sulla integrazione sociale delle persone disabili, sulle tossicodipendenze ed altre ancora3.
L’impronta di Basaglia è vivissima a Trieste, dove nel tempo i suoi allievi hanno dato vita ad un modello di “rivoluzione permanente” che ha portato ad una “istituzione reinventata” secondo la nota formula di Franco Rotelli. Trieste è tuttora il modello ed il centro collaborativo della Organizzazione Mondiale della Sanità, dove ogni anno vengono a formarsi operatori sanitari, sociali e semplici volontari sui temi della recovery, della inclusione e della deistituzionalizzazione4.
Trieste non è l’Italia intera e l’intero sistema di salute mentale italiano non può dirsi “basagliano”, anche se senza Basaglia sarebbe stato molto diverso da quello che è oggi5. Il movimento anti- istituzionale italiano ebbe un carattere policentrico ed incarnò il forte desiderio di libertà e di rinnovamento dopo il degrado delle istituzioni psichiatriche durante il Ventennio fascista e nel primissimo dopoguerra. Ma fu tutt’altro che un movimento unitario con opzioni diverse in discussione, dal semplice ammodernamento del manicomio, alla psichiatria “di settore” alla francese, alla radicale proposta basagliana di chiusura totale dell’ospedale psichiatrico. Ed alla fine fu questa ad imporsi tra i decisori politici, sebbene con alcune mediazioni che lasciarono parzialmente soddisfatto Basaglia stesso. La rilevanza mediatica ed il prestigio che Basaglia aveva presso la pubblica opinione e presso alcune figure chiave del mondo politico fu strategica nel far prevalere l’opzione radicale che nel complesso del corpo professionale era ancora comunque minoritaria.
Gli oltre quarant’anni di sviluppo dei servizi di salute mentale hanno visto un quadro a dir poco variegato da regione a regione ed a volte all’interno della stessa regione. In assenza di un forte coordinamento nazionale, soprattutto dopo la regionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale del 2000, l’evoluzione dei servizi di salute mentale ha seguito le vicissitudini dei singoli servizi regionali, ha attinto da elementi di pratica psichiatrica tradizionale, di deistituzionalizzazione basagliana, di epidemiologia e psichiatria sociale, di psichiatria biologica. I servizi di salute mentale italiani sono oggi un sistema culturalmente piuttosto eterogeneo, eclettico rispetto agli strumenti di lavoro, ma potremmo dire accomunati da una forte prevalenza della pratica sulla teoria, riscontrando forse anche in questo un tratto tipicamente basagliano.
Ma l’impatto di Basaglia ha varcato indiscutibilmente i confini nazionali. Ancora in vita Franco e Franca girarono il mondo per conoscere e fare conoscere la propria rivoluzione. Nel 1969 Franco trascorse sei mesi a New York e viaggiò nel continente americano. I due visitarono più volte il regno Unito, tennero conferenze in America Latina, con un legame intenso e particolare con il Brasile, paese nel quale la storia recente dello sviluppo dei servizi psichiatrici è tutta nel segno della deistituzionalizzazione basagliana6. Più difficile fu la penetrazione nel mondo anglo-sassone, dove fu generalmente assimilato agli antipsichiatri come Laing e Cooper, con i quali ebbe un rapporto di conoscenza e stima, ma anche di aperto dissenso7. Altri fattori che resero poco compresa la figura di Basaglia in Inghilterra furono senza dubbio il carattere narrativo dei suoi lavori, la mancanza di dati ed evidenze empiriche, la prevalenza nei suoi scritti di analisi politiche e sociali rispetto all’utilizzo di metodi scientifici8. Di fatto solo poche delle oltre 900 pagine degli Scritti9 sono ad oggi tradotte in inglese.
Ma nonostante i frequenti fraintendimenti su Basaglia, soprattutto l’essere confuso con gli antipsichiatri, l’essere considerato ideologico e genericamente filantropo, le idee basagliane hanno permeato a livello internazionale la cultura del movimento della c.d. “Global Mental Health”, grazie soprattutto alla azione di Benedetto Saraceno, che mosse i suoi primi passi proprio a Trieste diventando uno dei collaboratori più stretti di Basaglia nei suoi ultimi anni. Proprio Saraceno arrivò a dirigere per oltre un decennio (1999-2010) la Divisione di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche della OMS a Ginevra, dando vita ad una stagione di profondo rinnovamento che produsse riforme legislative e programmi di sviluppo in decine di Paesi membri10.
Da un piccolo ed oscuro manicomio di provincia al confine con la Yugoslavia alle politiche internazionali di salute mentale, Franco Basaglia ha lasciato una traccia indelebile sulla storia e la cultura degli ultimi sessant’anni, la cui influenza è destinata a permanere a lungo.
Anche a Bologna, come in molte città italiane ed estere, è stata intitolata una via a Franco Basaglia. Non so come il servizio di toponomastica del Comune sia arrivato a farlo, né se siano state avanzate proposte da qualche parte politica. Curiosamente via Basaglia a Bologna incrocia via Sigmund Freud e via Maria Callas, in un’area della prima periferia di recente urbanizzazione su cui da venticinque anni insiste una struttura residenziale psichiatrica che dal 2015 è stata destinata a Residenza per la Esecuzione della Misura di Sicurezza (REMS) per pazienti autori di reato. Sono sicuro che il lato surrealista di Basaglia ne sarebbe contento.
Egli ebbe un rapporto con Bologna e l’Emilia-Romagna intenso ma non semplice. Furono esperiti diversi tentativi per portarlo da Gorizia a Bologna, dove sperimentare la rivoluzione anti- istituzionale. Negli anni ’60 Bologna era un modello di welfare studiato e propagandato in tutto il mondo e non c’è dubbio che Basaglia fosse molto interessato ad entrare nella situazione. Anche la produzione culturale in campo psichiatrico a Bologna era intensa, su tutte spiccavano le figure di Gianfranco Minguzzi e Pier Francesco Galli che si stava trasferendo da Milano e che a Bologna avrebbe fondato e diretto Psicoterapia e Scienze Umane. Nel mondo professionale c’erano molte tendenze e orientamenti diversi, ma leader nel campo della psichiatria come Eustachio Loperfido ed Alessandro Ancona avrebbero ricoperto di lì a poco ruoli politici locali di grande importanza. Eppure la cosa non andò in porto.
Nel 1967 venne indetto un concorso per la Direzione del Manicomio Provinciale “F. Roncati” di Bologna e fra le dieci domande pervenute c’era anche quella di Franco Basaglia. Alla libreria Feltrinelli c’era da poco stata la presentazione del suo libro “Che cos’è la Psichiatria”, cui era seguito un dibattito con Gianfranco Minguzzi e da Angelo Del Boca, autore di quella inchiesta giornalistica alla quale si fa risalire l’inizio del movimento anti-istituzionale italiano11. Chi fosse Basaglia e quali fossero le sue idee era quindi noto a Bologna. Molte influenti personalità si mossero perché il “laboratorio Bologna” si arricchisse anche di questo prezioso tassello. La Commissione d’esame era composta dal Presidente della Provincia Roberto Vighi e dagli psichiatri accademici Giambattista Belloni di Padova e Giorgio Padovani di Genova. Nel giudizio che espressero sul candidato Basaglia, oltre ad una attenta disamina della sua produzione scientifica consistente in 57 pubblicazioni edite a stampa, si legge:
“Nella terza fase, dopo un felice “excursus” nel campo della psicopatologia dell’espressione (1963) il candidato rivolge il suo interesse soprattutto ai problemi della psichiatria istituzionale. In questo gruppo di lavori, il più attuale e il più noto anche al grande pubblico, il candidato svolge deliberatamente una funzione di rottura, attuata però su un piano astratto, denunciando – sulle orme di Barton e Goffman- le carenze dell’assistenza psichiatrica ospedaliera. Padrone del linguaggio fenomenologico, e forte di esperienze internazionali, il Basaglia è forte sul piano dialettico, offrendo naturalmente ampio campo di discussione su quello pragmatico. Il suo frequente rifarsi a Sartre, Marcuse, Foucault e altri pensatori denota più una vocazione filosofica e sociologica che astrae da un autentico impegno medico. L’impressione è confermata anche dalla mancanza di riferimenti concreti circa i risultati della “comunità terapeutica e di valide alternative alle tecniche condannate”12.
La direzione andò a Spartaco Colombati (di cui pochi serbano memoria) e Basaglia arrivò quarto. Per i commissari, in sostanza, Basaglia era un filosofo interessante, ma non un vero medico e non portava le prove del suo metodo. Oggi diremmo: “Non ci sono evidenze”.
Ma forse il mancato arrivo di Basaglia Bologna ebbe motivazioni non solo tecnico-professionali. Un curioso aneddoto riferito da Tommasini a Giovanna Gallio ce ne dà uno squarcio chiarificatore13.
“Io e Sergio Scarpa andammo insieme a Basaglia da Bacchilega, assessore alla Sanità della Provincia di Bologna […] e ad un certo punto Bacchilega disse: ‘Parliamoci chiaro, Lei, professore, è molto bravo e farà la riforma psichiatrica, ma a Bologna Lei non può venire perché è un uomo troppo indipendente, troppo libero. Noi siamo di sinistra, vogliamo avere le collaborazioni con i tecnici, ma i tecnici devono riconoscere il nostro ruolo e le nostre impostazioni”.
Ciò non impedì a Basaglia di tornare più volte a Bologna, già nel 1968 per una memorabile conferenza organizzata alla Università da Gianfranco Minguzzi con Jean-Paul Sartre, lo storico Vladimir Dedjier e Basaglia come relatori. Ed ancora nel 1976 per il primo congresso di Psichiatria Democratica di cui Gianfranco Minguzzi, su proposta di Basaglia, fu nominato Presidente.
In quarant’anni il campo istituzionale è cambiato moltissimo, a Bologna, in Italia e nel mondo. Eppure alcune questioni sembrano ripresentarsi più o meno immutate. Ad esempio molto del mio personale dialogo con Basaglia riguarda il conflitto tutt’altro che risolto tra le culture istituzionali e l’istanza etico-politica basagliana.
Come risolvere o trasformare la contraddizione di lavorare nelle istituzioni, e prescindere dalle istituzioni? Come riconoscere e rispettare il ruolo delle istituzioni democratiche, della politica, della magistratura, delle aziende sanitarie, e mantenere il sorriso beffardo di chi va per la sua strada?
I manicomi sono stati chiusi anche in Provincia di Bologna e molte delle pratiche locali di salute mentale si sono via via orientate verso la deistituzionalizzazione, l’inclusione, la recovery e l’innovazione continua. Ma il lavoro psichiatrico all’interno delle istituzioni (non solo psichiatriche, ma anche quelle riguardanti ad esempio il carcere, i centri di accoglienza per immigrati, i servizi a bassa soglia per senza tetto e tossicodipendenti) continua a presentare se non le stesse, domande simili a quelle cui con coraggio rispose Basaglia.
Di tutte le sue formulazioni quella che trovo ancora più sfidante e di problematica realizzazione è quella contenuta nelle Conferenze Brasiliane ed ampiamente citata per la sua icasticità.
A Belo Horizonte, il 4 Luglio del 1979, durante un memorabile pubblico dibattito, Ulysses Viana Filho, Presidente della Associazione degli Psichiatri Brasiliani affermò di riuscire a comprendere la posizione “umana” di Basaglia di fronte al malato privato della sua libertà, ma di ritenere che lo psichiatra in quanto pubblico ufficiale abbia sempre due posizioni da conciliare, quella di medico e quella di membro della società che chiede di intervenire sulla follia.
“Non è vero – rispose Basaglia – che lo psichiatra abbia due possibilità, una come cittadino e l’altra come psichiatra. Ne ha una sola: come uomo. E come uomo, io voglio cambiare la mia vita. Voglio cambiare l’organizzazione sociale; e non con la rivoluzione, ma semplicemente esercitando la mia professione di psichiatra … Se tutti i tecnici esercitassero la loro professione, questa sì che sarebbe una vera rivoluzione. Quando trasformo il campo istituzionale in cui lavoro, io cambio la società… e se tutto questo, a qualcuno, può sembrare un delirio di onnipotenza, allora viva l’onnipotenza!14”
Caro Basaglia, grazie per farci continuare a pensare e stimolarci a cambiare, a quarant’anni dalla tua scomparsa.
Bologna, 29 Agosto 2020
Pubblichiamo questo articolo per gentile concessione del Centro Studi Minguzzi di Bologna.
NOTE
- 1 Mistura S. [2008] La pazienza e l’imperfezione, Macerata, Verbarium-Quodlibet,
- 2 Burns T. & Foot J. (eds.) [2020] Basaglia’s International Legacy. From Asylum to Community, Oxford, Oxford University Press.
- 3 Foot J. [2020] Franco Basaglia. A man, a Movement, Institutions and Outcomes. In: Burns T. & Foot J. (eds.) [2020] Basaglia’s International Legacy. From Asylum to Community, Oxford, Oxford University Press (pp. 1-21).
- 4 Mezzina R. [2020] Basaglia after Basaglia, Recovery, Human Rights and Trieste Today. In: Burns T. & Foot J. (eds.) [2020] Basaglia’s International Legacy. From Asylum to Community, Oxford, Oxford University Press (pp. 43-67).
5 Fioritti A. [2020] Basaglia’s Legacy and Italian mental Health Care in Italy Today. In: Burns T. & Foot J. (eds.) [2020] Basaglia’s International Legacy. From Asylum to Community, Oxford, Oxford University Press (pp. 69-78). - 6 Venturini E., Brandão Goulart M.S., Amarante P. [2020] The Optimism of Practice. The Impact of Basaglia’s Thought on Brazil. In: Burns T. & Foot J. (eds.) [2020] Basaglia’s International Legacy. From Asylum to Community, Oxford, Oxford University Press (pp. 113-128).
- 7 Walls O. [2020] Basaglia and the British Anti-psychiatrists, 1960-70. In: Burns T. & Foot J. (eds.) [2020] Basaglia’s International Legacy. From Asylum to Community, Oxford, Oxford University Press (pp. 23-42).
- 8 Burns T. [2020] The United Kingdom Rejection of Basaglia. In: Burns T. & Foot J. (eds.) [2020] Basaglia’s International Legacy. From Asylum to Community, Oxford, Oxford University Press (pp. 175-190).
- 9 Basaglia F. [1982] Scritti (vol. I – 1953/1968; vol II – 1968/1980), Torino, Einaudi.
- 10 Saraceno B. & Sashidaran s. [2020] Basaglia’s International Influence. In: Burns T. & Foot J. (eds.) [2020] Basaglia’s International Legacy. From Asylum to Community, Oxford, Oxford University Press (pp. 78-93).
- 11 Del Boca A. [1966] Manicomi come lager, Torino, Edizioni dell’Albero.
- 12 Montanari E. [2015] S. Isaia 90. Cent’anni di follia a Bologna, Bologna, Pendragon (p. 173-174).
- 13 Pulino D. [2016] Prima della Legge 180. Psichiatri, amministratori e politica (1968-1978), Merano, Alpha Beta Verlag (p. 52).