La storia di Alberto, che ogni mese torna alla Casa con un piccolo dono
Quando Alberto, una volta al mese, torna in via Brambilla per venire a trovare Iole Romano – operatrice della Fondazione che lo aveva seguito durante il suo periodo di accoglienza alla Casa della Carità, nella comunità SoStare – non arriva mai a mani vuote.
Come ogni persona che fa visita ad amici o parenti, Alberto porta con sé un piccolo dono che, nel suo caso, è il suo dolce preferito: il babà. A Iole il liquore dei babà non piace molto. Allora, senza farsi vedere, strizza per bene il pasticcino e se lo mangia con lui.
Per Alberto, Iole è una vera amica, una delle poche persone di cui si fida e con cui sa di poter parlare di tutto. Per questo quando viene a trovarla, tra un babà e una tazza di caffè, si confida con lei, le chiede consigli, si racconta…
UNA FIDUCIA CONQUISTATA NEL TEMPO
Alberto ha 45 anni. In via Brambilla ci arriva a seguito di una segnalazione dei servizi: «Era completamente solo, segnato da grandi difficoltà fisiche ed economiche. E ci eravamo resi conto che la condizione di solitudine aveva fatto emergere in lui alcuni comportamenti bizzarri, ma a tratti simpatici, come diversi tic e piccole fissazioni…», ricorda Iole.
Alberto all’inizio non guarda mai in faccia nessuno. Ci vuole del tempo prima di riuscire a istaurare con lui un rapporto di fiducia. «Ma con il trascorrere del tempo le nostre chiacchierate acquisivano più sintonia, Alberto riusciva piano piano a parlarmi guardandomi negli occhi senza timore e ho capito allora che qualcosa stava cambiando, iniziava a fidarsi e a sentirsi al sicuro», dice l’operatrice.
Che continua: «Un giorno, entrando in uno degli spazi comuni della Casa, Alberto mi dice: “Per me i mobili starebbero meglio disposti così: lì metterei il divano, dall’altra parte il tavolo…”. Allora l’ho guardato e gli ho detto di sistemarli come, secondo lui, sarebbero stati meglio. E così ha fatto. Era un chiaro segnale, che iniziava a sentire la Casa della Carità come casa sua».
Alberto si dimostra un esteta, tiene molto alla cura e ai dettagli e ha finezza nello scegliere la disposizione dell’arredamento.
Col tempo, poi, gli operatori si accorgono anche che ha una spiccata capacità di aggiustare le cose: «Abbiamo iniziato ad affidargli alcuni piccoli lavoretti di ordinaria manutenzione, che gli riuscivano molto bene. È stato un modo per tenerlo occupato, ma anche per capirne le capacità e il livello di autonomia», spiega Iole.
IL PERCORSO VERSO L’AUTONOMIA
Durante la sua accoglienza, Alberto è seguito sotto il profilo psicologico dalle dottoresse della Fondazione. Al contempo, sul versante sociale, gli operatori lo aiutano a scrivere il curriculum e a fare domanda per la casa popolare.
«Quasi tutti i giorni usciva per distribuire i suoi cv in giro per la città e proprio in questo modo ha trovato il primo lavoro in un supermercato. Ma non era soddisfatto, perché voleva un lavoro che potesse dargli maggiori garanzie e uno stipendio un po’ più alto. Così, dopo qualche mese, è ripartito con la distribuzione dei curricula e ha trovato il suo lavoro, a tempo indeterminato, in hotel, dove fa il facchino e si occupa delle pulizie», racconta sempre Iole.
Ottenuta la casa popolare, con i primi risparmi Alberto fa l’allacciamento di gas e luce. «Era anche riuscito a mettere qualche soldo da parte per l’arredamento, così un giorno siamo andati a comprare il mobilio che gli serviva e l’essenziale per la casa. Ancora sorrido quando penso a quel giorno e a quanto fosse felice!», dice Iole.
LEGAMI CHE RIMANGONO
Sono tante le persone che, una volta terminato il loro percorso di accoglienza, rimangono legate alla Casa e agli operatori e operatrici che li hanno accompagnati, che rimangono per loro dei punti di riferimento.
E una di queste persone è proprio Alberto. Tornare in via Brambilla e portare qualcosa da condividere è anche il suo modo di dimostrarci di essere grato per i giorni passati con noi, per le attenzioni, per l’ascolto, per la famiglia che ha trovato alla Casa della Carità.
«Alberto dice spesso che quando entra alla Casa della Carità come prima cosa ricorda il suo arrivo e quindi il periodo brutto della sua vita. Ma dopo i primi 10 scalini, entrano in testa solo ricordi belli, di sorrisi, di tranquillità e serenità riacquistata», conclude Iole Romano.
Anche lei, ogni tanto, va a trovare Alberto a casa sua. E non si presenta mai a mani vuote.
[In apertura: ospiti e operatori di So-Stare in gita al lago]