Storie

Sufyan, arrivato alla Casa dalla rotta balcanica

Leggi la storia di Sufyan, oggi ospite della Casa, che per raggiungere l’Italia ha percorso a piedi la rotta balcanica.

Sufyan è un ragazzo pakistano di 19 anni, arrivato in Italia da minorenne, attraverso la cosiddetta rotta balcanica.

Il Pakistan è un Paese molto violento, a causa di tensioni etnico-nazionali che portano spesso a sanguinosi attentati, oltre che poverissimo. L’unica speranza che molte famiglie hanno è quella di mandare i figli in Europa, così che possano inviare le rimesse nel Paese d’origine.

Ed è proprio per fuggire dalla povertà estrema e per aiutare la sua famiglia che Sufyan decide, a soli 15 anni, di partire. Per pagare il viaggio, la sua famiglia si indebita per circa 20.000 euro. «20.000 euro per camminare, neanche fosse un biglietto aereo in business class», commenta Ermanno Poté, educatore della Casa della Carità che ci racconta la sua storia.

Sufyan: la rotta balcanica tra violenze e respingimenti

Il viaggio di Sufyan è durissimo e dura un paio d’anni: dal Pakistan paga un primo passaggio per attraversare l’Iran e arrivare in Turchia, dove si ferma qualche mese per riuscire poi a passare in Grecia. Da qui si sposta, sempre a piedi, attraverso i Balcani e arriva in Serbia. «Sufyan ci ha raccontato che la Serbia è stato il Paese più duro da affrontare. Il clima sulle montagne cambia radicalmente e ha colto impreparati lui e i suoi compagni di viaggio. La polizia serba lo ha anche respinto diverse volte in Macedonia del Nord», dice Ermanno.

Il viaggio attraverso la rotta balcanica, con le sue difficoltà, i continui respingimenti e le violenze delle polizie di quei paesi viene comunemente chiamato “the game”, anche se un gioco non è. Tutti questi imprevisti portano Sufyan a chiedere ancora più soldi alla famiglia e il debito cresce.

Dopo mesi, Sufyan arriva finalmente a Trieste, dove opera Linea d’Ombra, organizzazione di volontariato che si prende cura delle persone migranti in arrivo in città proprio dalle rotte balcaniche.

Dalla strada alla Casa della Carità, una nuova speranza

Qui, essendo un minore straniero non accompagnato, viene assegnato ad una comunità a Milano, dove rimane fino al compimento dei 18 anni. In comunità Sufyan inizia a imparare l’italiano e, una volta maggiorenne, trova un lavoro presso una catena di pizzerie in un centro commerciale e un posto letto in un appartamento condiviso con moltissimi connazionali. «Per risparmiare questi ragazzi vivono spesso in appartamenti sovraffollati, dove gli standard igienici non di rado sono bassissimi. Non stupisce quindi che Sufyan abbia preso la scabbia», spiega Ermanno.

A causa di questa malattia, i coinquilini lo allontanano dall’appartamento. Non sapendo dove andare, per qualche giorno Sufyan dorme per strada, ma non vuole assolutamente perdere il lavoro. Non ha un medico di base a cui chiedere la terapia e soprattutto avere i giorni di permesso per malattia. Per lui perdere il lavoro sarebbe una sconfitta totale. Deve ripagare il debito del viaggio e aiutare in tutti i modi la sua famiglia.

Qualcuno però gli dice che c’è un posto dove possono visitarlo e aiutarlo gratuitamente e così arriva alla Casa della Carità. Qui inizialmente viene accolto da Stella Abdurramani, infermiera della Casa, che nota subito delle escoriazioni sulle mani di Sufyan e capisce già tutto. Gli spiega cosa deve fare e gli chiede dove vive: «Ho un posto in un appartamento – dice Sufyan – ma mi hanno allontanato e ora dormo dove capita». Per curarsi ha però bisogno di un luogo pulito e confortevole e la strada o anche l’appartamento non sono i posti ideali.

Stella, che lo vede molto spaesato e triste, chiede quindi aiuto a Gaia Lauri, assistente sociale del Centro d’Ascolto della Casa, che organizza un incontro con Sufyan e si attiva per trovargli un posto nella struttura di via Brambilla. Dopo qualche giorno, il ragazzo entra nella sua nuova stanza, pulita e con un bagno dove potersi concentrar sulla guarigione dalla scabbia. Gaia ricorda che quando Sufyan è arrivato non aveva neanche una valigia dove poter mettere i suoi pochi vestiti, li ha messi tutti in uno zaino di Glovo.

Gaia e gli altri educatori, insieme all’avvocato Peppe Monetti, lo aiutano subito a mettere a posto i documenti e il permesso di soggiorno. Poi lo assistono per l’iscrizione a scuola, migliorare il suo italiano. Nel frattempo guarisce e può tornare finalmente a lavorare nella pizzeria, dove lo aspettavano a braccia aperte perché Sufyan, nonostante la giovane età, è un gran lavoratore e si trova bene con tutti i colleghi.

Nei rari momenti in cui Sufyan è libero, inizia a raccontarsi un po’ a Ermanno, l’educatore con cui si sente più in sintonia: «Mi ha raccontato il terribile viaggio a piedi che ha dovuto affrontare attraversando mezzo mondo, il debito che la sua famiglia ha contratto per farlo arrivare in Italia e i sacrifici che ha dovuto fare, i suoi sogni e le sue speranze per il futuro. Mi ha detto anche che suo padre è stato operato al torace, ma che non era ancora guarito dalla malattia di cui soffriva e che, per questo, sogna di poterlo portare in Italia per stare insieme a lui e farlo curare».

Purtroppo per ora è impossibile perché Sufyan non ha i requisiti necessari per fare un ricongiungimento familiare: un reddito che mantenere due persone e soprattutto una casa dove poter accogliere il padre. Questo lo rattrista molto, ma allo stesso tempo lo spinge ad impegnarsi ancora di più a scuola e al lavoro.

«Abbiamo rilevato che i ragazzi pakistani, e in particolare Sufyan, sono talmente legati alla famiglia che arrivano quasi alla devozione. Lasciano il proprio Paese per aiutare i genitori e fanno di tutto per ripagare il debito contratto, lavorando a perdifiato per questo unico obiettivo. Piuttosto che non mandare i soldi in Pakistan, si distruggono la schiena e si pongono con un atteggiamento molto servile nell’ambiente di lavoro. Il rischio quindi è che vengano sfruttati e, più frequentemente, che portino dentro un malessere che non si sentono di poter esplicitare, perché quello, per loro, è semplicemente un dovere. Non vogliono disturbare o distrarsi dalla loro “missione” e noi educatori facciamo molta fatica a individuare probabili problemi psichici dovuti prima di tutto al terribile viaggio, iniziato quando erano poco più che bambini», spiega ancora l’operatore della Casa.

Le sfide di Sufyan per ricostruirsi una nuova vita

Alla Casa Sufyan ha trovato un luogo sicuro dove cominciare a costruirsi la sua nuova vita da adulto. Ma le sfide sono ancora tante. Innanzitutto, Ermanno e i suoi colleghi stanno lavorando con lui per far sì che sia economicamente autonomo. Capiscono bene le motivazioni che lo spingono a mandare praticamente tutto quello che guadagna alla famiglia, ma cercano di spiegargli che, così facendo, il giorno in cui dovrà lasciare la Casa si ritroverà di nuovo in un appartamento simile a quello in cui ha preso la scabbia.

Inoltre Ermanno cerca di instaurare con lui una relazione sempre più basata sulla fiducia reciproca, così che possa riuscire a tirar fuori i traumi che gli ha provocato il viaggio e che, se non discussi, potrebbero causargli dei disturbi mentali in futuro.

Nonostante abbia un’indole abbastanza chiusa e riservata, Sufyan sa che può contare sul supporto di Ermanno se qualcosa lo turba o non lo fa stare bene. Di questo è grato, tanto che uno dei primi giorni dopo averlo conosciuto gli ha portato un sacco di tranci di pizza per cena.


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