Graciela e Javier sono scappati dal Perù con il figlio più piccolo Santiago, mentre hanno lasciato il più grande, Victor, alle cure dei nonni
Da circa due anni abbiamo assistito a una crescita esponenziale di famiglie sudamericane, provenienti in particolare dal Perù, che si rivolgono ai servizi della Casa della Carità in cerca di aiuto e sostegno.
Se inizialmente questo flusso era formato principalmente da donne sole, oggi, come spiegano in questo articolo i nostri operatori Gaia Lauri e Peppe Monetti, si tratta di intere famiglie, che scappano da situazioni di povertà, mancanza di lavoro ma anche da contesti di violenza.
È quello che, per esempio, è successo alla famiglia di Graciela e Javier, la cui storia è raccontata da Tea Geromini, responsabile del Settore percorsi sociali della Casa.
Dal Sudamerica famiglie intere in fuga da insicurezza economica e violenza
«I tempi in cui l’emigrazione sudamericana era prevalentemente di singole persone, spesso donne, sono finiti. Ora a migrare sono intere famiglie, spinte in primis dall’insicurezza economica e sociale in cui si trovano molti dei Paesi di questo continente. Sento molto spesso parlare di bande armate che ricattano le famiglie e chiedono una sorta di pizzo. In questa situazione, è normale che molti decidano di fuggire e che dei genitori, per proteggere i propri figli, li portino con sé», esordisce Tea, spiegando il contesto in cui si sviluppa la storia di Graciela e Javier.
E aggiunge: «Fortunatamente, il sistema per l’esame delle domande di asilo è più incline a concedere una forma di protezione alle persone sudamericane che ne fanno richiesta, ma il problema è che non ci sono strutture per l’accoglienza dei richiedenti asilo che riescano a ospitare dignitosamente le famiglie e non ci sono progetti finanziati da enti pubblici in cui inserirle. L’emergenza dunque per queste famiglie è soprattutto abitativa: non sono stati creati percorsi di accoglienza e inclusione per loro e la rete dei connazionali ormai non riesce più ad aiutare tutti. Così, moltissime famiglie sono costrette a vivere in stanze sovraffollate, strutture dismesse, scantinati, o, peggio, rischiano di finire in strada.
Proprio come stava succedendo alla famiglia di Graciela e Javier.
Dal rischio di finire in strada all’accoglienza alla Casa della Carità
Graciela e Javier sono una coppia peruviana che ha due figli: Victor, di 12 anni, e Santiago, che oggi ne ha 8. Per scappare dalla violenza dilagante nel loro Paese e garantire un futuro migliore a Victor e Santiago, decidono di lasciare il Perù e di trasferirsi in Italia.
«Il loro progetto è stato di partire solo con il figlio più piccolo, Santiago e di far arrivare Victor successivamente, così che potesse proseguire gli studi nel Paese natale», racconta Geromini.
Che dice ancora: «Prima di partire, si sono messi in contatto con la rete di connazionali presente a Milano e, dopo aver pagato una certa somma, hanno preso accordi con una persona che sarebbe dovuta andare a prenderli alla stazione Centrale al loro arrivo e portarli in una sistemazione dove avrebbero potuto vivere almeno per i primi giorni».
Ma i loro sogni si infrangono velocemente, quando scoprono che ad aspettarli in stazione non c’è nessuno e che hanno perso tutti i risparmi investiti per rifarsi una vita.
«A quel punto, Graciela e Javier si sono messi a chiamare tutte le persone di loro conoscenza che vivono a Milano o che conoscono altri che vivono qui, perché non avevano nemmeno soldi a sufficienza per pagare una stanza d’albergo», spiega ancora Tea.
Fortunatamente riescono a trovare un appoggio e per qualche giorno si spostano da una casa all’altra, da un “amico di un amico” all’altro, cercando una soluzione più stabile, fino a che si rivolgono al centro d’ascolto di una parrocchia, che poi contatta l’operatrice della Casa della Carità.
Tea propone di accogliere Graciela e Santiago alla Tillanzia, la casa della Fondazione dedicata a donne sole e mamme con bambini, mentre Javier avrebbe potuto appoggiarsi ancora un po’ alla rete di connazionali, grazie a cui riesce anche a trovare un lavoretto come addetto al carico e scarico di merci.
Nel frattempo, l’avvocato della Casa Peppe Monetti si mobilita per supportare la famiglia nella domanda di asilo e per mettere a posto i documenti, questione di primaria importanza per tutte le persone che cercano una vita migliore in un altro Paese.
Tea e le altre operatrici della Tillanzia, invece, aiutano i genitori a iscrivere Santiago alla scuola primaria e contattano la preziosissima rete di volontari della Casa per trovare qualcuno che lo aiuti con i compiti e la lingua.
«Da una parte la famiglia si sente sollevata perché Graciela e il piccolo Santiago hanno un tetto sopra la testa; dall’altra però era molto forte la preoccupazione per papà Javier, che passava da una casa all’altra e da un lavoretto all’altro, fino a che Graciela un giorno mi ha confidato la paura di non sapere dove avrebbe dormito il marito la notte successiva», racconta Tea.
A quel punto, nonostante la Casa fosse già al massimo della capienza, si è trovato un posto per Javier in via Brambilla: «Sappiamo che restare separati non è la soluzione ideale per una famiglia, ma non potevamo rischiare di far dormire Javier per strada».
La separazione e la speranza di tornare preso a essere una famiglia unita
Il piccolo Santiago soffre un po’ per questa situazione; è dura per lui capire che non può vivere insieme al papà, anche se non è una vera separazione, perché possono vedersi ogni volta che vogliono alla mensa della Casa della Carità. «Per rallegrarlo, un giorno ho fatto loro una sorpresa e ho portato tutti e tre allo stadio per vedere una partita del Milan contro il Monza. Santiago era felicissimo, il calcio è il suo sport preferito e si è divertito un mondo», racconta Tea.
Anche l’ultimo Natale è stato un periodo di grande gioia per tutta la famiglia: l’hanno passato tutti e tre insieme alla Casa della Carità, sereni, perché circondati da tante persone che provano un sincero affetto nei loro confronti e perché entrambi i genitori hanno trovato un lavoro, seppur piccolo: Javier continua a lavorare nel carico e scarico merci, mentre Graciela fa le pulizie negli appartamenti.
La gioia del Natale è stata però velata dalla tristezza per la lontananza da Victor, rimasto con i nonni in Perù. Nella sua lettera a Babbo Natale, Santiago ha scritto: “Caro Babbo Natale, per quest’anno vorrei tantissimo i Lego, un pallone da calcio e un cellulare per chiamare mio fratello Victor”.
Graciela e Javier pensano tutti i giorni al figlio lontano e il loro più grande desiderio è quello di farlo venire al più presto in Italia per riabbracciarlo: «Capiamo quanto possa essere straziante essere lontani dal proprio figlio, non vederlo crescere ed essergli accanto in un momento delicato della vita come l’adolescenza. Ma in questo momento il ricongiungimento non sarebbe la scelta più adatta: dove potrebbe stare, una volta arrivato qui? Ne abbiamo parlato con la famiglia e anche con Victor, che si sente messo da parte: abbiamo organizzato una videochiamata a cui ha partecipato anche una mediatrice che ci ha dato il supporto per parlare con il ragazzo».
Ora tutti gli sforzi di Graciela e Javier sono volti a diventare autonomi economicamente per potersi permettere una piccola casa in cui vivere, finalmente, di nuovo tutti e quattro insieme. «Purtroppo non sarà facile per loro, perché i prezzi e le garanzie degli affitti a Milano sono diventati proibitivi per la maggior parte delle persone, ma noi continueremo a rimanere al loro fianco, perché non provino mai più quella solitudine disarmante che hanno provato il giorno del loro arrivo in stazione a Milano», conclude Tea.
Approfondisci
- Anche Gabriela, Diego con il piccolo Francesco sono una giovane famiglia arrivata dal Perù. Leggi la loro storia.