Chi sono le persone che si rivolgono al Malabrocca? Quale relazione si costruisce con loro? Ne abbiamo parlato con i nostri operatori Luca Casamassima, Ciro Di Guida, Moussa Abdallah, Alessandra Bozza e Monica Allievi.
Da alcuni anni il Malabrocca è lo spazio della Casa della Carità che per primo accoglie chi chiede aiuto ai servizi diurni della Fondazione: centro di ascolto, sportello legale, docce e guardaroba, ambulatori.
In questa intervista, Fiorenzo De Molli racconta perché abbiamo scelto di intitolare questo luogo proprio al ciclista Luigi Malabrocca. Ma chi sono le persone che ogni giorno entrano nella Casa attraverso questo spazio? Quali sono i loro bisogni? Ne abbiamo parlato con i nostri operatori Luca Casamassima, Ciro Di Guida, Moussa Abdallah, Alessandra Bozza e Monica Allievi.
«Le persone arrivano qui perché stanno attraversano difficoltà burocratiche, difficoltà economiche, difficoltà sanitarie o emotive. Stanno cioè vivendo un momento in cui, a causa di avvenimenti esterni o per proprie responsabilità, hanno perso i loro punti di riferimento e si trovano in una situazione da cui è difficile ripartire. Hanno bisogni vari e variegati, che partono però tutti da un bisogno di base: tornare a essere visti e tornare a essere riconosciuti in quella che chiamerei “dignità sociale”, che non è la dignità personale – che rimane intatta in quanto essere umani – è proprio un riconoscimento sociale», esordisce Luca.
Bisogni espressi e bisogni inespressi
“Ho bisogno di una doccia e dei vestiti”; “Ho bisogno di un’ospitalità, perché mi serve per poter fare la tessera sanitaria”; “Ho bisogno di capire come cominciare l’iter per l’ottenimento del permesso di soggiorno”. Sono alcune delle necessità espresse dalle persone che bussano alle porte del Malabrocca: «Questi sono i problemi manifesti e a volte sono gli unici che le persone hanno in quel momento. Spesso, però, quando una persona arriva qui, a catena emergono altre questioni inespresse. Per questo, le docce sono organizzate in modo tale che vi sia una sala dove condividere il tempo dell’attesa, magari facendo colazione; gli incontri che avvengono durante quell’attesa servono per far sì che si crei una relazione e vengano fuori tutti quei bisogni che non erano stati espressi in un primo momento e ci sia anche la possibilità di dare una risposta a questi problemi o quantomeno di essere accompagnati in un percorso», spiega Luca.
Oltre alle difficoltà specifiche, secondo l’educatore, la principale questione che affrontano quasi tutte queste persone è la solitudine: «Si possono fare dei ragionamenti sulla maggior presenza di questo o quel paese di provenienza; ci sono momenti nei quali arrivano più ragazzi del Nord Africa o momenti nei quali è maggiore la presenza di persone dal Sud America, o, come vediamo recentemente, dalla Cina. Quello che percepiamo è però che tutti o quasi tutti sono accomunati dall’essere o sentirsi soli di fronte alle difficoltà che stanno affrontando, che possono anche essere solo burocratiche, quindi non necessariamente dovute a una grave marginalità sociale… ma sappiamo bene quanto ci si possa sentire soli di fronte alla burocrazia, soprattutto se si è in un paese che non è il proprio, con una lingua che non è la tua».
Lavorando al Malabrocca, secondo Luca, ci si rende conto che, al di là delle classifiche sulla qualità della vita che vengono fatte sui giornali, dove Milano ha una qualità della vita apparentemente straordinaria, ci sono persone e situazioni che sono e rimangono invisibili.
«Ecco – continua Luca – un posto come il Malabrocca ha questa funzione, secondo me estremamente preziosa, che non è quella di risolvere i problemi, perché spesso non si possono risolvere, ma è una funzione di rottura: qui proviamo a infrangere il vetro della solitudine, dell’isolamento e quindi anche se i problemi rimangono lì, tu puoi condividerli, puoi avere delle persone che ti seguono e se anche non possono darti una mano concretamente, comunque ti consentono di condividere un peso, di alleggerirlo e di muoverti anche più liberamente».
La storia di Bakir
Tra le tante storie di persone che ha incontrato in questi anni, Luca pensa a Bakir, «che è un po’ l’esempio di come, quando a una persona viene data la possibilità di avere uno spazio dove rimettere insieme i pezzi di un’esistenza che si era un po’ persa, si possa ripartire e riprendere in mano la propria vita.
Bakir è arrivato in Italia dal Bangladesh: non aveva i documenti, non aveva un lavoro e attraversava un momento di difficoltà. Il suo è stato un percorso “ideale”, perché è stato sì accompagnato, si è fatto aiutare, ma ha saputo anche mettere in campo le sue risorse. Non è stato accolto alla Casa, ma è stato seguito per diverso tempo dagli operatori del Malabrocca: «Insieme a lui abbiamo pensato a obiettivi da raggiungere a breve, medio e a lungo termine e puntualmente ci siamo ritrovati per aggiornarci la sua situazione. Lui mi raccontava cosa stava succedendo e capivamo se alcune cose andavano cambiate o se andava tutto bene. Oggi Bakir ha un lavoro a tempo indeterminato, ha un permesso di soggiorno e soprattutto ha dei progetti per la sua vita», conclude Luca.
La storia di Mihai
Come abbiamo detto, al Malabrocca alcune persone arrivano perché cercano una risposta a un bisogno basilare, come quello di lavarsi, cambiarsi, stare un po’ al caldo.
Come Mihai, un uomo rumeno di più di 50 anni. Racconta Ciro Di Guida, responsabile del servizio docce: «Da qualche tempo vive nei pressi del piccolo centro commerciale di via Adriano. Di sé non ha raccontato molto, se non che ha lasciato il suo paese alcuni anni fa e non ci è più tornato».
Mihai ha iniziato a venire alla Casa della Carità nei giorni delle docce, anche se in un primo momento lo faceva più per mangiare e bere qualcosa, stare al caldo, guardare la tv. «Inizialmente non parlava con nessuno e nemmeno voleva farla la doccia, abbiamo dovuto convincerlo… Gli abbiamo anche proposto di essere inserito in un dormitorio, ma dice che vuole rimanere lì dove sta, perché sta bene da solo e perché lì riesce a raccogliere qualche soldo facendo l’elemosina».
Mihai continua a frequentare il servizio docce della Casa e piano piano si è aperto, sia con gli operatori che con gli altri ospiti delle docce. Per lui il Malabrocca è un punto di riferimento.
Una semplice doccia, però, è il primo passo per una presa in carico più ampia, come nel caso di Farid e di Ana.
Le storie di Farid e Ana
Farid – racconta Moussa Abdallah, operatore del servizio docce, è un uomo marocchino di 57 anni, che vive in Italia da molto tempo: «Inizialmente è arrivato per fare la doccia. Poi incontrandolo più volte ci ha chiesto aiuto perché deve rinnovare il permesso di soggiorno che è scaduto».
Farid, però, non ha una residenza. «L’abbiamo messo in contatto con Peppe (Monetti, l’avvocato della Casa, ndr) che lo sta aiutando per il rinnovo. Lui continua a venire qui spesso e lo stiamo seguendo al Malabrocca».
Ana invece è una donna di 37 anni del Salvador, che frequenta la Casa da circa un anno. «È arrivata tramite il servizio di cure primarie, perché aveva una gamba ingessata a causa di una caduta e, dopo essere uscita dal pronto soccorso, non sapeva come accedere ad altre cure o cosa fare per togliere il gesso», spiega Monica Allievi, operatrice del servizio di cure primarie della Casa.
«Ana è poi tornata più volte per fare la doccia e col tempo abbiamo scoperto che la sua situazione è piuttosto complessa e stiamo cercando di aiutarla», aggiunge Alessandra Bozza, operatrice del Malabrocca.
È arrivata in Italia da sola, lasciando tre figli alle cure della sorella, che però la minaccia di non prendersi più cura di loro se Ana non le manda dei soldi: «Ana quindi invia soldi ogni mese, nonostante non abbia risorse e anche quando non lavorava. Ci ha anche raccontato di debiti accumulati, in parte dovuti a chi le aveva finanziato il viaggio per arrivare in Italia», spiega ancora Alessandra.
Ana aveva lavorato come badante, ma dopo la morte della persona che accudiva, si è trovata senza lavoro, senza soldi e senza un posto dove stare. Inoltre non aveva i documenti in regola. Grazie all’aiuto della Casa, è riuscita a trovare un lavoro come addetta alle pulizie in un teatro e si sta regolarizzando.
Ana è preoccupata per i suoi figli. Il più grande ha appena compiuto 18 anni e lei teme che lasci la casa della zia e finisca in brutte compagnie. Vorrebbe tanto rivederli e farli venire in Italia, ma è consapevole che deve prima sistemare la sua situazione. Al momento, infatti, vive in un posto letto e continua a venire alla Casa per fare la doccia.
«Nonostante riesca a portare avanti le cose che deve fare, a volte è un po’ disorientata e quindi si rivolge a me o a Monica, che parliamo spagnolo. Quando Ana viene a chiedere aiuto, le porte del Malabrocca sono sempre aperte», conclude Alessandra.