Storie

Il gioco dell’oca delle famiglie fragili

Per alcune famiglie fragili, avere una casa non basta per poter dire che il loro percorso è finito, perché hanno ancora bisogno di supporto. Ne parliamo con Donatella De Vito.

Roxana e Jan, arrivati dall’Est Europa a Milano con i loro tre figli – Anca, Maximilian e Tania – non hanno trovato in città altra soluzione abitativa che l’occupazione di una casa sfitta. Jan, infatti, non riusciva a trovare lavoro se non sporadicamente e Roxana, con tre bambini piccoli a cui badare, non aveva proprio il tempo di cercarlo un lavoro.

Per qualche anno sono riusciti a cavarsela grazie ai lavoretti di Jan, fino a che non sono stati sfrattati dalla casa che in cui vivevano. In quel momento per loro è iniziato quello che Donatella De Vito – responsabile del Settore Disuguaglianze e nuove povertà della Casa della Carità, definisce “il gioco dell’oca” nei centri del Comune di Milano che accolgono le famiglie in difficoltà: dal Centro di Emergenza Sociale di via Sacile (oggi chiuso) sono passati al Centro di Ospitalità Temporanea di via Novara, dove è arrivato il quarto figlio, Manuel, e da lì sono arrivati al Centro di Autonomia Abitativa che la Casa della Carità gestisce insieme al CeAS – Centro Ambrosiano di Solidarietà.

«Nel periodo in cui sono stati nostri ospiti, Jan è riuscito a trovare un lavoro stabile in una ditta che si occupa di smaltimento dell’amianto. Un lavoro duro e molto pericoloso, che però gli consente di sostenere economicamente la famiglia, mentre con Roxana la progettualità si è concentrata sull’aspetto sanitario e genitoriale. Manuel è stato inserito all’asilo; Anca, Maximilian e Tania dopo la scuola sono stati avviati a dei corsi professionalizzanti, grazie ai quali avevano trovato dei tirocini pagati», racconta Donatella.

Il percorso della famiglia verso l’autonomia sembrava ben avviato, grazie anche all’assegnazione di una casa popolare, fino a che a Jan non hanno diagnosticato una patologia polmonare dovuta al contatto con l’amianto. «I medici gli hanno consigliato di cambiare lavoro ma lui non ha trovato altro. Questo sta avendo un impatto notevole sulla salute mentale della moglie, che ha moltissima paura di perdere il marito, e sul percorso dei figli, che hanno lasciato i tirocini che stavano facendo», spiega De Vito.

La famiglia, trovandosi in difficoltà, ha ricontattato Donatella: «Dopo che si sono trasferiti in casa popolare avevamo fatto un passaggio con il servizio sociale di zona, come prevede il progetto di uscita dai centri comunali, ma loro sono in una zona, Corvetto, dove ci sono tanti nuclei problematici e poche risorse e quindi non credo ci sia stata un’effettiva presa in carico».

Su che cosa ci sta facendo riflettere la storia di questa famiglia? Chiediamo a Donatella: «Vedendo ciò che è successo a questa famiglia, ma anche ad altri nuclei, che a 8/9 mesi dalla dimissione si trovano ancora a chiedere supporto, ci stiamo rendendo conto che non basta salutarli una volta che hanno ottenuto la casa popolare e dir loro chiama quando hai bisogno. Registriamo che, accanto alla felicità per l’assegnazione di un alloggio, c’è anche una grande paura. Ed è normale: dopo anni vissuti in un centro, d’un tratto si ritrovano in un’altra zona di Milano, dove magari non conoscono nessuno, senza il supporto degli educatori e soli a gestire alcune complessità, dal monitoraggio dell’andamento scolastico dei figli, soprattutto quelli adolescenti al confronto con  le spese quotidiane».

«Vediamo – aggiunge –  che per alcune famiglie la casa non basta per poter dire che il loro percorso sia finito e quindi hanno bisogno di un follow-up specifico per poter effettivamente iniziare a vivere in maniera veramente autonoma. Su questo ci stiamo confrontando anche con il Comune di Milano, perché se saltano i percorsi educativi dei minori, se ci sono difficoltà economiche o lavorative o disagi psicologici che non ci vengono comunicati subito, il percorso verso l’autonomia si sgretola e queste famiglie rischiano di ritrovarsi, di nuovo, all’inizio del gioco dell’oca».

[Nell’immagine di apertura: una famiglia accolta al Centro di Ospitalità Temporanea di via Novara a Milano]


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