Storie

USCIRE DALL’EMERGENZA ABITATIVA: LA STORIA DI ANNA

Anna è stata ospite del Villaggio Solidale della Casa della Carità dove è stata aiutata a uscire da una situazione di emergenza abitativa e a ritrovare l’autonomia. Ecco la sua storia.

La mancanza di una casa, per le famiglie in emergenza abitativa accolte al Villaggio Solidale della Casa della Carità, si accompagna spesso con diverse problematiche e fragilità – dalla mancanza di lavoro all’impossibilità di rinnovare i documenti se stranieri, dal disagio psicologico alla crisi familiare – che trascinano queste famiglie in una spirale negativa, da cui faticano a uscire.

È quello che è successo ad Anna e alla sua famiglia, accolte al Villaggio Solidale nel 2016. Oggi, dopo un percorso lungo e non sempre facile, Anna, suo marito Said e i loro figli hanno però riconquistato l’autonomia e sono pronti a cominciare una nuova vita.

Ecco la loro storia.

L’inizio della storia di Anna e della sua famiglia

«Sono arrivata a Milano da Leopoli, in Ucraina, nel 2008 e ho iniziato quasi subito a lavorare come badante e donna delle pulizie. Nel 2010 ho conosciuto Said, un uomo egiziano che viveva in Italia da diversi anni. Ci siamo innamorati e nel 2012 è nato il nostro primo figlio, Alex», esordisce Anna. 

Mentre Anna è in maternità, la ditta edile di cui Said è titolare inizia ad andare male, costringendolo a dichiarare fallimento. Racconta Anna: «Per riuscire a pagare l’affitto, Said ha cominciato a fare dei lavoretti in nero. Anche io ho ripreso a lavorare, ma facevamo fatica ad arrivare a fine mese. Poi sono rimasta incinta del secondo figlio, Leo, e ho dovuto smettere di lavorare per badare ai bambini e per questo ho perso anche il permesso di soggiorno, perché era un permesso per lavoro».

Anna comincia l’odissea tra i centri di accoglienza

I pochi soldi che Said guadagna non bastano a pagare l’affitto e così la famiglia viene sfrattata dalla casa in cui abita. È in quel momento che comincia la loro odissea tra i centri di accoglienza dedicati alle famiglie in emergenza abitativa.  

Inizialmente Anna trova un posto per lei e i bambini presso un centro gestito da alcune suore, ma rimane di nuovo incinta e le regole della comunità sono molto rigide: le donne incinte non possono restare. 

Così Anna e i figli sono trasferiti in una comunità mamma-bambino vicino a Crema, dove rimangono un paio di mesi. Ed è lì che nasce la terza figlia di Anna e Said, Violetta. Intanto Said riesce a trovare una casa per tutta la famiglia, ma ancora una volta, dopo qualche tempo, vengono sfrattati, perché, dovendo crescere tre bambini, non riescono a pagare l’affitto.

Questa volta la famiglia viene trasferita, tutta insieme, nel centro di emergenza sociale temporaneo di via Barzaghi a Milano, dove però all’inizio del 2016 scoppia un brutto incendio. È allora che Anna, Said e i loro tre bambini arrivano alla Casa della Carità, dove sono accolti in emergenza nella sede di via Brambilla. 

L’arrivo al Villaggio Solidale: obiettivo autonomia

«Il progetto iniziale non prevedeva che restassero molto alla Casa, ma nel loro percorso si sono susseguite diverse difficoltà, da quelle socioeconomiche a quelle personali e burocratiche e sono rimasti con noi ben sette anni», racconta Donatella De Vito, responsabile del Settore Disuguaglianze e nuove povertà della Casa della Carità, che ha accompagnato tutto il percorso di Anna e della sua famiglia, per i primi quattro anni in via Brambilla e poi al “Villaggio Solidale” del Parco Lambro, il Centro di Autonomia Abitativa gestito dalla Fondazione in collaborazione con il CeAS – Centro Ambrosiano di Solidarietà. 

Nel frattempo, nel 2017, nasce anche il quarto figlio di Anna e Said, Christian. La sua nascita è una grande gioia per la famiglia allargata della Casa della Carità, ma prolunga il percorso verso l’autonomia, perché Anna, dovendo badare al piccolo, non può cercare un lavoro stabile

Anche la situazione lavorativa di Said non è buona: sono gli anni della crisi dell’edilizia, seguiti dal periodo della pandemia e lui non riesce proprio a trovare lavoro. «Quegli anni sono stati particolarmente critici per molte delle famiglie allora accolte o che avevano appena conquistato l’autonomia abitativa. C’è stato il rischio che molti tornassero alla Casa della Carità, perché generalmente il papà lavorava nel settore edile, colpito fortemente dalla crisi», spiega Donatella De Vito. 

Alle difficoltà lavorative si aggiunge poi il fatto che Anna e i bambini non hanno i documenti e la famiglia non può fare la domanda per richiedere una casa popolare. «Ci sono voluti ben sei anni e molti soldi per avere finalmente i passaporti per Anna e i piccoli. E ciò che ha sbloccato questa impasse burocratica è stata probabilmente l’accoglienza dei profughi fuggiti dall’Ucraina a partire da marzo 2022, che ha permesso finalmente ad Anna di avere un lavoro stabile».

La svolta grazie a un lavoro stabile

La guerra nel suo Paese di origine ha infatti segnato profondamente la vita di Anna, non solo dal punto di vista personale, perché ha perso dei parenti, ma anche dal punto di vista professionale. Racconta: «Quando le prime famiglie di profughi sono arrivate alla Casa della Carità era la sera del 16 marzo, mi ricordo ancora questa data. Mi sono resa subito disponibile come volontaria per aiutare nell’accoglienza delle persone che non parlavano inglese e per questo c’era urgente bisogno di qualcuno che traducesse dall’italiano all’ucraino e viceversa, così mi sono messa a disposizione». 

Dopo qualche mese, Donatella la propone come mediatrice culturale della Casa della Carità per i profughi Anna e viene assunta: finalmente ha un lavoro stabile, che le piace moltissimo e che significa per lei un vero e proprio punto di svolta. Dice Donatella: «Dal momento in cui Anna ha iniziato a lavorare per la Casa, è fiorita. È soddisfatta di sé e contenta di quello che fa, glielo leggo in faccia. E questo soprattutto perché ha finalmente riconquistato il suo ruolo di donna, per troppo tempo offuscato da quello di mamma. Anna è arrivata alla Casa con una ferita personale che non è riuscita a rimarginare subito, anche perché accudire quattro bambini non è facile. Ma il nuovo lavoro l’ha aiutata molto e per lei ha un valore in più, perché le ha anche dato la possibilità di dare una mano ai suoi connazionali in difficoltà, sfruttando allo stesso tempo capacità che probabilmente non pensava nemmeno di avere. Io non posso che essere estremamente felice per lei». 

Donatella ricorda anche un piccolo episodio, ma molto significativo: «Una delle cose che mi ha più commosso di Anna è stata quando, lo scorso Natale, anche se lavorava da poco e non guadagnava tanto, è andata in un centro commerciale e ha comprato per ognuna di noi operatrici un regalo personalizzato. Era un piccolo dono, ma la gioia che lei ha manifestato nel poter finalmente fare un regalo è stata grandissima. Perché anche la possibilità di pensare di poter spendere i propri soldi, che possiamo dare per scontata, per le famiglie che accogliamo è un grande passo».

E quando chiediamo ad Anna un ricordo felice di questi anni, lei non ha dubbi: «Il primo viaggio che sono riuscita a fare da sola, in Romania per il matrimonio di una parente. È stato davvero emozionante! I bimbi mi mancavano e io sono mancata a loro, ma finalmente ero Anna e non solo “la mamma”».

Anche Said è riuscito finalmente a trovare un buon lavoro stabile e ora fa il capocantiere per un’azienda edile. E poi, qualche settimana fa, è arrivata la notizia migliore di tutte: alla famiglia è stata assegnata una casa popolare.

All’inizio Anna si è un po’ spaventata, perché la Casa si trova dall’altra parte di Milano rispetto al quartiere Crescenzago e, dopo sette anni, questo è davvero un grande cambiamento. Si chiedeva come avrebbe fatto senza le operatrici e tutte le altre famiglie ospiti al Villaggio Solidale, ma la preoccupazione ha lasciato quasi subito spazio alla gioia di avere finalmente una casa sua, per sé e la sua famiglia. «La Casa della Carità e tutte le persone che la compongono per me sono davvero una grandissima famiglia. Abbiamo passato qui sette anni, duri, intensi, ma anche bellissimi. Avrò per sempre dei bei ricordi, come quando siamo andati in vacanza in campeggio con gli altri ospiti e gli operatori. È stata la prima vacanza insieme ai miei bambini e mi è piaciuto vedere la neve sulle cime delle montagne, anche se era estate», dice Anna.

Che aggiunge: «Ora non so bene come farò senza una parte della mia famiglia nella nuova casa.  Non ci saranno Donatella, Elisabetta, Arish e Cristina e non ci sarà Ali il custode… Mi mancheranno perché per me tutti loro sono casa».

Anche i bambini sono elettrizzati per questa svolta nelle loro vite. Donatella e le altre operatrici e operatori li hanno visti crescere e cambiare, hanno aiutato uno di loro ad ottenere la certificazione per il sostegno scolastico e li hanno seguiti durante il doposcuola al CeAS. 

Ma il cambiamento più evidente, anche per loro, è arrivato proprio dopo l’assegnazione della casa popolare. Ancora fanno fatica a credere che avranno finalmente due stanze per loro e non dovranno dormire tutti e quattro in un piccolo spazio e cominceranno ad andare in scuole diverse, più vicine alla nuova casa.

Anna è sicura che anche loro non si dimenticheranno degli anni alla Casa della Carità: «Christian, il più piccolo, riconosce le macchine di tutte le persone che lavorano al centro… Tutte le volte corre da me dicendomi “Sta arrivando Donatella, ho visto la macchina!”».

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La Fondazione BPM sostiene 15 famiglie in difficoltà seguite dalla Casa della Carità nel pagamento del canone di locazione della loro abitazione. Sono famiglie uscite da una situazione di emergenza abitativa e inserite nei percorsi per l’autonomia, ma che si trovano ancora in una condizione di fragilità economica.


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