Negli ultimi anni la Casa della Carità ha iniziato ad accogliere molte persone con disabilità o problematiche fisiche. Come Idrissa, la cui storia è raccontata da Stefano Bianchi.
La Casa della Carità ha una lunga storia di accoglienza e sostegno a donne e uomini con fragilità psichica, ma negli ultimi anni si è trovata ad accogliere anche molte persone con problematiche fisiche: senza dimora che devono affrontare cure mediche importanti e continuative, come la chemioterapia, e che non hanno un posto salubre in cui vivere e gestire gli effetti collaterali delle cure. Persone con disabilità motorie, congenite o conseguenza di incidenti o malattie. Cittadini stranieri che nei loro paesi non potevano avere accesso a cure mediche adeguate e che per questo sono migrate in Italia.
Persone con disabilità: un’accoglienza diversa
«Negli ultimi anni c’è stato un notevole aumento di segnalazioni, per esempio dagli ospedali, di persone molto fragili, sia dal punto di vista psichico ma soprattutto dal punto di vista fisico e sanitario. E quindi la nostra ospitalità è cambiata un po’», conferma Stefano Bianchi, responsabile della cosiddetta “alta intensità”, ossia quei progetti di accoglienza e riabilitazione dedicati a persone con problemi di natura fisica o di salute mentale.
Già da anni la Casa ha attivi alcuni posti all’interno del cosiddetto “SAI-DM” (Sistema di Accoglienza e Integrazione disagio mentale), dedicati a rifugiati con problemi di salute mentale. A questi si sono ora aggiunti tre posti, sempre all’interno del SAI e in collaborazione con Proges Cooperativa Sociale, per rifugiati e titolari di protezione speciale con problematiche fisiche. Oltre a queste accoglienze convenzionate con il sistema SAI, sono aumentati anche i posti “in gratuità” (cioè sostenuti dalle donazioni di privati cittadini e dai contributi di enti e fondazioni, come Fondazione Cariplo, che da sempre sostiene le attivita della Casa) dedicati a persone con disabilità o patologie fisiche.
Cambiare lo sguardo
«Per far fronte ai bisogni di queste persone, la Casa ha dovuto ricorrere anche a nuove professionalità, assumendo medici, infermieri e operatori socio-sanitari per somministrare i medicinali agli ospiti, monitorarne lo stato di salute, accompagnarli in ospedale per visite e terapie», spiega Stefano.
Che aggiunge: «L’attenzione per la salute, che è primaria, non preclude che si facciano anche progetti educativi e sociali, dalla messa in regola dei documenti alla ricerca di un lavoro laddove possibile, dalla richiesta di invalidità all’inserimento nelle categorie protette».
Se educatrici ed educatori lavorano sempre nello stesso modo, con un’equipe sempre più integrata con il personale sanitario, queste nuove accoglienze ci stanno aiutando a cambiare il nostro sguardo di operatori sociali e a renderci conto delle tante esigenze di chi ha una disabilità fisica: «Per esempio ci siamo resi conto che nelle strutture di accoglienza della Casa ci sono ancora troppe barriere architettoniche che ci stiamo impegnando ad abbattere», dice Stefano.
La storia di Idrissa
Tra questi nuovi ospiti c’è Idrissa, un ragazzo senegalese di 24 anni arrivato in Italia 5 anni fa con il sogno, comune a molti giovani africani, di diventare un calciatore.
Quel sogno però non si è realizzato e così Idrissa aveva iniziato a lavorare in un ristorante. Un giorno, poco tempo dopo l’assunzione, si è sentito molto male e a seguito di un ricovero d’urgenza in ospedale, gli è stata diagnosticata una grave forma di tubercolosi spinale. Nonostante un’operazione chirurgica, Idrissa non è più tornato a camminare.
«Idrissa ci è stato segnalato dal Comune di Milano ed è stato accolto alla Casa nel progetto SAI, per essere accompagnato nella riabilitazione. Per lui abbiamo trovato un appartamento, messo a disposizione da Proges Cooperativa Sociale, dove vive insieme a un altro ragazzo con una disabilità. Lo accompagniamo regolarmente presso l’Unità Spinale dell’ospedale Niguarda per le visite e le terapie, lo abbiamo sostenuto nelle pratiche per l’ottenimento del permesso di soggiorno e per il riconoscimento dell’invalidità e ci stiamo impegnando per farlo includere nelle categorie protette, così potrà cercare un lavoro», racconta l’operatore.
Idrissa vorrebbe fare il pasticcere, ma purtroppo sarà molto difficile trovare delle cucine senza barriere architettoniche dove può muoversi una persona che vive su una sedia a rotelle. Intanto però, ora che sta un po’ meglio, grazie alle terapie e alla riabilitazione, ha potuto realizzare un suo grande desiderio: tornare in Senegal per riabbracciare la mamma e la sorella, che non vedeva da 5 anni.
«In questo è stato fondamentale aiuto di Jibo un ex ospite della Casa che oggi lavora come OSS in via Brambilla, che l’ha aiutato a preparare questo importante viaggio», conclude Stefano.
Nel 2023, le attività di ospitalità residenziale di persone in condizioni di grave marginalità sociale sono state sostenute anche grazie ai fondi dell’8×1000, che annualmente l’Arcidiocesi di Milano destina alla nostra Fondazione.