Intervista con Chiara Mazzucco, bibliotecaria della Biblioteca del Confine della Casa della Carità
Alla Biblioteca del Confine è arrivata a maggio 2022, sostituendo lo storico bibliotecario Alessandro Coerezza. Da allora, ogni mese, ci propone i suoi consigli di lettura. Ma il suo lavoro è fatto di tanto altro. Abbiamo incontrato Chiara Mazzucco, bibliotecaria della Casa della Carità.
Chiara, come sei arrivata alla Casa della Carità?
Io arrivo da fuori Milano e devo ammettere che la Casa non la conoscevo. Un giorno, mentre ero impegnata nel servizio civile nella biblioteca di Arese, ho incontrato Alessandro Coerezza, che mi ha parlato della Fondazione. Di lì a poco lui avrebbe cambiato lavoro e sapeva che dopo il servizio civile mi sarebbe piaciuto continuare a lavorare nell’ambito delle biblioteche, facendo un’esperienza anche al di fuori di quelle pubbliche. E proprio Alessandro mi ha suggerito di provarci, di mandare la mia candidatura. Ed è andata bene perché da maggio 2022 sono qui!
Che cosa significa per te lavorare in una biblioteca “del confine”?
La vivo come una responsabilità grande, perché per me confine vuole dire stare su un ponte tra due realtà. La Biblioteca del Confine per me è un luogo aperto, che accoglie e restituisce, nel senso che promuove la dignità delle persone in difficoltà che vivono qui, le aiuta nell’apprendere, nel familiarizzare con una lingua che non è la loro, ma le sostiene anche nel conservare le loro storie e tradizioni. Significa completare il percorso di cura della Casa della Carità verso i suoi ospiti, che non sono solo sostenuti dal punto di vista sociale, medico o legale, ma anche a livello culturale, di formazione.
Che differenze vedi tra una classica biblioteca pubblica e la biblioteca di luogo come la Casa, che si occupa di accogliere persone fragili?
A mio parere qui c’è maggiore apertura e maggiore libertà di sperimentare tramite i progetti. Di più, qui si possono instaurare relazioni che vanno oltre quelle strettamente professionali. Hai, cioè, la possibilità di mettere in gioco il “lato umano” del bibliotecario, che non è solo colui che si richiude in quattro mura e deve conoscere a memoria i titoli dei libri, ma ha cura dei libri sapendo che sono lì perché servono a qualcuno e che sono uno strumento per conoscere l’altro. E questo per me è un salto di qualità.
Qui c’è anche la possibilità di progettare una biblioteca fatta su misura per ospiti, operatori, volontari ed è una bella sfida. Se nelle biblioteche pubbliche si cerca di accontentare un pubblico ampio, qui cerchiamo sì di accontentare tutti, perché tutti devono poter trovare un libro per sé nella biblioteca, ma è anche vero che diamo un indirizzo. Siamo una Biblioteca del Confine perché creiamo ponti, coltiviamo relazioni, valorizziamo le radici dei nostri ospiti, per esempio selezionando libri in lingua, che possano farli sentire a casa.
Qual è la particolarità del pubblico della Biblioteca del Confine?
Il pubblico degli operatori è molto esigente, perché richiede anche testi e documenti sempre aggiornati, affinché possano aiutarli nella loro formazione professionale. E non è detto che siano testi che si trovino altrove. E c’è la platea degli ospiti che non è sempre facile raggiungere, perché hanno molte fragilità, ma chi vuole qui può avere tutte le possibilità per approcciarsi alla lettura. Con questi lettori si creano dei legami. Magari non immediati, con il tempo, ma la biblioteca dentro la Casa dà questa possibilità.
C’è una richiesta particolare o che ti ha fatto piacere da parte di un ospite o operatore?
Mi ha fatto molto piacere la richiesta di due sorelle afghane, che stanno imparando l’italiano, di avere dei libri biografici su alcuni personaggi storici. Per me è stato interessante perché vuol dire che non vogliono confrontarsi solamente con una lingua diversa, ma anche imparare cose nuove.
Un target importante della Biblioteca del Confine sono i bambini, per esempio attraverso i progetti con le scuole del quartiere…
Abbiamo molti libri bilingue, per aiutare sia i bambini stranieri che i loro genitori. Sappiamo infatti che per una famiglia straniera ci sono tante complessità da affrontare, e leggere insieme ai figli non è la prima cosa a cui si pensa. Noi invece vogliamo che anche i genitori stranieri si approccino alla lettura insieme ai loro bambini, perché aiuta a ricreare il nido familiare, legami più solidi e perché le storie aiutano i bambini a leggere la realtà.
Con le scuole abbiamo molti progetti. L’ultimo in ordine di tempo è stata, in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità del 3 dicembre, la lettura di alcuni libri sul tema della fragilità. Ed è stato illuminante vedere come di fronte a temi difficili, i bambini abbiano risposto con semplicità disarmante e con un’apertura e accoglienza che a noi adulti manca.
Cosa bolle in pentola per il futuro?
Ci sono un po’ di cose in cantiere. Vorremmo trovare nuovi modi e nuovi canali per comunicarci e mi piacerebbe realizzare delle iniziative che coinvolgano gli adolescenti, puntando quindi a rafforzare la collaborazione con le scuole.
La Biblioteca del Confine è aperta. Perché un bambino, un ragazzo o un adulto dovrebbero venire proprio in questa biblioteca?
Perché qui troveranno storie, non solo letterarie, ma storie vere di inclusione e accoglienza, che permettono di confrontarsi con una realtà diversa e sfaccettata, probabilmente molto lontana dal nostro vissuto. Il mio invito è: venite e siate curiosi!
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