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PAPER 1 – Pandemia e salute. Una sintesi di cose lette in questi mesi – di Ambrogio Manenti

Non solo nulla sarà come prima, ma non torneremo mai alla normalità, bisognerà studiare nuove modalità di comportamento, studio, lavoro, vita sociale, per mantenere sempre una distanza di sicurezza l’uno dall’altro. Dovranno essere studiati di nuovo i teatri, gli stadi, i cinema, gli aerei, perché contengano meno gente e meno ammassata. (Rifkin, 2020)

A livello individuale, poi, scopriamo la paura della scarsità dei beni. Ciò può essere un aspetto positivo in questa crisi? Essa ci libera dal narcisismo consumistico, dal «voglio tutto e subito». Ci riporta all’essenziale, a ciò che conta davvero: la qualità delle relazioni umane, la solidarietà. Ci ricorda anche quanto sia importante la natura per la nostra salute mentale e fisica. (Giraud, 2020)

In fondo il nostro unico dovere morale è quello di dissodare in noi stessi vaste aree di tranquillità, di sempre maggiore tranquillità, fintanto che si è in grado di irraggiarla anche sugli altri e più pace c’è sulle persone, più pace ci sarà in questo mondo agitato. (Hillesum, 1941-43)

A. INTRODUZIONE

Prevenire eventi come una pandemia non è redditizio a breve termine. Quindi né mascherine né test sono stati disponibili in maniera adeguata. La capacità ospedaliera è stata ridotta in nome dell’ideologia dello smantellamento del servizio pubblico. La medicina di territorio non è stata mai considerata essenziale. Forti dell’esperienza dell’epidemia di Sars del 2002, Paesi come la Corea del Sud e Taiwan hanno predisposto un sistema di prevenzione estremamente efficace: lo screening sistematico e il tracciamento, puntando alla quarantena e alla collaborazione della popolazione adeguatamente informata e istruita. Confinamento limitato con un danno economico trascurabile. Invece dello screening sistematico, in Italia e negli altri paesi occidentali si è adottata una strategia antica, quella del confinamento, a fronte di una frazione esigua di infetti, e di una parte ancora più piccola tra questi con gravi complicazioni che comunque è stata maggiore dell’attuale capacità di assistenza dei nostri ospedali. Non avendo altre strategie, è chiaro che il non fare nulla sarebbe equivalso a condannare a morte centinaia di migliaia di cittadini. (Giraud, 2020)

La pandemia ha evidenziato alcuni aspetti deboli del nostro sistema sanitario pubblico per come si è andato sviluppando negli ultimi decenni. Occorre una reazione che promuova un cambio.

B. DEBOLEZZE DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE (SSN)

1.      La riduzione della spesa sanitaria pubblica in percentuale sul PIL Mentre la spesa sanitaria italiana e’ cresciuta dal secondo dopoguerra e successivamente come in tutto il mondo industrializzato (2,5% nel 1960; 4,1% nel 1970; 5,6% nel 1980; 6,1% nel 1990 e nel 2009, superava il 7%), la sua riduzione a partire dal 2009 ne evidenzia il definanziamento che è rilevante in particolare considerando che in tale periodo il PIL è diminuito in Italia dello 0,3 annuo (Geddes, 2020, vedi fig.1). Diminuisce la spesa pubblica e aumenta l’out-of-pocket money cioe’ il contributo individuale dell’utente al costo del servizio attraverso i ticket (Fenech, Panfili, 2013)[1]. La spesa dei cittadini, nel 2009 copriva il 21% del totale e nel 2017 arrivava a quasi un quarto, il 23,5%: il 46% in più rispetto alla media europea del 16%. Un dato che, se continua a crescere, potrebbe minare l’universalità del sistema sanitario.

l problema tuttavia non è solo italiano. In Europa i sistemi di assistenza pubblica, per quanto meritevoli, hanno subito un po’ dovunque – tranne in Germania – tagli di cui ora si pagano le conseguenze. (Currie, 2020)

In realtà, il difetto nel nostro sistema economico ora rivelato dalla pandemia è purtroppo semplice: se una persona infetta è in grado di infettarne molte altre in pochi giorni e se la malattia ha una mortalità significativa, come nel caso di Covid-19, nessun sistema economico può sopravvivere senza una sanità pubblica forte e adeguata. (Giraud, 2020)

La salute non è stata una priorità dei governi. La riduzione del budget pubblico e il contributo finanziario crescente degli utenti hanno creato problemi di equità rispetto all’accesso al servizio sanitario pubblico e ne hanno condizionato la qualità, sia sul territorio che negli ospedali.[2]

2.      Le attività di salute del territorio sono andate via via ridimensionandosi nel corso degli ultimi decenni.  Per salute di territorio si intendono le attività che si sviluppano sotto l’egida del distretto sanitario: sanità pubblica, medicina di base, servizi infermieristici, consultorio famigliare, servizi socio-sanitari, assistenza domiciliare e altri servizi. Sono interventi previsti dalla riforma sanitaria che ha istituito il Sistema Sanitario Nazionale-SSN (Legge 833 del 1978)[3] e considerati essenziali per la gestione della salute dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Dichiarazione di Alma Ata, 1978)[4]

Ma le cose sono andate diversamente. ”Il nostro servizio di fatto è sempre stato un servizio centrato sull’ospedale, mentre poche risorse sono distribuite al territorio e pochissime sono dedicate alla prevenzione e alla promozione della salute. Il sistema dei tagli lineari di fatto ha chiuso posti letto, tagliato il personale, e una delle argomentazioni, che in alcuni casi è condivisibile, era ‘dobbiamo muoverci dall’ospedale al territorio’. Molto spesso però quello che è accaduto è stato tagliare i posti all’ospedale e basta”. (Bodini, 2020) [5]

Le conseguenze di questo approccio hanno purtroppo marcato la gestione della pandemia da Coronavirus.

In Lombardia:

‘’Il mancato governo del territorio ha determinato la saturazione dei posti letto ospedalieri… La situazione disastrosa in cui si è venuta a trovare la nostra Regione, anche rispetto a realtà regionali vicine, può essere in larga parte attribuita all’interpretazione della situazione solo nel senso di un’emergenza intensivologica, quando in realtà si trattava di un’emergenza di sanità pubblica. La sanità pubblica e la medicina territoriale sono state da molti anni trascurate e depotenziate nella nostra Regione”. (Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Lombardia. Lettera indirizzata ai vertici della sanità lombarda. 6 Aprile 2020).

In Piemonte:

‘La gravissima carenza delle attività di igiene pubblica (non si è potenziato numericamente il servizio fin da subito) a causa della quale non è stato possibile intercettare immediatamente sul territorio i sintomatici, i positivi e far seguire a questo il tracciamento rigoroso dei contatti, la quarantena dei conviventi o dei sospetti a rischio con eventualmente: isolamento dei contatti, tamponi sul territorio a malati e contatti, ecc…La situazione problematica in cui si è venuta a trovare la nostra Regione è leggibile proprio in questo sbilanciamento della gestione dei pazienti negli ospedali anziché sul territorio, che avrebbe potuto e dovuto essere un primo filtro efficace, se adeguatamente attrezzato e supportato. Si è anche pagato il progressivo depotenziamento delle risorse territoriali, dovuto ai continui tagli e al contenimento della spesa… E si sono sovraccaricati gli ospedali, anche loro gravemente penalizzati in questi anni da tagli di personale e posti letto. (Ordini dei Medici e Odontoiatri del Piemonte: “Ospedale e territorio, realtà indispensabili per gestire la crisi.” 8 Aprile 2020) 

Misure che sono l’abc dell’igiene e della sanità pubblica, come l’inchiesta epidemiologica cioe’ la ricerca della fonte d’infezione e la sorveglianza attiva – monitoraggio dei soggetti contagiati, identificazione dei conviventi e dei contatti ovvero i soggetti che hanno avuto rapporti con il malato tali da consentire il contagio – sono state di fatto ignorate nel corso della pandemia. (Innocenti et al, 2020).

Questo intervento essenziale per affrontare un problema di sanita’ pubblica comporta l’accertamento diagnostico, l’isolamento, il follow upche sono realizzati con l’intervento di operatori che si muovono per il territorio nelle case, nelle scuole, nei luoghi di aggregazione.

E’ un’attivita’ che non puo’ essere improvvisata e che il servizio pubblico (Regione e Azienda Sanitaria,) dovrebbe essere in grado di attivare in caso di necessita’ se avesse personale adeguato e risorse appropriate. Ma cio’ non e’ stato considerato importante da coloro che che dovevano prendere le decisioni di politica sanitaria a livello locale e regionale e inevitabilmente le attivita’ territoriali di sanita’ pubblica durante la crisi Covid 19 sono state clamorosamente assenti (tranne in pochi casi[6] delegando la gestione territoriale ai soli medici di famiglia con l’impossibilita’ di gestire in modo appropriato casi e contatti a domicilio e inevitabile sovraccarico degli ospedali.

Così la giornalista Gabanelli descrive la situazione in Lombardia: ‘’La Regione Lombardia abdica al ruolo di sorveglianza dei contagi sul territorio, dove è cruciale rintracciare e accertare un’eventuale positività dei cittadini a rischio, perché vicini a colleghi di lavoro e familiari ammalati. Per loro non è sempre previsto il tampone e i contatti stretti troppo spesso non sono neppure chiamati dalle Agenzie di Tutela della Salute (ATS) per il monitoraggio della quarantena. La rete dei medici di base e dei distretti, cruciale nell’intercettare un paziente all’esordio dei sintomi ed evitare che degenerino, è stata smontata nel corso degli anni. L’arrivo in ospedale di casi già troppo gravi scandisce i racconti delle cronache lombarde degli ultimi 50 giorni. I medici di base sono lasciati andare allo sbaraglio per settimane intere: chi segue scrupolosamente i pazienti lo fa rischiando la vita (e spesso rimettendocela), gli altri lasciano i malati a loro stessi’. (Gabanelli, 2020)

Un discorso specifico andrebbe poi fatto sulle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) e ‘sullo stato di abbandono prima umano, oltre che assistenziale, di oltre trecentomila anziani custoditi nelle RSA (Maciocco, 2020) e sul conseguente alto tributo di vittime pagato.

Secondo Saraceno, l’alto numero di vittime COVID-19 registrato nelle RSA ha a che fare con la loro intrinseca natura istituzionale che ha caratteristiche comuni a tutte le istituzioni totali, di fatto in violazione delle principali direttive della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. (Saraceno, 2020)

3.      Le attività degli ospedali pubblici sono andate indebolendosi nel corso dell’ultimo decennio per la diminuzione del personale medico e infermieristico e conseguenti liste di attesa sempre più lunghe da parte degli utenti per avere accesso alle prestazioni ordinarie – ricoveri e visite specialistiche. Il personale dipendente dal Servizio Sanitario Nazionale ha subito da anni un costante ridimensionamento. Dal 2009 a oggi si sono persi 40.000 operatori di tutte le professionalità. (Baldacci et al, 2017)[7]

La domanda di fondo è perché si è de-ospedalizzato. La risposta è che da tempo i sistemi sanitari cercavano di attrezzarsi alla “transizione epidemiologica” verso malattie non trasmissibili (come il cancro, il diabete e alcune malattie degli apparati respiratorio e cardiocircolatorio), che tendono a cronicizzarsi e a presentarsi insieme. Per queste malattie si parla oggi di una vera e propria pandemia in atto a livello globale. Dal punto di vista della ristrutturazione dei sistemi sanitari, c’è un accordo generale nel considerare inappropriato un ricovero ospedaliero al di fuori della fase acuta della malattia. La cura, per questi pazienti, richiede quindi meno ospedali e più strutture territoriali. Se ne parla da decenni nel nostro paese e la quota del finanziamento complessivo della sanità destinata all’assistenza ospedaliera, in questi anni, si è ridotta per favorire il finanziamento dell’assistenza territoriale e della prevenzione. Il problema è che i cittadini hanno visto gli ospedali dimagrire, senza veder migliorare contemporaneamente come avrebbero dovuto (soprattutto in alcune realtà locali) i servizi sul territorio. (Angelici et al, 2020)

Le conseguenze durante la crisi del Coronavirus sono state pesanti.

Il risultato è stato per esempio un sotto dimensionamento della terapia intensiva, messa in luce dalla differenza eclatante nella disponibilità di posti letto di terapia intensiva rispetto alla Germania con circa 30 posti letto di terapia intensiva per 100.000 abitanti mentre l’Italia è intorno ai 12. (Rinnenburger, 2020).

Citiamo due tra le innumerevoli testimonianze sul campo.

”Nella shock room del Pronto Soccorso di un ospedale della provincia di Bergamo il 3 marzo ci sono tre possibili candidati per un solo posto disponibile in Terapia Intensiva. “L’aria nella stanza è pesante, calda e umida: sotto il camice chirurgico, la mascherina FFP2 e i doppi guanti, dopo pochi minuti ci si inzuppa di sudore, si ha la sensazione di essere in un acquario e di respirare aria e virus. I rumori sono incessanti, gli allarmi, il sibilo dei gas, i telefoni che squillano, creano un sottofondo che rende difficile sentire le voci dei malati sotto i caschi. Mi tocca scegliere: mi sento come un marinaio sulla scialuppa del Titanic che gira intorno alla nave che sta affondando e deve scegliere chi far salire e chi lasciare annegare. Guardo i malati, li esamino, spero non capiscano cosa sto facendo, alla fine decido; ovviamente scelgo il più giovane. Siamo abituati a lavorare sul confine tra la vita e la morte e quasi sempre la decisione è collegiale e condivisa, ma in queste giornate spesso siamo stati soli a sparare nel buio”. (Mastrorocco, 2020)

”ll nostro ospedale è altamente contaminato e siamo già oltre il punto del collasso: 300 letti su 900 sono occupati da malati di Covid-19. Più del 70% dei posti in terapia intensiva sono riservati ai malati gravi di Covid-19 che abbiano una ragionevole speranza di sopravvivere”. (Dalla lettera dei medici dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. 23 Marzo 2020)

4.      La progressiva importanza della sanità privata a discapito di quella pubblica nella gestione di servizi pubblici convenzionati.

Purtroppo la tendenza a ridimensionare l’intervento pubblico a favore del privato in sanità è una tendenza diffusa a livello globale negli ultimi decenni.

Tanti hanno assimilato le parole d’ordine neo liberiste “Meno stato, più mercato!”[8]

Lo “stato sociale” è stato presentato come un ferrovecchio, un’utopia ingenua e dannosa. [9]

Secondo Noam Chomsky, esiste un metodo per sviluppare l’opzione neoliberista che funziona perfettamente a tutte le latitudini: “That’s the standard technique of privatization: defund, make sure things don’t work, people get angry, you hand it over to private capital” (“Questa è la tecnica standard per la privatizzazione: tagli i fondi, assicurati che le cose non funzionino, fai arrabbiare la gente e lo consegnerai al capitale privato”). (Maciocco, 2019)[10]

La posizione di molti specialisti di salute pubblica è coerente su un punto: la pandemia Covid-19 sarebbe dovuta rimanere una epidemia più virale e letale dell’influenza stagionale, con effetti lievi sulla grande maggioranza della popolazione, e molto seri solo su una piccola frazione di essa. Invece – se consideriamo in particolare alcuni Paesi europei e gli Stati Uniti – lo smantellamento del sistema sanitario pubblico ha trasformato questo virus in una catastrofe senza precedenti nella storia dell’umanità e in una minaccia per l’insieme dei nostri sistemi economici. (Giraud, 2020)

Ciò è accaduto in parte anche Italia e particolarmente in alcune regioni ad esempio la Lombardia. «La sanità pubblica è stata tagliata, indebolita e smantellata… il 40% della spesa sanitaria corrente è stato destinato a strutture private». (Agnoletto citato da Battaglia, 2020)

Il Servizio Sociosanitario lombardo è stato radicalmente trasformato negli ultimi decenni. Sartor analizza due “fotografie” per ricostruire come il sistema sanitario si presentasse strutturalmente alla fine del 1994 con predominanza del servizio pubblico e successivamente alla fine del 2017, dopo cinque legislature di simile orientamento politico (centro-destra), con una pesante ingerenza del privato. (Sartor, 2020)

Prima dello scoppio dell’emergenza coronavirus, in tutte le province, tra le strutture di ricovero ordinario, quelle private superavano il 50%. E quanto ci rassicura la consistente presenza della sanità privata di fronte ad iniziative che per la loro criticità e gravità devono essere imposte da una istituzione pubblica agli erogatori e che richiedono, da parte del management e del personale sanitario, una abnegazione e una forte motivazione deontologica più che un orientamento al profitto o, per quanto riguarda il personale, una motivazione circoscritta ad interessi personali, economici o di altro tipo? [11](Sartor, 2020)

Durante il Covid-19, in Lombardia il sistema ospedaliero, dove pubblico e privato sono stati messi sullo stesso piano, va subito in crisi. A ridosso del 21 febbraio, con i posti letto delle Terapie intensive sottodimensionati (8,5 su 100 mila abitanti contro i 10 dell’Emilia e del Veneto) e il 30% in gestione alla Sanità privata convenzionata, la Regione deve contrattare la loro attivazione con gli ospedali privati in un momento in cui il fattore tempo è determinante. (Gabanelli, 2020)

Al 29 febbraio 2020 in Lombardia le strutture di ricovero e cura in prima linea nell’emergenza coronavirus sono tutte pubbliche [12]. «L’informazione circa la “natura pubblica” delle strutture in prima linea nell’identificazione e nella cura dei contagiati dal coronavirus è, quindi, la prima notizia rilevante su cui soffermarsi. La seconda notizia è l’assenza sostanziale nell’emergenza in Lombardia, e nel periodo considerato, di un ruolo rilevante della sanità privata» (Sartor citata da citata da Battaglia, 2020)

L’impatto dell’emergenza si è riversato in tutta la fase iniziale esclusivamente sulla rete ospedaliera pubblica. Il settore ospedaliero privato, nonostante la sua espansione degli ultimi anni e l’assorbimento di ingenti finanziamenti regionali, è stato chiamato in ritardo a dare il suo contributo, che è rimasto comunque limitato. D’altronde, in questi anni, anche se teoricamente coordinati dalle Aziende Socio-Sanitarie Territoriali (ASST) pubbliche nel quadro della Rete integrata di continuità clinico assistenziale, gli operatori privati si sono strutturati in modo autonomo, organizzando e gestendo i propri servizi nei settori meno costosi e con le tariffe più remunerative, non in relazione ai bisogni sanitari della popolazione. Basti ricordare che i posti privati per le malattie infettive sono solo il 6% del totale (uno solo reparto) e i posti in pneumologia il 7%, a fronte del 74% dei posti in recupero e riabilitazione. Inoltre è chiaro che nelle emergenze il settore privato va sollecitato, non è immediatamente disponibile e il suo ruolo al di fuori dei contratti stabiliti con la regione va rinegoziato. (Medicina Democratica, 2020)

La strategia lombarda è stata chiara: disinvestire dalla medicina di comunità e dai territori, sviluppare solo il polo ospedale e favorirne la privatizzazione.[13]  (Saraceno, 2020)

5.      Le gestione della sanità a livello regionale si e’ sviluppata, in generale, con diseguaglianze nella qualità dell’erogazione dei servizi e disorganicità nelle strategie di controllo dell’infezione da Covid-19.  

Le differenti scelte programmatorie a livello regionale, l’organizzazione e la gestione dei servizi sanitari basata su scenari finanziari in molti casi problematici, determinano una eterogeneità che influisce sia sulla qualità dell’offerta dei servizi erogati che sull’equità dell’accesso. (Sabetta, 2016)

Durante la crisi pandemica si è sviluppata una frammentarietà inadeguata per affrontare un fenomeno mondiale, con 21 entità che hanno spesso applicato politiche sanitarie differenti senza uniformità e unitarietà, contraddicendo l’orientamento della legge 833 che ha istituito nel 1978 il Sistema Sanitario Nazionale. L’emergenza coronavirus ha accentuato il cortocircuito di competenze tra Governo e Regioni in tema di tutela della salute, oltre che la “competizione” tra Regioni su tempi e regole per la riapertura. (Cartabellotta, citato in Fondazione GIMBE 2020)

6.      Assenza di un piano nazionale per le Pandemie

‘’Il difetto non è stato di conoscenza, bensì la presunzione, dimostratasi manifestamente e tragicamente errata, che questa eventualità avrebbe continuato ad interessare altri luoghi, percepiti “lontani” geograficamente, soprattutto come abitudini e stili di vita. Una presunzione che forse è all’origine di quell’inerzia che nel nostro Paese ha impedito che si desse concreta attuazione al Piano Nazionale di Preparazione e Risposta a una Pandemia, prodotto dal Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie nel 2008. Nonostante il piano e i suoi obiettivi, la predisposizione e implementazione delle azioni concrete ed efficaci finalizzate a preparare il Sistema Sanitario Nazionale ad affrontare in modo adeguato una pandemia non ha avuto luogo, inoltre dal 2008 ad oggi il Piano non è mai stato aggiornato. Secondo il Global Health Security Index, sviluppato dalla John Hopkins University, l’Italia è infatti al 51esimo posto a livello mondiale in termini di capacità di risposta e preparazione a una pandemia.’’ (Carradori, 2020)

C. CHE FARE ?

Consci della necessita’ di un processo di cambio ampio che includa a livello globale l’economia,  l’ambiente, l’istruzione, la cultura e tutti i contesti ove entrano in gioco i determinanti sociali della salute, in questa sede ci concentriamo sul Sistema Sanitario e le attivita’ che riguardano piu’ direttamente la salute. [14]

‘’La salute di tutti dipende dalla salute di ciascuno. Siamo tutti connessi in una relazione di interdipendenza. E questa pandemia non è affatto l’ultima, la «grande peste» che non tornerà per un altro secolo, al contrario: il riscaldamento globale promette la moltiplicazione delle pandemie tropicali, come affermano la Banca Mondiale e l’Intergovernmental Panel on Climate Change da anni. E ci saranno altri coronavirus. Senza un efficiente servizio sanitario pubblico, che consenta di selezionare e curare tutti, non esiste più alcun sistema produttivo praticabile durante un’epidemia da coronavirus.’’ (Giraud, 2020)

Sistema sanitario e servizi di salute

A livello internazionale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità – OMS, il cui obiettivo secondo la sua Costituzione è “il raggiungimento, da parte di tutte le popolazioni, del più alto livello possibile di salute“, dovrebbe essere il punto di riferimento globale e le sue raccomandazioni vincolanti .[15]

A livello paese, il sistema pubblico di medicina di territorio e quello ospedaliero dovrebbero essere dai governi considerati non un mero costo ma un investimento per la salute e il benessere delle persone, oltre che per lo sviluppo economico.

Il Ministero della Sanità dovrebbe intervenire sul  Sistema Sanitario Nazionale-SSN invertendo decisamente la rotta rispetto al passato prendendo misure concrete per il superamento delle debolezze sin qui descritte. Le indicazioni contenute nel Patto per la Salute presentato dal Ministro Speranza un paio di mesi prima dell’emergenza Covid 19 sembrano iniziare un percorso positivo. “Proveremo ogni giorno a migliorare il nostro SSN. Dobbiamo investire e mettere ancora più risorse, favorire l’accesso di nuove energie e di capitale umano, dobbiamo investire sulla sanità digitale e sulla ricerca’’. Il Piano prevede un aumento del Finanziamento del Fondo sanitario nazionale e un rafforzamento della componente risorse umane con nuove assunzioni e investimenti infrastrutturali per l’ammodernamento tecnologico delle attrezzature. Per quanto riguarda l’assistenza territoriale e la medicina generale il Piano parla di riorganizzazione dell’assistenza territoriale con l’obiettivo di favorire, attraverso modelli organizzativi integrati, attività di prevenzione e promozione della salute, percorsi di presa in carico della cronicità basati sulla medicina di iniziativa puntando al potenziamento dell’assistenza domiciliare e all’assistenza infermieristica di famiglia/comunità, per garantire la completa presa in carico integrata delle persone, nell’ambito della continuità dell’assistenza, e dell’aderenza terapeutica in particolare per i soggetti più fragili. (Speranza, 2019)

Speriamo che tutto ciò si concretizzi in tempi brevi e che i nuovi fondi resi disponibili dalla crisi pandemica rafforzino questa impostazione e che tuttavia deve tener conto nel processo di cambio di una serie di esperienze importanti, anche se minoritarie, che si sono sviluppate, a livello di territorio in questi anni, in varie parti del paese. (vedi Maciocco, Lettera aperta al Ministro della salute, 2020)

Inoltre Il Ministero della Sanità dovrebbe aggiornare e attuare il Piano Nazionale di Preparazione e Risposta a una Pandemia.

A livello Regionale e delle Aziende Sanitarie occorrerebbe intraprendere una serie di azioni.

Reinvestire in modo netto in sanità sia dal punto di vista strutturale, che come personale, “per essere pronti non solo a fronteggiare la normalità ma anche per poter intervenire in casi drammatici come questo”. (Ortigosa, 2020)

Integrare attività di Territorio e Ospedale, come era previsto dalla legge 833 e come succede in alcune esperienze (es Azienda Sanitaria di Piacenza) ove Territorio e Ospedale sono unite in un unico assetto organizzativo favorendo una intensa osmosi di saperi, competenze, azioni, mansioni fra profili sanitari e discipline precedentemente arroccate all’interno di confini molto definiti e rigidi. (Andena, 2020)

Sviluppare un servizio territoriale che preveda team di cure primarie multidisciplinari, ricerca attiva dei casi e dei contatti, assistenza domiciliare dei casi paucisintomatici e dei pazienti dimessi, basato su nuovi termini di riferimento per i medici igienisti, che dovranno operare nella comunità e non negli uffici aziendali. (Curtale, 2020)

Riorganizzare la medicina di famiglia[16]. Il modello assistenziale, dovrebbe essere basato sulla sanità d’iniziativa il cui principio cardine è la costituzione di team multidisciplinari (medici di famiglia, infermieri, specialisti, operatori sociali) con lo scopo di identificare e trattare precocemente i problemi di salute della popolazione, per prevenirne o ritardarne l’aggravamento. (Maciocco, 2020)

Inoltre occorre includere concretamente l’aspetto dei determinanti sociali della salute, sviluppare un approccio integrato tra sociale e sanitario e sperimentare modalita’ innovative di welfare di comunita’ (es. Case della Salute) [17] [18]

Mettere in piedi al più presto – per affrontare la pandemia del Covid 19 -l’organizzazione per il tracciamento “manuale dei contagi – occorre fare una visita personale a ogni persona contagiata, per sapere con chi sia entrata in contatto – per prevenire la seconda ondata, evitando lo sviluppo di nuovi focolai incontrollati dell’epidemia. Per questo intervento serve molto personale: medici igienisti, assistenti sanitari, educatori professionali, ma si può attingere anche agli specializzandi e agli studenti di varie discipline (medicina, infermieristica, etc)[19]. (Maciocco, 2020)

Welfare di comunità nonostante il distanziamento socialeAdesso lo sappiamo quanto è triste stare lontani un metro. (Gualtieri, 2020 )

Le modalità di rafforzamento del sistema sanitario pubblico e in particolare della medicina di territorio suggerite sopra scontano tuttavia una situazione non ideale creata dalla pandemia Covid 19.  

La democrazia post-moderna si basa sull’immunizzazione e quindi il cittadino è spinto a chiedere innanzitutto la protezione e non la partecipazione, che sarebbe l’idea cardine della democrazia. La protezione comporta una serie di misure, di isolamento o perfino di autoisolamento, che si trasformano nella paura del contatto con gli altri. Nel concetto di “democrazia immunitaria” è presente in maniera profonda lo “spettro del contagio”: l’altro” visto come portatore di morbo e si insinua la volontà di non essere toccati, e quindi contagiati. (Di Cesare,2020)

Il Covid-19 invade non solo ‘il corpo fisico individuale’ ma anche quello sociale. Franco Basaglia consigliava la ‘restituzione del corpo sociale’ alle persone escluse e marginalizzate come utopia per la moderna riforma della salute mentale. Questo ideale e’ ora minacciato considerando che il network sociale e’ compresso. Non sappiamo sino a dove puo’ arrivare il supporto sociale dentro le costrizioni attuali con il distanziamento sociale e i contatti limitati spesso a internet, telefono o TV. (Mezzina et al, 2020)

D’altro canto però avevamo lasciato, prima dello scoppio dell’epidemia, le nostre comunità intrappolate dalla pulsione securitaria: difendere i confini, erigere bastioni, chiudere i porti, rivendicare diritti etnici delle popolazioni. Covid-19, per un verso, ha spazzato via la neo-melanconia di questa introversione mostrando che nessuno si salva da solo, sbaragliando i confini, deterritorializzando il nemico, costringendoci alla solidarietà. (Recalcati, 2020)[20]

Si va verso un welfare a un metro di distanza: ognuno di noi si sente investito di una responsabilità che non è solo verso sé stesso, che implica il benessere di una comunità complessa, potenzialmente molto grande, ma che si sente parte di un momento che ci vede tutti un po’ protagonisti. “Metti la mascherina”, “togli la mascherina”, “disinfetta e disinfetta-ti”, “mettiti in fila”, “rispetta le distanze”, queste solo alcune delle gestualità quotidiane che possono essere paragonate a delle ritualità che come comunità allargata stiamo mettendo in pratica, e che, nonostante la stanchezza e la fatica nel metterle in atto ci permettono di creare sottili legami con quella ritrovata “comunità di prossimità”. “La crisi e l’emergenza sanitaria che abbiamo vissuto hanno dimostrato in modo spontaneo la teoria di Robert Sugden, economista inglese, che afferma che sono i beni relazionali a determinare il benessere. Un bisogno di benessere collettivo che ci ha visti tutti protagonisti di un processo di solidarietà generativa. Credo sia fondamentale ragionare sulla possibilità di re-immaginare un sistema welfare ri-partendo dalle relazioni peer-to-peer e dalla forza del capitale solidale in comunità locali.” (Asquini, 2020)

Dobbiamo chiederci dunque nell’incertezza in cui siamo immersi, se il virus genererà apertura o rinserramento, se produrrà solidarietà o rabbia rancorosa, se produrrà comunità o solitudine, nuova energia o isolamento. Siamo in una forbice tra rancore che può farsi rabbia alla ricerca del capro espiatorio in cima alla piramide o nella prossimità orizzontale delle differenze o come sostiene De Rita, contiamo ancora sull’antropologia adattiva della società italiana e ce la faremo. Per questo oltre al vaccino occorre produrre anticorpi sociali che si mettono in mezzo producendo inclusione. (Bonomi, 2020)

Le dimensioni dello spazio e lo stile del management sembrano fattori cruciali per esempio nella gestione del disagio mentale: piccoli gruppi di case gestite condividendo un simile punto di vista e approccio con gli ospiti in piccoli spazi sono piu’sicuri mentre ampie residenze  come le case di riposo – tipo istituzioni tradizionali – creano maggiori difficolta’. La lezione generale da apprendere e’ questa: spostarsi dalle strutture istituzionali standard a servizi alla persona mantenendo vicinanza e familiarita’. Occorre evitare una frammentazione di interventi creando sinergie tra servizi si salute, sociali e terzo settore. (Mezzina et al, 2020)

La Microarea[21] per esempio, una esperienza di salute di comunità semplice ed efficace, poco costosa e replicabile, sviluppatasi a Trieste durante gli ultimi 15 anni, anche durante l’emergenza Coronavirus, da un lato sembra riuscire a far fronte alla situazione garantendo il monitoraggio e il supporto dei fragili, dall’altro si trova a fare i conti con un grandissimo stravolgimento delle modalità di lavoro, solitamente basato sul faccia a faccia e sullo stimolare “assembramenti”. “I primi giorni – dice un’operatrice – sono stati durissimi. Si è trattato di fare il contrario di quello che ho cercato di fare per 12 anni. Mandar via la gente dalla sede. Ci stiamo tutti interrogando su come si fa “sviluppo di comunità” in tempi di distanziamento sociale”. (Bono, 2020)

4. CONCLUSIONI

Humanity needs to make a choice. Will we travel down the route of disunity, or will we adopt the path of global solidarity? If we choose disunity, this will not only prolong the crisis, but will probably result in even worse catastrophes in the future. If we choose global solidarity, it will be a victory not only against the coronavirus, but against all future epidemics and crises that might assail humankind in the 21st century. (Harari, 2020)

La risposta al rischio di contagio con il lockdown ha rivelato l’importanza della solidarietà di cittadinanza e del valore della reciprocità. Delle pratiche ispirate a questo sentimento ragionato ci sarà soprattutto bisogno in questa fase di transizione, ardua e lunga, verso una nuova normalità. Quando si parla di solidarietà si registrano spesso reazioni di diffidenza e di critica. Come se chi la propone intendesse prospettare uno stato etico e paternalista, dove tutti sono votati al sacrificio per un bene reputato superiore a quello individuale…In realta’ e’ il vivere sociale libero che mette in campo reciprocità, responsabilità e solidarietà perché mostra che la nostra limitatezza individuale nel progettare e decidere può essere corretta cooperando nelle forme e nei modi più svariati… Presume che i cittadini abbiano consapevolezza del fatto che sia nel loro interesse soccorrersi ed associarsi per meglio risolvere i loro problemi. Che, in soldoni, i loro privati interessi saranno più sicuri o meglio protetti se lo saranno anche quelli degli altri; che una società meno ingiusta e diseguale è anche più sicura per tutti. In questo senso, la solidarietà è un cemento delle società libere e democratiche, e non ha bisogno di una concezione densa del “noi”. L’articolo 3 della nostra Costituzione ne è un esempio, perché dice che la Repubblica si impegna a rimuove gli ostacoli all’eguale partecipazione alla vita pubblica non per farci realizzare dei fini speciali, ma per farci essere quel che siamo – donne e uomini, persone con diverse religioni e condizioni economiche – senza che ciò comprometta il nostro egual potere politico. La solidarietà richiesta nella fase del post lockdown non è altro che il sentimento ragionato di cittadini attivi e attenti ai loro interessi complessivi, come singoli e come associati. (Urbinati, 2020)

Dice il premio Nobel Stiglitz: “Da questa epidemia possiamo imparare l’importanza della scienza, il ruolo strategico del settore pubblico e la necessità di azioni collettive. L’obiettivo deve essere la cooperazione globale”.

La fragilità della condizione umana diviene ancor più evidente e suggerisce collaborazione, cooperazione, indulgenza, compassione, necessità di azioni collettive.

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NOTE

[1] Recentemente il Ministro della Salute Speranza ha introdotto nella legge di Bilancio 2020 il criterio della progressivita’ sui ticket sanitari, cioe’ si pagherà in base al reddito. (Bartoloni, Sole 24 ore, 1 Ottobre 2019)

[2] Per esempio ‘l’Italia ha dato nel 1999 un impulso significativo alla creazione all’interno del servizio pubblico di un accesso parallelo tramite il diritto dato a tutti i medici del servizio pubblico di esercitare la libera professione all’interno del Servizio Sanitario Nazionale (intramoenia), creando così un “binario” privilegiato d’accesso (con più brevi liste d’attesa e con una più estesa possibilità di scelta) per i cittadini disposti a pagare l’intera prestazione di tasca propria. Il sistema “out of pocket”  cioe’ prestazioni che avrebbero potuto ottenere gratuitamente o a minor costo con il “binario” d’accesso “standard” al SSN, evidenzia un problema importante rispetto all’equità d’accesso ed alla solidarietà all’interno del servizio sanitario pubblico in Italia tra cittadini disposti (o indotti) a pagare e quelli che non lo sono. (Domenighetti et al, 2010)

[3] Abbiamo da poco ricordato i 40 anni del Servizio Sanitario Nazionale.  È stato – ed è – un grande motore di giustizia, un vanto del sistema Italia.  Che ha consentito di aumentare le aspettative di vita degli italiani, ai più alti livelli mondiali. Non mancano difetti e disparità da colmare.  Ma si tratta di un patrimonio da preservare e da potenziare. (Sergio Mattarella. Discorso di fine anno 2018 del Presidente della Repubblica)

[4] Il decennio 1970-1980, spesso ricordato come tempo del terrorismo, e’ stato il tempo di grandi riforme (salute, psichiatria, lavoro, istruzione, etc). Ci fu allora un grande dibattito anche sulla salute come diritto ugualitario che portò all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale. La salute non avrebbe dovuto più dipendere dalle condizioni economiche di ciascuno. Diventava uno dei compiti primari dello Stato e sarebbe stato finanziato con risorse alle quali ognuno di noi deve contribuire pagando imposte e tasse. Era lo “stato sociale” che avanzava e sembrava una conquista di civiltà alla quale non si sarebbe più rinunciato. Nei decenni successivi, invece, c’è stata un’inversione nelle politiche pubbliche e ancor più profondamente, nella cultura e propaganda politica. (Zagrebesky, 2020)

[5]Una ‘emorragia’ di 45.000 medici in 5 anni: è quella che si determinerà in Italia per effetto dei pensionamenti e che riguarderà sia i medici di famiglia sia i medici del Servizio Sanitario Nazionale (Ansa, 2018)

[6]Vedi l’esperienza dei servizi territoriali di Piacenza che sono stati una diga al dilagare dell’infezione impedendo il collasso degli ospedali (Andena, 2020)

[7] ”Sul numero degli infermieri siamo sotto la media europea. Ci sarebbe già la possibilità di assunzioni che non viene sfruttata a fondo e che da alcuni viene legata anche alla necessità di ridefinire il ruolo dell’infermiere sia in termini di funzioni che di prestigio sociale, come è stato fatto in molti paesi. Occorrerebbe un intervento di revisione della normativa sulla distribuzione dei compiti e dei ruoli dentro al Servizio Sanitario Nazionale”. (Ortigosa, 2020)

[8]   L’ideologia neoliberista definisce che: 1. lo stato e’ parte di un problema piuttosto che la soluzione e necessita una riduzione. 2. lavoro e mercato finanziario hanno bisogno di essere deregolati per liberare cio’ che viene definita “l’enorme creativita’ dei mercati”. 3. commercio e investimenti devono essere stimolati eliminando confini e barriere per permettere la piena mobilita’ di lavoro, capitale, beni e servizi.

La trasposizione di questa ideologia nel settore sanitario significa1. una diminuzione delle spese per le cure sanitarie, 2. la privatizzazione dei servizi sanitari, 3. l’impoverimento, quando non lo smantellamento delle infrastrutture di sanita’ pubblica, 4. la piena mobilita’ dei lavoratori della salute principalmente dai paesi in via di sviluppo ai paesi sviluppati, 5. la piena mobilita’ dei materiali sanitari e farmaci dai paesi sviluppati ai paesi in via di sviluppo, 6. pieno recupero della visione biologica e comportamentale della medicina. Questa ideologia appare nella nuova terminologia usata nei circoli di politica sanitaria. Pazienti che diventano clienti, pianificazione sostituita da termini come mercati e competizione. E in piu’ di un paese, i sistemi sanitari nazionali sono stati smantellati.. Questo e’ cio’ che sta accadendo nel mondo negli ultimi 30 anni. (Navarro, 2009)

[9] È diventato sinonimo di assistenzialismo e paternalismo che avrebbe addormentato la società. Non solo: era diventato un peso allo sviluppo. Le società più prospere sono quelle che lasciano i poveri, i vecchi, gli ammalati al loro destino. Per questo, se c’è da ridurre la spesa pubblica, perché non iniziare da qui? Ai deboli la carità privata, se la trovano. (Zagrebesky, 2020)

[10] ‘’Le classi medie si chiederanno sempre di più perché stanno pagando un sistema che dà loro in cambio sempre meno. Si sta progressivamente erodendo l’idea che il servizio sanitario nazionale sia in grado di fornire le prestazioni che servono quando se ne ha bisogno. Ci sarà una sempre maggiore riduzione nel finanziamento, e inevitabilmente nella qualità, di quei servizi fruiti dalla classe media, come le scuole primarie e secondarie e l’assistenza sanitaria, convincendoli che sarebbe meglio andare alla ricerca di opzioni private. Così alla fine i servizi pubblici diventeranno come gli ospedali pubblici negli USA, un servizio per i poveri.” (McKee, Stuckler, 2011, citato da Maciocco, 2019).

[11]Inoltre la sanita’ privata in emergenza sanitaria rivela una delle più grandi contraddizioni del suo modello. Contrappone tipi diversi di beneficiari. Il cittadino/paziente colpito dal coronavirus vs il cliente pagante. I due beneficiari del servizio sono su fronti opposti.  L’ospedale privato, fornitore del Sistema Sanitario Regionale-SSR e player sul mercato libero, perché autorizzato a esserlo dalla istituzione pubblica (Direzione generale del welfare della Regione Lombardia e sue articolazioni organizzative), quale fra i due beneficiari citati dovrebbe principalmente servire?  il cittadino paziente del SSR contagiato o i propri clienti paganti, che proprio perché pagano di tasca loro, o attraverso i loro intermediari (assicurazioni, mutue, ecc.), non intendono correre rischi ulteriori? Con ogni probabilità non può fare congiuntamente l’uno e l’altro senza pregiudicarsi una quota del suo mercato, principalmente quello diretto (quello al di fuori dal SSN). In altre parole, se partecipasse all’emergenza correrebbe il rischio di perdere la sua clientela privata.  È per questo, e non solo quindi per motivi strettamente medico-clinici, che la collaborazione che si prospetterà per risolvere l’emergenza del coronavirus avverrà probabilmente in modalità tali da non mescolare i due ambiti del servizio nei confronti delle due diverse classi di pazienti. (Sartor, 2020)

[12] Ospedale di Codogno (LO), Ospedale di Casalpusterlengo (LO), Ospedale di Lodi (LO), Ospedale di Crema (CR), Ospedale di Cremona (CR), Ospedale Sacco (MI), Ospedale Niguarda (MI), Ospedale San Paolo (MI), IRCCS Policlinico Ca’ Granda (MI), IRCCS San Matteo (PV), Ospedale San Gerardo di Monza (MB), Spedali civili (BS), Ospedale S. Anna (CO), Ospedale Papa Giovanni XXIII (BG), Ospedale Carlo Poma (MN).

[13]Il dirigente della Lega Giorgetti, interveniva nel 2019 al “meeting” di Rimini di Comunione e Liberazione, e diceva, ”E’ vero, mancheranno 45mila medici di base nei prossimi cinque anni. Ma chi va più dal medico di base? Senza offesa per i medici di base anche qui presenti in sala. Nel mio piccolo paese vanno ovviamente per fare le ricette mediche, ma quelli che hanno meno di cinquant’anni vanno su internet, si fanno fare le autoprescrizioni su internet, cercano lo specialista. Tutto questo mondo qui, quello del medico di cui ci si fidava anche, è finita anche quella roba lì.” “Quella roba lí” in realtà dovrebbe essere l’asse portante di un moderno sistema sanitario: la medicina di base e di territorio. E tale asse è stato smontato, irriso, definanziato. (Saraceno, 2020)

[14] Una volta abbandonato il contenimento in maniera controllata, una pericolosa trappola sarebbe quella di limitarci a ripristinare semplicemente il modello economico di ieri, accontentandoci di migliorare in modo marginale il nostro sistema sanitario per far fronte alla prossima pandemia. (Giraud, 2020)

[15] Siamo più disposti ad ascoltare i «consigli» del Fondo monetario internazionale (Fmi) che quelli dell’OMS? (Giraud, 2020)

[16]Il Sindaco di Brescia: “Penso che bisognerà lavorare sulla medicina territoriale che è stata l’anello debole di questa vicenda Covid-19. C’è stata una ospedalizzazione della malattia. Inoltre i medici di base si sono presto ammalati o non avevano dispositivi di protezione e hanno curato da remoto. I contagiati che rimanevano a casa spesso non sono stati sottoposti a tampone. Sono arrivati negli ospedali quando erano gravemente compromessi. I loro familiari, anche loro non sottoposti a tampone, giravano e andavano a lavorare infetti.” (Casadio, 2020)

[17]Una Casa della Salute/Casa della Comunità, che, uscendo da una logica di sanità con al centro solo l’ospedale, riunisca i servizi sociali e sanitari in un’unica gestione dei servizi integrati relativi ad una comunità presente su un determinato territorio omogeneo (vedi appello inviato al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, al Ministro della Salute, Roberto Speranza, https://www.casadellacarita.org/prima-la-comunita-appello)

[18]La Casa della Salute delle Piagge, in un quartiere periferico di Firenze, si sta anch’essa confrontando con la pandemia da Covid-19. Come gruppo di medici, appartenenti alla Campagna PHC Now or Never, abbiamo iniziato a lavorare nella struttura delle Piagge con la consapevolezza che il modello organizzativo della CdS declini nel contesto italiano i principi della Comprehensive Primary Health Care. Un modello che si basa sul lavoro multidisciplinare, dove operatori sanitari e sociali e comunitari concorrono ad affrontare – spesso in modo creativo e sempre in una logica di rete – molteplici problemi: clinici, assistenziali, organizzativi. Questo metodo si è rivelato molto utile nell’affrontare l’epidemia. (Francini, citata da Maciocco, 2020)

[19] Nel Regno Unito, come in Italia, si sta discutendo della app per il contact-tracing, ma intanto loro si affidano saggiamente al metodo manuale reclutando 18 mila operatori sanitari, come riferisce un articolo del Financial Times del 24 aprile. Perché – come afferma Jason Bay, l’ideatore dell’app TraceTogether, sviluppata a Singapore – :  “Se mi chiedi se un sistema di tracciamento dei contatti Bluetooth implementato o in fase di sviluppo in qualsiasi parte del mondo è pronto a sostituire la contact-tracing manuale, dirò che la risposta è no, non ora e neanche per il prossimo futuro” (Maciocco, 2020)

[20]Il Sindaco di Crema ringraziando i medici cubani alla partenza: Siamo stati comunità, per questo abbiamo vinto, siamo stati, anche grazie a voi, uno schiaffo all’Individualismo, l’alleato preferito delle avversità. Siamo stati una comunità, certo, multiculturale e umanissima. Uno schieramento che non ammetteva sconfitte e infatti non abbiamo perso. Abbiamo lottato da popolo appassionato e progettuale, rifuggendo il rischio di essere folla caotica e velleitaria, mossa solo dalla paura. Siamo diventati avversari intelligenti di un patogeno assassino, ma intelligente pure lui. Con voi è stato più facile. (Bonaldi, 2020)

[21] La Microarea sviluppa interventi intersettoriali ad alta integrazione ed azioni innovative delle cure primarie per migliorare la salute globale degli individui e delle comunità. Copre un territorio di 1.000-2.500 abitanti e ha un referente (puo’essere un infermiere ma non deve necessariamente avere una formazione sanitaria) che opera in un luogo specifico (es. un appartamento messo a disposizione da un ente pubblico o privato) e con il supporto di volontari (servizio civile, associazioni, comunita’) si avvale della rete di servizi (sanitari e sociali) del territorio in particolare i Servizi Sociali del Comune, i servizi degli altri Assessorati Comunali (ambiente, istruzione, trasporti, ecc.), l’Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale-ATER, le cooperative sociali , le associazioni di volontariato locali, le rappresentanze dei cittadini, ed anche il vicinato, i negozi, etc. (Gallio, 2018).

[Foto in apertura: Volodymyr Hryshchenko su Unsplash]


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