Una casa non basta se non la colmiamo di relazioni, perché “la vita è tempo di incontro”

Ci ritroviamo con le Parole di Carità a poche settimane dal Natale, un tempo prezioso, perché è il tempo in cui Dio viene incontro all’umanità. Quest’anno poi nella notte del 24 dicembre papa Francesco aprirà la Porta Santa dando inizio al Giubileo del 2025. L’apertura della Porta Santa è un invito a entrare nella logica di Dio per imparare a costruire un mondo nuovo a partire dal mettersi al passo degli ultimi, degli scarti della storia.

Nel Natale Dio si fa incontro all’umanità attraverso suo figlio, che nel Vangelo di Matteo è chiamato l’Emmanuele, cioè “il Dio con noi”. E da sempre nella Bibbia c’è questa relazione di Dio con l’umanità: Dio si fa incontro all’uomo, non tanto come un padrone, quanto come un Altro con cui interloquire.

Penso alla parabola del buon samaritano, che Papa Francesco richiama nell’Enciclica “Fratelli Tutti” (n.66), affermando che il samaritano, con i suoi gesti, ha mostrato che «l’esistenza di ciascuno di noi è legata a quella degli altri: la vita non è tempo che passa, ma tempo di incontro».

Questo mi fa pensare alla vocazione che la Casa ha di ospitare e accompagnare incontrando, di custodire le relazioni e farle crescere. Che si tratti di singoli o di famiglie, le persone vengono accolte per quello che sono, con le storie che hanno, dopo qualsiasi percorso abbiano attraversato, per poter dare loro sì un luogo dove vivere, ma soprattutto per ricominciare a vivere. “La carità – scrive don Virginio – deve diventare azione perché ha dentro il senso del futuro”. Ne è un esempio la storia di Roxana e Jan e dei loro figli Anca, Maximilian, Tania e Manuel, che dopo l’accoglienza in Casa della Carità hanno ottenuto un alloggio popolare. Una grave malattia di papà Jan, però, sta mettendo in crisi la fragile autonomia che la famiglia aveva appena conquistato e per questo le operatrici continuano a star loro vicine.

Penso poi a quelle mamme che, dopo l’ospitalità alla Tillanzia, si vedono finalmente assegnata una casa popolare, che però magari si trova in un contesto sconosciuto, lontano dalle educatrici che le hanno accompagnate per molto tempo e dalle altre donne con cui avevano fatto amicizia. E mi vengono in mente anche le persone anziane del quartiere che amano trascorrere i giorni di festa in via Brambilla, perché qui non sono più sole ma si sentono come a casa loro, si sentono in famiglia.

Queste storie dimostrano che avere una casa è fondamentale, tanto più in una metropoli come Milano dove c’è fame di abitazioni, ma che questo non è sufficiente per stare bene se mancano le relazioni, che danno senso alla vita di ognuno. Un proverbio africano dice che “Per educare un bambino ci vuole un villaggio”. Ecco, abbiamo bisogno di una città che non si limiti a fornire case (importantissimo), ma che torni a essere un villaggio, un luogo dell’incontro.

E a Dio sta a cuore questo, perciò egli nel Natale si abbassa, si fa bambino, affinché tutti possano incontrarlo, dai potenti ai poveri. Dio non ha paura di non essere riconosciuto, non gli interessa. Gli interessa raccontare un modo di vivere, un modo di guardare alla vita, come si diceva, non come un tempo che passa ma come un tempo di incontro.

Questo mi fa venire in mente la nascita, 50 anni fa, di Caritas Ambrosiana, a cui la Casa della Carità è strettamente legata. Caritas ha il compito difficile di essere stimolo e anima perché la comunità tutta cresca nella carità e sappia trovare strade sempre nuove per farsi vicina ai più poveri, capace di leggere e affrontare le situazioni che opprimono migliaia di sorelle e fratelli in Italia, in Europa, nel mondo. Caritas, come la Casa della Carità, è tempo e luogo di relazioni che danno senso alle vite di tutte e tutti noi.

festa di Natale alla Tillanzia

Richiamavo in apertura il prossimo Giubileo, il cui titolo è “La speranza non delude”. Come dice il teologo Ermes Ronchi: «Gesù è qui per togliere via dall’uomo tutto ciò che ne impedisce la fioritura, perché sia chiaro a tutti che cosa è il regno di Dio: vita in pienezza, qualcosa che porta gioia, che libera e dà luce, che rende la storia un luogo senza più disperati. E si schiera, non è imparziale Dio; sta dalla parte degli ultimi, mai con gli oppressori. Gesù non è venuto per riportare i lontani a Dio, ma per portare Dio ai lontani, a uomini e donne senza speranza, per aprirli a tutte le loro immense potenzialità di vita, di lavoro, di creatività, di relazione, di intelligenza, di amore».

In questo concetto espresso da Ronchi, mi piace leggere la nostra porta dell’accoglienza, che si apre ogni giorno per far entrare nella Casa chi cerca ascolto, assistenza legale, cure mediche, una doccia calda e un cambio d’abito.

Donne, uomini e bambini di tutte le provenienze e di tutte le religioni e con storie di vita diversissime, che accogliamo per dire loro da che parte stiamo: per liberare i prigionieri, per ridare dignità ai poveri, per far vedere i ciechi, per liberare gli oppressi.

Per questo mi piace pensare alla nostra porta come una Porta Santa, anche se non è ufficialmente Santa come quella che si apre durante il Giubileo. E nell’Anno Santo che si aprirà a Natale, vorrei invitare chi lo desidera, credente o non credente, ad attraversare questa porta, per incontrare chi c’è dall’altra parte, per dare una mano attraverso il volontariato, per vivere un’esperienza personale.

Sia il Natale che il Giubileo ci dicono quindi per che cosa siamo qui: per incontrare.

Voglio augurarti buon Natale e ringraziarti di essere parte di questa grande famiglia rendendo la Casa della Carità uno spazio di incontro, dove le relazioni possono rifiorire insieme al futuro delle persone accolte. GRAZIE perché so che anche questo Natale resterai al fianco di tutte le persone fragili che insieme accompagniamo verso una vita nuova.

Buon Natale da tutti noi,

firma don Paolo Selmi

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