«Chi accoglie uno solo di questi bambini in mio nome, accoglie me»
Le Parole di Carità di questo mese contengono le mie riflessioni sulla famiglia, come “fonte di vita e di gratuità che il Signore ci ha donato” (Cardinal Carlo Maria Martini). Ragioneremo della famiglia umana e dell’esperienza della Casa della Carità come piccolo luogo di accoglienza di famiglie.
Siamo tutti figli e siamo tutti parte della famiglia umana. Ti piacerebbe condividere con me, con noi, la tua esperienza di accoglienza familiare? Che sia capitata in un momento di difficoltà o di gioia speciale, questa esperienza ti ha portato a toccare l’importanza di aprire le porte, accogliere, “farsi prossimo”? GRAZIE per la tua amicizia e per la tua generosità, grazie per le riflessioni che condividerai con me, con noi.
Ci troviamo per il nostro appuntamento di riflessione partendo dal Vangelo della Cura, che sta accompagnando questi mesi di vita insieme. La parola che guida le mie riflessioni di oggi è “famiglia”, una parola sentita con particolare intensità soprattutto a Natale. La rivolgerò al Dio provvidente, al Dio che si prende cura. Vedi, è un momento davvero particolare, perché ci avviciniamo al Natale, ma in mezzo agli orrori della guerra che portano sotto i nostri occhi la vita dei bambini della Terra dove è nato Gesù.
Nelle mie meditazioni sul Dio provvidente, vedo come sia pieno d’amore per l’umanità e soffre profondamente quando vede la tragedia. Il Dio provvidente è innamorato della vita e dell’umanità. Ed è per questo che di fronte all’aggressività, che si abbatte come una mannaia tremenda e porta violenza, divisione, ingiustizia, la reazione è sgomenta e incredula.
Ma dove vediamo nel Vangelo il Dio che è colmo di amore e dispiacere al tempo stesso? A me viene in mente l’episodio dei mercanti nel tempio, quando Gesù arriva a Gerusalemme e si rende conto di come sia diventato un luogo di scambi di beni materiali. Caccia i mercanti con furia e fa posto ai piccoli: agli zoppi, ai ciechi che guarisce, ai bambini che per primi lo riconoscono.
Allora vennero a lui, nel tempio, dei ciechi e degli zoppi, ed egli li guarì. Ma i capi dei sacerdoti e gli scribi, vedute le meraviglie che aveva fatte e i bambini che gridavano nel tempio: «Osanna al Figlio di Davide!», ne furono indignati e gli dissero: «Odi tu quello che dicono costoro?» Gesù disse loro: «Sì. Non avete mai letto: “Dalla bocca dei bambini e dei lattanti hai tratto lode”?» (Matteo 21,14-17)
Cosa significa? Che apre le porte a coloro i quali hanno dentro il dono più prezioso, che è la Resurrezione, il dono fondamentale di portare la nascita, la speranza. E allora come oggi questi bambini ci ricordano con forza che la vita vince anche in questo periodo di morte, la vita attraversa tutto come linfa, il bene vince sul male.
Non dobbiamo perdere la speranza che ci arriva attraverso i bambini e i lattanti; dalla loro bocca arrivano lodi per Dio, per la vita. Dobbiamo coltivare la speranza a partire dalla riscoperta dell’umanità che è nel nostro profondo, che non ha barriere. Sappiamo che la famiglia umana si sta disgregando, la violenza sta distruggendo tutto; il germe che dà ancora speranza sono i fragili, gli ultimi; fra loro, i bambini sono i primi della fila. Tutti sono accomunati dalla possibilità di vivere in un contesto di gratuità massimo, da cui trarre energie per ricominciare a crescere.
E quindi la famiglia: questo nucleo sociale così dibattuto, se riletto a seconda delle varie culture della nostra Casa comune che è il mondo e leggendo i tempi che viviamo. Ma da sempre e ovunque, quando è protetta e sana, la famiglia di fatto crea il calore, mette al centro le relazioni e l’affetto nel contesto dell’accoglienza in contrapposizione al mestiere, alla freddezza, alle procedure delle organizzazioni. Infatti, se “nei contesti anonimi chi è più debole viene spesso rigettato, nelle famiglie, invece, è naturale accoglierlo: un figlio con disabilità, una persona anziana bisognosa di cure, un parente in difficoltà che non ha nessuno… […] sono luoghi di accoglienza […] e dovremmo inginocchiarci davanti a queste famiglie, che sono una vera scuola di umanità che salva le società dalla barbarie.”, ci dice papa Francesco.
E se i piccoli fossero le persone fragili della famiglia umana, che ogni persona è chiamata ad accogliere, che sia nella propria famiglia o nella comunità delle relazioni affettive?
Gesù dice: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me”. E se insieme guardassimo tutti i momenti di accoglienza come una sfida alla nostra intimità, constatando quanto l’apertura sia profondamente generativa?
È proprio come intendiamo l’accoglienza alla Casa della Carità, che insieme possiamo portare avanti ogni giorno. Qui i piccoli, gli zoppi, i ciechi per primi, i bambini con i loro genitori, le donne e gli uomini con le loro ferite che fanno parte della famiglia della Casa della Carità, non rientrano nella lista delle persone che aiutiamo insieme, ma sono la vita, i legami che ci sono stati donati. Sento che siamo insieme anche nel viverli e non solo nel prenderci cura di loro.
Non ci siamo solo presi cura, ad esempio, di Anna e Said, ma abbiamo vissuto con loro l’odissea di chi dopo 10 anni e 4 figli – la famiglia accogliente – può adesso vivere una vita pienamente autonoma, in una casa propria, ma non rinuncia al legame con la Casa che li ha accolti in tutti questi anni. È la storia che possiamo scrivere insieme per le tante famiglie escluse che contano su di noi ogni giorno. Alla Casa della Carità, quando viene assegnata una casa dopo tanta fatica, c’è sempre un momento di festa e di riconoscimento e lo trovo molto bello. Non diciamo: “Finalmente hai una casa, adesso arrangiati da solo”. Ma: “Finalmente hai una casa, ritorna a vivere la gioia di gustare la vita”.
l’accoglienza delle famiglie è per noi sinonimo di gratuità dell’accoglienza. So che partecipi affettuosamente e con grande generosità per rendere possibile tutto questo. Ti chiedo, in occasione del Natale, di stare vicino come puoi alle famiglie accolte alla Casa, perché sappiano di essere viste, perché si riconosca la grazia che portano ogni giorno nella vita di chi ha il privilegio di essere vicino a loro. GRAZIE per quello che potrai fare per ciascuna di loro.
Un abbraccio colmo di speranza,
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