«E tu, vuoi guarire?»

Sono felice di intraprendere un dialogo con te attraverso queste Parole di Carità. Sono uno spazio di riflessione prezioso e unico, che ci consente di illuminare ogni volta il senso che sottostà al fare della nostra Casa e al modo con cui accompagniamo chi non “sa provvedere a sé”, lasciandoci guidare dalla Parola di Dio e da Maestri di vita, a cominciare da chi ha voluto questa Casa, il Cardinal Martini.

Oggi ci interrogheremo sul senso dell’accoglienza delle persone con disabilità fisica e psichica. Come Sabir, un ragazzo pakistano di 25 anni che si muove in carrozzina dopo un incidente e che oggi ha nella Casa la sua famiglia affettuosa, con la quale guardare il futuro con speranza.

Per nutrire le mie riflessioni, attingo alle Sacre Scritture, che il cardinal Martini ci ha insegnato a leggere come racconto che può illuminare l’esistenza di ognuno. La Bibbia non ci racconta storie di uomini e di donne con le mani giunte e la testa china, ma ci racconta storie complesse, come la nostra, storie di un’umanità in ricerca, sempre davanti ai bivi della storia.

Il Vangelo è ricco di episodi che raccontano storie di persone con una disabilità – fisica o psichica non importa, perché siamo un tutt’uno – che portano dentro una domanda più o meno esplicita di guarigione, che non è solo fisica ma è molto di più e che possiamo anche chiamare salvezza.

Oggi mi soffermerò con te sul racconto della guarigione dell’infermo alla piscina di Betzaetà, nel Vangelo di Giovanni (5,1-18). Si narra che periodicamente un angelo scendeva e agitava l’acqua della piscina e che il primo malato che vi entrava, guariva dalla sua malattia. Giovanni racconta che lì sostava un uomo che era malato da 38 anni.

“Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «E tu, vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina»”.

Che cosa mi colpisce di questo racconto, di questo segno? Per prima cosa il fatto che questa persona da tempo sofferente aspetta qualcuno che l’aiuti. Un’attesa che alimenta il desiderio di essere vista, ascoltata, accolta, aiutata. “Ogni volta che la comunità umana trasforma l’indifferenza in prossimità e l’esclusione in appartenenza, adempie la propria missione profetica. Questa è una vera conversione: trasformare l’indifferenza in prossimità”, ci ricorda il Papa.

Mi colpisce anche la domanda di Gesù: “Tu, vuoi guarire?”. Una domanda profondissima, che mette in discussione l’ovvio (chi, gravemente malato, non vorrebbe guarire?) e così illumina l’origine della guarigione: non la volontà, ma il desiderio profondo, non la magia, ma la messa a frutto di tutte le risorse più profonde della vita.

Mi colpisce infine che Gesù chieda alla persona guarita di portare con sé il lettuccio sul quale è stata distesa per 38 anni.

Non è la richiesta di portare una croce, ma la constatazione che qualsiasi sofferenza lascia un segno che rimane oltre la guarigione e con cui bisogna fare pace, come con una cicatrice che diventa un tratto distintivo.

Papa Francesco ricorda spesso di guardare negli occhi l’altro, soprattutto gli scartati che incontriamo. Ecco, nell’incontro con la persona con disabilità ho imparato molto presto quanto sia fondamentale incontrare, guardare e ascoltare con autentico rispetto.

Campeggio estate 2023

Penso a quando, durante il seminario, il sabato pomeriggio accudivo un anziano che aveva condiviso il suo disagio per il fatto che mi occupassi di lavarlo e vestirlo. Questo mi riporta alla parola dignità. Ancora, ricordo gli anni da parroco alla Barona, un quartiere della periferia sud di Milano: per dieci anni d’estate, con ragazze e ragazzi abbiamo fatto un campo di lavoro sul Gargano in una realtà che accoglieva disabili poveri. All’inizio mi turbava molto l’autoironia delle persone disabili e la schiettezza che avevano con chi si prendeva cura di loro. Ma poi ho compreso che ciò rispondeva all’esigenza di sentirsi riconosciuti, di sentirsi parte. E non posso non ricordare l’esperienza da parroco a Bruzzano, periferia nord di Milano, dove il quartiere era contesto accogliente per la comunità psichiatrica Mizar e la comunità alloggio per disabili Stella Polare. Non c’è inclusione se manca l’esperienza della fraternità e della comunione reciproca.

La ricchezza di questi incontri mi ha profondamente segnato; mi ha aiutato a capire che non dobbiamo dimenticare che la fragilità dell’altro è la nostra, che ognuno ha il suo “lettuccio” da portare. Perché ogni persona, anche quella che aiuta, che accompagna, come me, come le persone che operano alla Casa della Carità, può celare una fragilità, può essere bisognosa di sguardo, accoglienza, fraternità, sororità.

E nel contatto con la persona fragile, deve essere disposta a mettersi a nudo e a entrare in punta di piedi. Si può portare aiuto solo partendo da questa consapevolezza, da questa “compassione”.

Senza una carezza, un abbraccio, uno sguardo, senza il sentore di una casa, senza amicizia non c’è vita. Non vi è la carica per sperare, per cercare. Don Virginio ci dice “il miracolo vero è essere capaci di trattenere in sé la domanda di attenzione, di bisogno di salvezza e salute, che investe le relazioni”. L’infermo della piscina di Betzaetà la trattiene per 38 anni!

La Casa della Carità è luogo di accoglienza e sostegno dove ogni persona è vista e ascoltata nella sua unicità e dignità, dove ciascuno può sprigionare il suo profumo unico. Qui, insieme a te, cerchiamo di dare quell’abbraccio e quell’ascolto che consentono a ogni persona di riscoprire il proprio profumo. Grazie a te, coltiviamo il desiderio di crescita e di guarigione (“Vuoi guarire?”), sia fisica sia spirituale, accompagnando ogni persona nel suo cammino di speranza e di riscoperta della propria dignità.

Grazie per tutto ciò che hai reso possibile con la tua solidarietà e la tua amicizia, con il tuo sguardo verso gli ultimi degli ultimi. GRAZIE per la tua partecipazione. GRAZIE per il lettuccio che sceglierai di portare insieme a ciascuna persona accolta qui.

Con sincera gratitudine e amicizia,

Firma don Paolo Selmi

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