Parole di carità – giugno 2021
«Liberiamo bellezza, liberiamo futuro»
In questi giorni con la preghiera torno spesso alle due icone bibliche che ci hanno lasciato il Cardinal Martini, fondatore della Casa della Carità, e il Cardinal Tettamanzi.
Non credo sia un caso che entrambi, nei primi mesi di vita della Fondazione, abbiano scelto due azioni che mettono in primo piano la generatività dell’ospitalità, la fecondità dell’accogliere, la capacità di generare futuro e speranza a partire dall’incontro con l’altro.
La prima icona, donataci dal Cardinal Martini all’atto della fondazione di questa Casa accogliente, aperta, ospitale è quella delle Querce di Mamre. Abramo e sua moglie Sara accolgono tre stranieri. Uno di loro, andando via annuncia ad Abramo una promessa sbalorditiva, per due coniugi ormai anziani: “Quando tornerò da te, fra un anno, Sara avrà un figlio”.
Anche il secondo episodio biblico, cui fece riferimento il Cardinal Tettamanzi succeduto al Cardinal Martini come Arcivescovo di Milano, per meditare sull’accoglienza della Casa della Carità, porta con sé la brezza del futuro, la generatività dell’attesa, consegnandola a chi si prende cura. Nell’episodio biblico del Buon Samaritano, il Cardinal Tettamanzi ricordò la figura del locandiere, cui viene affidato il viandante sofferente e al quale viene detto “Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò quando torno”.
In entrambi gli episodi, si chiede di essere pazienti, si chiede di attendere, ma si promette un dono, una ricompensa al ritorno. L’attesa si riempie di speranza, di un futuro di doni. Il locandiere cui viene affidato il viandante percosso e derubato, “mezzo morto”, riempie l’attesa di speranza, mentre si prende cura di lui. Qui, come il locandiere, ci prendiamo cura dell’umanità ferita donando nel presente la potenza dell’amore di una famiglia, delle relazioni, accanto al calore di un rifugio dalle fondamenta solide. Insieme alle persone accolte, costruiamo anche la possibilità di guardare al futuro con fiducia, provando a recuperare l’innocenza che è propria dei bambini. Insieme, ci ispiriamo al loro sguardo: è vivo, aperto, autentico, profondo.
Altre volte ti ho parlato dei piccoli, pensando sia ai bambini sia ai poveri, che il Vangelo spesso chiama con questo nome. Ecco, alla Casa della Carità cerchiamo ogni giorno, con la pazienza del locandiere, di seminare speranza, di coltivare innocenza, di restituire alle persone che accogliamo la fiducia incondizionata nel futuro tipica dei bambini.
Credo sia fondamentale scorgere l’elemento spirituale, di fede, che porta il tema dell’innocenza.
Il Vangelo dice “Se non cambiate e se non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli”. Vedi, questo non è l’invito a una lettura infantile, un compiacimento regressivo verso l’essere bimbo, ma è l’invito a guardare alla vita che esplode nella dimensione di speranza, nella fiducia, nei legami. Un invito quindi a rigenerarsi continuamente, per tirar fuori il bambino che è dentro di noi e, attraverso questa rigenerazione, connettersi con il futuro, con l’eternità, come fanno i bambini, immersi nel presente e al tempo stesso laboratorio permanente di eternità.
Questa ultima riflessione mi porta ancora avanti. Viviamo in una società che parla sempre e solo dell’istante, invita a vivere il qui e ora, quasi come se l’eternità ci facesse paura. In verità, a ben vedere, l’istante che viviamo è la successione degli istanti che lo precedono e degli istanti successivi. Per questo, il tema della memoria diventa importante, non per ricordare chi non c’è più in termini nostalgici, ma per dare senso al presente e illuminare il futuro. Solo con la consapevolezza di questa dinamica fra passato e futuro possiamo vivere il presente con gioia, come seme di futuro. Solo in questo modo l’eternità smetterà di farci paura e vivrà nel nostro cuore come capacità di sperare. Nel messaggio biblico, la fine porta sempre un inizio, la morte porta la vita. In questo senso il nostro accogliere, il nostro educare, è volto al futuro: pensiamo ai legami che non vengono logorati nel tempo, perché vivono anche nella memoria, come ad esempio il legame con i nonni. E alla Casa della Carità cerchiamo ogni giorno di seminare la fiducia, di costruire legami solidi, che siano capaci di far albergare il tempo dentro di loro e di rimanere sempre vivi, anche dopo il distacco, dopo la morte.
Lo facciamo prendendoci cura delle persone accolte a partire dalla relazione. Una relazione che vive anche quando poi si cresce, si esce, ci si separa, perché è fondata sulla fiducia e ha costruito speranza su basi solidissime. Perché parte dalla “speranza paziente” dell’educatore, come la chiamava il Cardinal Martini che ci paragonava a contadini e ricordava che Gesù considerava “l’uomo come il seme che cresce da sé, ma che ha bisogno di ambiente, persone e tempo”.
Ecco, credo che per costruire legami che continuano dopo il distacco, che per donare ai piccoli la capacità di affrontare il futuro una volta che non si è più insieme, si debba portare nel lavoro educativo la possibilità di liberare l’arte, la bellezza, l’innocenza. Perché educare, da latino e-ducere, significa proprio questo: “cavare fuori”, liberare.
Nella lettera in cui ti parliamo dei nostri progetti di accoglienza, abbiamo deciso di concentrarci questa volta sui bambini e sui ragazzi che accogliamo da soli o insieme ai loro genitori. Fra tutti i piccoli che cerchiamo di aiutare, insieme alle donne e agli anziani, sono stati i più colpiti dalla pandemia. Infatti, ci siamo resi conto che in molti casi, senza il supporto educativo offerto dalla Casa della Carità, durante la pandemia, avrebbero vissuto una tragedia nella tragedia: l’abbandono,il degrado, gli abusi, avrebbero demolito la loro speranza in un futuro migliore. In molti avrebbero lasciato la scuola, altri avrebbero visto il loro presente così segnato da perdere la speranza.
Ti portiamo però due storie di speranza, di due bambini che sono arrivati qui senza scarpe e oggi stanno per iscriversi all’università. Due bambini che alla Casa della Carità hanno trovato comunità e bellezza, l’abbraccio e la possibilità di conoscere la musica, l’arte, insieme alla storia e alla matematica.
Spero che tu voglia continuare questo bellissimo dialogo con noi, aiutando i piccoli della Casa della Carità a costruire la loro libertà, a nutrire la loro fiducia, a regalare loro futuro.
Un caro saluto,