«Nuovi passaggi, nuove speranze»
È da poco passata la Pasqua, la storia di un passaggio, quello di Gesù, a una vita nuova, da risorto. È di passaggi che è fatta la vita di ogni persona, da una condizione a un’altra, da una fase di vita a un’altra. Ed è di nuovi passaggi, nuove migrazioni, e di vite nuove, che ti raccontiamo mese per mese. Oggi, nell’offrirti le mie riflessioni sulla nuova emergenza che è la migrazione dal Perù, condivido con te anche il mio, di passaggio. Dopo 20 anni alla guida della Casa della Carità come Presidente, mi succede don Paolo Selmi. Rimarrò vicino alla Casa della Carità con uno sguardo affettuoso e partecipe, da padre.
Sarei felice di conoscere la storia di un tuo passaggio. Di quella volta che hai capito con il cuore che si apriva una vita nuova e migliore, per te. GRAZIE per la tua amicizia e il tuo calore, grazie per le riflessioni che condividerai con me, con noi.
In questo primo numero del Parole di Carità dopo Pasqua, dopo aver celebrato il passaggio di Gesù a una nuova vita, condivido con te gli interrogativi e le riflessioni che animano le mie meditazioni di fronte alle nuove emergenze, alle persone che arrivano qui a Milano in cerca di un nuovo futuro.
Da qualche tempo, alla Casa della Carità ci siamo resi conto da che sono sempre di più le persone che vengono dal Perù, a causa della difficilissima situazione politica ed economica del loro paese. Sono in prevalenza donne che offrono il loro lavoro come “badanti” o “babysitter”, due termini bruttissimi a mio avviso, che hanno spesso con loro bambini, in molti casi con disabilità fisiche o psichiche. La loro presenza accanto ai nostri cari, ai piccoli e agli anziani, rimette in moto un’accoglienza che è fatta di calore, di sensibilità, di attenzione, di accudimento amoroso.
Vedi, la parola ospitalità può essere travolta semplicemente dal conteggio delle persone che arrivano in Italia, per le analisi dei fenomeni dal punto di vista sociologico. Ma dietro ciascun numero si cela il senso profondo di una storia che interroga la nostra cultura, la nostra mentalità, la nostra passione, i nostri sentimenti.
Io dico sempre di più che se si affronta bene il tema dell’accoglienza e dell’ospitalità, si allarga il cuore delle persone, si allarga la prospettiva di solidarietà.
Dobbiamo sapere che quel bimbo sulla sabbia, deposto dalle onde del mare, non arriva a noi solo per emozionare la coscienza civile o eventualmente per colpevolizzare, ma porta il bisogno di radicale cambiamento della cultura della civiltà nella quale siamo immersi, perché ci sbatte in faccia la speranza, non la disperazione. Il futuro spezzato, non solo la povertà.
Nel Vangelo Matteo ci dice: “se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt, 18, 1-5). Questi piccoli che arrivano qui ai nostri occhi sono vittime di un mondo atroce, ma, se guardiamo bene, ci insegnano che si può passare attraverso la sofferenza e miracolosamente allo stesso tempo portare in dono la dimensione del futuro, della festa, del gioco.
Alla Casa della Carità abbiamo cambiato il concetto di gratuità: non significa semplicemente fare una cosa gratis, né farla per ricevere qualcosa in cambio, non è un do ut des. Caratterizzare Casa della Carità sulla gratuità vuol dire immergersi nel lavoro di ogni giorno accanto agli ultimi, indipendentemente dal risultato.
In questo senso il dono è una cultura, è un modo di vivere, che permette di gioire senza secondi fini, di vedere una felicità che non ha sconti, di condividere. La gratuità è liberare spazi, intelligenze sociali, creatività, non è fare qualcosa che “serve per”.
La richiesta di accoglienza che arriva in questi ultimi tempi dal Perù è anche la richiesta di una risposta immediata, di un tetto al più presto, prima che finiscano i pochi soldi messi da parte prima di partire, come ti raccontiamo con la storia di Diego, Gabriela e del piccolo Francesco. Nell’accoglienza in emergenza c’è tanto da fare e c’è poco spazio invece per il silenzio o per il gioco. Ma le donne hanno la capacità di trovare questo spazio. Le mamme peruviane coi loro bambini, hanno il silenzio negli occhi, dicono poche parole, pur avendo visto chissà che cosa. Continuano a profondere un affetto enorme, ai loro figli, ma anche alle persone delle quali si prendono cura “per lavoro”. Hanno capacità importanti, anche se sono state sradicate.
Le donne coltivano i sentimenti veri, quelli della mitezza, della tenerezza, della pacificazione del cuore.
In questo momento paradossalmente sono preoccupato perché sento parlare di “decreti flussi” di “aprire i flussi”, perché queste aperture si basano sull’idea che le persone “servano”, o perché richieste nel mondo del lavoro o perché fanno figli in una società che invecchia.
Io invece sogno una comunità aperta dove queste persone siano ammirate come testimoni, ogni giorno, di cosa voglia dire essere parte di una società che si prende cura sotto tutti gli aspetti, in modo trasversale, dalla cura della salute e del corpo, all’accudimento dei piccoli, dei fragili. Sogno una nuova legge sull’immigrazione perché ci si renda finalmente conto di cosa voglia dire entrare in una relazione di reciprocità, di aiuto reciproco, cosa voglia dire appartenere a una storia comune che è quella della “famiglia umana”.
Dio si è preso cura di noi. Il Vangelo è ricco di storie come quelle delle nostre ospiti peruviane, in cui ci si prende cura.
E la Casa della Carità vuole essere, nel suo piccolo, un luogo dove ci si prende cura, dove si ha cura gli uni degli altri. Prendendo esempio via via dalle persone che ci onorano della loro presenza, che ci insegnano con il loro esempio; persone spesso in fuga come sono dal loro Paese, eppure così capaci di amore gratuito.
Nelle emergenze, sappiamo di poter contare sulla tua vicinanza affettuosa, sul tuo sguardo aperto. Con la tua generosità, donerai a chi scappa dalle guerre e dai paesi che vivono le gravi conseguenze della crisi climatica e della crisi energetica, la pace di una tregua, la speranza di un futuro. Insieme, offriremo alle persone che qui si rifugiano, un viatico per il loro passaggio verso una nuova vita. GRAZIE per quello che potrai fare per ciascuna di loro.
Un abbraccio riconoscente,
P.S. Il tema della cura, che è stato sempre alla base del mio operare come sacerdote, mi è particolarmente caro in questo momento. Nei prossimi mesi, ti proporrò le mie riflessioni a partire dalle tante storie di cura, di guarigione, a partire dai miracoli narrati nel Vangelo. Rifletteremo insieme sul “Vangelo della Cura” e sarò felice di continuare il dialogo con te.
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