«Tre volte indifesi: perché minori, perché stranieri, perché inermi»

Eccoci a un nuovo appuntamento con le Parole di Carità, che spero ti trovino in un tempo di riposo e vacanza.

Le riflessioni che desidero condividere con te questo mese muovono dal messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2017, dedicato ai minori stranieri non accompagnati, “Tre volte indifesi: perché minori, perché stranieri, perché inermi”.

Sono davvero tantissimi i ragazzi e le ragazze che lasciano il loro Paese completamente da soli. Spesso sono poco più che bambini quando partono, per affrontare viaggi lunghissimi e molto duri. Come è successo a Safi, che ha visto uccidere il padre davanti a suoi occhi ed è scappato da solo dalla Somalia perché non voleva vivere circondato dalla violenza. Oggi Safi è accolto a Casa Francesco, la struttura della Casa della Carità per i minori stranieri non accompagnati che per lui, e per altri 7 ragazzi, è un porto sicuro, dove sta piano piano ritrovando serenità e può guardare al domani con fiducia, grazie alle cure amorevoli e alla professionalità di educatrici ed educatori.

Storie di salvezza come quella di Safi, mi richiamano alla mente il Libro dell’Esodo (ES 1,1 – 2,10), dove si racconta che il faraone aveva ordinato di uccidere tutti i figli maschi degli ebrei in Egitto. Due donne, Sifra e Pua, due levatrici, disobbedirono all’ordine, salvando molte vite innocenti. Un’altra donna, Iochebed, “partorì un figlio e lo tenne nascosto per tre mesi. Non potendo tenerlo nascosto oltre, prese un cestello di papiro, lo spalmò di bitume e di pece, vi mise dentro il bambino e lo depose fra i giunchi sulla riva del Nilo”. Il bambino fu trovato dalla figlia del faraone, che lo crebbe come suo, chiamandolo Mosè, che significa “salvato dalle acque”.

Quanto impulso di vita c’è nelle mani salvifiche di queste donne, che si oppongono a un ordine di morte? Quanto desiderio di futuro nelle loro scelte coraggiose?

L’immagine della madre che, per non consegnare il figlio alla morte, lo affida alle acque del fiume, è ancora attuale: mi fa pensare a quelle donne che, per salvare i figli da guerre, povertà e violenza e permettere loro di avere un futuro migliore, oggi li affidano alle acque del mare. È un’immagine tragica, ma se ci pensi rappresenta lo stesso istinto vitale di Iochebed, Sifra e Pua.

Ad accogliere questi figli dall’altra parte ci sono spesso altre mani – di donna, ma non solo – che si prendono cura di loro, proprio come avviene a Casa Francesco. Sono mani che per molti ragazzi rappresentano la salvezza. Questi giovani, infatti, non di rado hanno alle spalle vissuti drammatici e hanno sperimentato il trauma della detenzione in Libia. Sulle loro spalle gravano anche molte aspettative rispetto a quel “sogno migratorio” che li ha portati qui.

Nessuno fa miracoli, ma possiamo dire che chi con dedizione si occupa di minori soli, ridà loro la vita, anche solo ascoltandoli, facendoli sentire accolti e dando loro il tempo di essere, semplicemente, ragazzi.

Purtroppo, però, capita anche che questi giovani così vulnerabili non trovino un’accoglienza dignitosa e l’attenzione di cui avrebbero bisogno in un’età delicata come l’adolescenza, sperimentando una solitudine profonda. Per questo, cadono a volte in giri sbagliati e, per l’impossibilità di ricorrere a misure alternative, come le comunità, finiscono in carcere. E qui si innesca un circolo vizioso, perché, lo sappiamo, il carcere non migliora le persone, ma le peggiora.

minori stranieri non accompagnati Casa Francesco Rashid

Quindi, mi chiedo e chiedo anche a te, come possiamo essere una volta di più “mani che salvano” per questi ragazzi?

Sarebbe bello riuscire a creare intorno a loro una comunità educante, per far sì che non siano più da soli ad affrontare le difficoltà della vita. Un bell’esempio è quello degli Oratori estivi, dove una rete di persone mette a disposizione il proprio tempo per farsi carico di quei bambini che non possono andare in vacanza o che resterebbero da soli perché i genitori lavorano. Gli Oratori, come i centri estivi comunali, sono un modo per continuare l’esperienza educativa delle scuole e fanno un investimento sui giovani, quelli un po’ più grandi, che si mettono in gioco per occuparsi dei più piccoli.

Un’altra esperienza che vorrei raccontarti è quella che ho vissuto quando ero parroco a Bruzzano, una periferia milanese segnata anche dalla presenza di famiglie legate alla ‘ndrangheta, che hanno condizionato parecchio la vita dei figli. In Parrocchia, riunendo diverse realtà del territorio, si è creata una rete che si è fatta carico di questi bambini e ragazzi; hanno trovato un contesto aggregativo che ha offerto loro una possibilità di riscatto, scrollandosi di dosso il peso di quella situazione.

Ecco, sarebbe bello che quest’attenzione educativa, che questa comunità aperta e inclusiva possa crearsi anche intorno ai minori stranieri, accompagnando il loro desiderio di futuro, che può nutrire anche le nostre società.

So che anche le tue sono mani che “vogliono salvare” e per questo ti ringrazio anche a nome di tutti i ragazzi che alla Casa della Carità hanno trovato un porto sicuro dove iniziare a crearsi un futuro. GRAZIE di cuore perché li prenderai per mano e li accompagnerai insieme a noi.

Un abbraccio colmo di amicizia,

firma don Paolo Selmi

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