Parole di carità – agosto 2021

«La Casa della Carità, tenda dell’incontro»

La Bibbia è ricchissima di riferimenti all’amicizia: dall’episodio delle querce di Mamre che cito sempre, come fondativo della nostra accoglienza alla Casa della Carità, al racconto della tenda dell’incontro di Mosé, dove Dio gli parla “faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico” (Es. 33:7), per citarne due tra i più importanti del Vecchio Testamento.

L’amicizia è al centro del testamento di Gesù consegnato ai discepoli durante l’Ultima Cena, quando chiede loro: “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi” (Gv, 15, 12).

In quell’occasione Gesù definì l’Amicizia a partire dalla Conoscenza. Dal conoscere, dal farsi vedere, dal dialogare, nasce per Dio, per Gesù, l’amicizia. Continua infatti dicendo “Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo Signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio.” (Gv, 15, 15). Nelle mie preghiere, non dimentico che questo testamento venne consegnato in un momento conviviale, intimo, di scambio e condivisione, non solo di pane, ma anche di sentimenti. Non più servi ma amici significa che il legame che abbiamo sperimentato è di appartenenza alla stessa storia, alla medesima visione di umanità, a vincoli affettivi, importanti, l’Amicizia appunto.

Amicizia significa incontro, legami, attenzioni, dialogo (i due incontri di Dio con Mosè e con Abramo sono emblematici, in questo senso) e questo vale anche per la Casa della Carità, che cerchiamo di far vivere, ogni giorno come la tenda dell’incontro di Mosè o la tenda di Abramo, il luogo in cui incontrare Cristo e sotto il cui riparo amarci gli uni gli altri.

Gli ospiti sono amici con cui si condivide una storia, non solo persone alle quali si offrono la maggior vicinanza, cura, e competenza possibili. Non assistiti, quindi, ma persone. Non utenti, ma amici. Con loro inizia un incontro fatto di ascolto, scambio, sguardi, che a volte può anche farci soffrire, ma che nel tempo ci porta insieme verso il futuro.

Nella mia esperienza di sacerdote e di operatore sociale, nell’esperienza degli operatori della Casa della Carità, finchè non soffri, non piangi, non gioisci insieme alle persone che vuoi aiutare, mettendo a volte da parte la richiesta di distanziamento terapeutico che viene dal mondo (oggi ancor più forte a causa della pandemia!), non puoi dire di vivere amicizia nell’accoglienza.

Qui alla Casa della Carità l’amicizia è portatrice di futuro. Non è un caso che, fra di noi, la Fondazione è chiamata “amichevolmente” Casa. Casa non vuol dire solo edificio fatto di mura e sudore quotidiano, anche se è il nostro luogo di lavoro, ma significa calore, sicurezza, pace, scambio, libertà. E solo in queste dimensioni sboccia il futuro.

Stiamo sperimentando proprio questo con “Regaliamoci Futuro”, il percorso di ripensamento del nostro accogliere. Prima di tutto, siamo partiti facendo vibrare in noi le emozioni che devono fluire quando si decide qualcosa di importante, ragionando sul senso del nostro lavoro oggi, senza dimenticare la dimensione dell’amicizia, di lasciare spazio ai sentimenti. Quindi, abbiamo scelto di condividere con gli ultimi un cammino di liberazione.

Poi, molto concretamente è stato necessario effettuare una verifica delle necessità dei nuovi ultimi che incontriamo, persone spesso segnate da traumi profondissimi, da problemi gravi o cronici di salute mentale o fisica. Sulla base di ciò che abbiamo costruito in questi anni, ci siamo messi a ragionare su come reinventare gli spazi, mantenendo il calore di una Casa che vuole continuare ad accogliere, prima ancora di prendersi cura, entrare in relazione, prima di aiutare.

La pandemia è arrivata dopo l’inizio del percorso di ripensamento e sono felice di dirti che dopo un anno e mezzo, con il tuo aiuto generoso, stiamo preparando la Casa a una sorta di nuova apertura in autunno, oggi che siamo usciti dalla fase più critica dell’emergenza sanitaria. Anche se ancora non conosciamo appieno le conseguenze economiche della pandemia e la sua data di fine, andiamo avanti, ripensiamo, guardiamo al futuro. Nuovi spazi significano anche una bellezza rinnovata.

Partiamo dall’accoglienza delle persone senza dimora che usufruiscono delle nostre docce e degli anziani soli del quartiere, che abbiamo dovuto tenere lontani da qui per ormai troppo tempo per prevenire i contagi. Per loro, abbiamo pensato di aprire per la prima volta la porta principale del nostro edificio, che prima era una scuola. Da quando abbiamo iniziato la nostra opera di accoglienza, non è mai stata utilizzata e l’ingresso della Casa della Carità, per tutti, avviene di fatto dalla porta di servizio. Nella Casa della Carità rinnovata, le persone senza dimora e gli anziani soli entreranno dalla porta principale.

Ma qui abitano tante persone che in questi mesi hanno costruito legami solidi con le persone della Casa. Persone che hanno potuto “appoggiare la testa sul petto di uno di noi” – un gesto di grandissima intimità e amicizia – come fa Giovanni con Gesù all’Ultima Cena, all’annuncio del tradimento da parte di uno dei discepoli per cercare conforto, affetto, vicinanza, amicizia. Qui alla Casa della Carità, oggi si sente tanto l’esigenza della bellezza perché non si pensa di vivere in un rifugio, o di dormire in un giaciglio qualsiasi, ma di abitare un luogo che restituisce un senso di appartenenza, di cura, di attenzione, di unione con il prossimo, di amicizia nel senso più vero e bello. Per questo, chi abita qui ha desiderio di contribuire come può, come i ragazzi che con commozione ho visto dipingere i letti che andranno nelle nuove stanze per partecipare al rinnovamento, costruire il futuro nella bellezza.

Anche con le persone come te, che impropriamente chiamo “benefattori” e che io sento persone amiche prima di tutto, spero si stia creando un legame impostato sul dialogo, sull’ascolto, sulla possibilità di poggiare la testa sul petto nei momenti più difficili. Conto su di te insieme agli ospiti della Casa della Carità e tu puoi contare su di noi.

Un caro saluto,

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