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Essere tutore volontario per i minori stranieri non accompagnati

La Legge Zampa sulla tutela dei minori stranieri non accompagnati ha introdotto la figura del tutore volontario/tutrice volontaria. Chiara Lugarini è una di loro e ci racconta la sua esperienza.

Nel 2017 è stata approvata la cosiddetta Legge Zampa (dal nome della prima firmataria, Sandra Zampa), che ha istituito in Italia un sistema organico di protezione e accoglienza per i minori stranieri non accompagnati (msna).

Quella legge ha anche introdotto la figura del “tutore volontario”, ossia un privato cittadino che dà la sua disponibilità a esercitare la rappresentanza legale di un minore straniero solo. Per conoscere meglio questa figura, abbiamo interpellato Chiara Lugarini, che da alcuni anni a Milano è tutrice volontaria di alcuni ragazzi. Le abbiamo chiesto di farci conoscere meglio questa figura, ancora poco conosciuta, e di raccontarci la sua esperienza.

Chi è il tutore volontario/ la tutrice volontaria per i minori stranieri non accompagnati

In un momento in cui la politica legata alle questioni migratorie sembra compiere scelte inconsistenti se non avventate o altamente discutibili, è utile ricordare la Legge Zampa del 2017 che, in riferimento ai minori stranieri non accompagnati, definisce criteri di accoglienza e istituisce la figura del tutore o della tutrice.

Accanto alle diverse figure istituzionali che si prendono cura (personalmente preferisco “prendersi cura” a “prendere in carico”) dei ragazzi migranti dal loro arrivo all’accoglienza ne compare una nuova, una persona adulta che per libera scelta si propone di accompagnare un ragazzo neoarrivato nel suo percorso di formazione e inserimento nel territorio che lo ospita.

Non ci sono particolari prerequisiti necessari per diventare tutore, né inizialmente è del tutto chiaro il suo ruolo: firma documenti, dialoga con la rete dei servizi e, soprattutto, per come vuole e per come può si interessa al ragazzo, cerca di costruire una relazione che vada oltre le incombenze formali.

È quell’adulto che, senza essere un genitore (la famiglia di origine è in genere molto presente nella vita dei minori stranieri non accompagnati), si mette in dialogo e in ascolto di possibili bisogni e desideri, propone occasioni per conoscere la città, si avvicina, condividendo la propria esperienza, cerca di facilitare il crearsi di una nuova vita, di nuove relazioni; collabora con la comunità, la scuola, i servizi per sostenere il ragazzo.

A volte può essere necessario mediare con i vari soggetti che ruotano intorno ai minori, cercando di valorizzarne le caratteristiche specifiche che possono richiedere un intervento diverso da quello già sperimentato in situazioni simili. Il tutore o la tutrice si fanno, a mio parere, garanti di quell’unicità che è propria di ognuno e che a volte il sistema, per via di limiti diversi, rischia di non cogliere o di non sostenere a sufficienza.

Per qualche tutore ha a che fare con un desiderio di fare del bene o di fare bene, per me è anche e soprattutto una questione di fare nel rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione dell’infanzia e dell’adolescenza che tutela, tra altre cose sicuramente importanti per un ragazzo che ha affrontato il viaggio migratorio, il diritto all’ascolto e a sviluppare le proprie potenzialità.

Mi piace ricordare che i minori stranieri non accompagnati sono prima di tutto adolescenti (ora accade che arrivino anche ragazzini di 10/12 o 14 anni), poi sono migranti e questo perché, a mio parere, uno stato deve prendersi cura innanzitutto del loro essere minorenni, pre-occupandosi di creare le migliori condizioni affinché possano crescere in un ambiente sicuro e il più possibile adeguato a sostenerli, esattamente come ognuno di noi vorrebbe per i propri figli, nipoti, studenti, ecc.

Il fatto che abbiano attraversato il mare, o camminato chilometri lungo le rotte balcaniche, ci pone ovviamente ulteriori questioni, ma l’accoglienza che a loro dobbiamo gliela dobbiamo in nome di diritti riconosciuti, per altro sottoscritti dall’Italia in più documenti.

Come si diventa tutore o tutrice

Per diventare tutori o tutrici occorre seguire una breve formazione proposta dalla Regione e poi, una volta iscritti nel registro dei tutor, si attende la chiamata del Tribunale dei minori. A volte passa anche molto tempo prima di recarsi a firmare e a ricevere in tutela un ragazzo.

Sicuramente il numero di minori a cui è stato affidato un tutore è cresciuto negli anni, ma ancora sono molti quelli affidati al Comune o ai servizi, che non sempre riescono a costruire percorsi realmente individualizzati e personali.

Un’opportunità di crescita reciproca

Seguendo le parole famose di Danilo Dolci per cui “ognuno cresce soltanto se sognato”, potrei dire che la figura del tutore per i ragazzi che ce l’hanno, fa un po’ da “sognatore”: aiuta i ragazzi in molti modi e con intensità diverse a crescere, sapendosi pensati anche qui e non solo dai familiari lontani.

Personalmente, essere tutrice mi piace e soddisfa un po’ la sensazione di impotenza che sento nei confronti di politiche inadeguate ad accogliere le persone migranti che cercano di arrivare, e non sempre con fortuna, in Europa, ma non direi che è tutto facile o che basta il buon senso o alte cose simili.

Avere a che fare con un ragazzo di 16 o 17 anni non è semplicissimo in generale, se poi ha tutta un’altra storia difficilmente comprensibile intimamente, una cultura, dei valori e delle abitudini differenti, è inverosimile che vada sempre tutto liscio. Direi piuttosto che è un’opportunità di relazione e di crescita reciproca e che pertanto richiede pazienza, attesa, cautela, capacità di comprendere, mettendo in discussione i propri convincimenti e i “si fa così” per negoziarne di nuovi.

Sono ragazzi che hanno fatto una scelta difficile e importante, che né il tutore né la rete dell’ accoglienza può scordare o ridurre quando cerca di costruire un vero percorso di inserimento.

Chi sono i minori stranieri non accompagnati e che cosa sognano

Spesso chi lavora con i minori stranieri non accompagnati riferisce della doppia età di questi ragazzi che non sono né solo “piccoli”, né già adulti, ed è questa consapevolezza un punto cruciale nell’immaginare dei percorsi non tanto per loro, ma con loro.

Dirlo è facile, tenerne conto un po’ meno e porta talvolta a conflittualità o incomprensioni, per esempio nella vita di comunità o a scuola, che non abbiamo ancora compreso del tutto come gestire. Ugualmente potremmo dire rispetto alla valutazione delle competenze di questi ragazzi che spesso vengono sottovalutate a favore di progetti educativi in cui loro non trovano interesse e che pertanto vengono abbandonati o prolungati oltre misura.

Il sistema dell’accoglienza (comunità, servizi, ma anche territorio locale inteso come mix di associazioni e istituzioni locali) potrebbe agire diversamente? Probabilmente sì, ma certamente con un investimento di risorse e di pensiero maggiori a cui purtroppo la politica non sembra interessata.

La maggior parte dei ragazzi afferma di voler lavorare, anche perché questo è il mandato delle famiglie, ma in attesa di poterlo fare molti di loro cercano vie per entrare in relazione, per guadagnare in credibilità, per essere riconosciuti e non solo dai connazionali.

Certo è difficile ingaggiarli in attività ludiche o formative, ma a volte basta allargare il raggio delle possibilità: un corso di lingua, un laboratorio teatrale con studenti italiani, un’ attività sportiva, ecc. Il tutore in questo può essere d’aiuto proprio nel proporre situazioni a cui la comunità non pensa o che non ha le forze di seguire per ogni singolo ospite. Ricordo di aver portato un ragazzo al cinema, a fare la tessera in biblioteca, a una squadra di calcio, in un CAG, a mangiare i panzerotti di Luini, specificando che fosse una cosa tipica di Milano ma anche cibo buono non caro, ecc ecc: non tutto ovviamente è stato accolto con lo stesso entusiasmo e ogni ragazzo è diverso, ma abbiamo fatto cose potenzialmente interessanti a prescindere dallo statuto di minore straniero solo e questo ha avuto un valore nel suo percorso di affermazione di sé e nelle sue capacità di inserimento.

Ogni ragazzo accolto porta con sé una storia, desideri e bisogni differenti, ma credo che sia tempo di provare a “sognarli” e a pensarli come futuri cittadini e a prendersene cura con uno sguardo più ampio, coinvolgendoli maggiormente nella definizione dei loro percorsi e attivando più risorse non solo ad hoc, ma per tutta la fascia degli adolescenti, affinché possano sviluppare i propri talenti insieme ai coetanei e non solo per vie parallele che non si incrociano mai.

Se penso ai ragazzi che conosco, credo che molti di loro cerchino il loro posto. Facilmente associano questo posto al lavoro, ma in realtà, forse meno consapevolmente, cominciano ad abitarlo, attraversando la città in cerca degli amici, sostando in alcune vie, cercando il loro kebabbaro. Prendono possesso di piccole porzioni della città oltre alla comunità, esplorano, ma spesso restano nei confini di ciò che i connazionali gli mostrano. Per quanto complesso, provare ad ampliare queste traiettorie e questi luoghi potrebbe essere importante. Occorre capire come e dove innalzare ponti.

La lingua è confine ma anche strumento per il suo superamento e potenziare tutte le occasioni, le strutture, i luoghi per il suo apprendimento e per il suo vivo esercizio potrebbe essere un passo per sostenere un’accoglienza profonda, ospitale intesa secondo il senso antico di omaggiare l’arrivo dello straniero affinché stia bene e si racconti, ci consenta di conoscere qualcosa di nuovo.

Un’accoglienza interessata non solo a “risolvere problemi”, operazione certo necessaria, ma a facilitare processi di presa ed esercizio della cittadinanza. Anche a Milano abbiamo ancora molto da fare, io credo anche riconoscendo gli sforzi dei servizi e le buone energie dei molti tutori.

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