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Triboniano, 10 anni dopo

10 anni fa veniva chiuso il campo di via Triboniano. Qui la Casa aveva un presidio sociale e ha poi seguito i residenti nei percorsi di uscita dall’insediamento

Da un lato il cimitero Maggiore; dall’altro la ferrovia che porta a Torino. In questa striscia di terra all’estrema periferia nord ovest di Milano sorgeva il campo rom di via Triboniano, l’insediamento più grande della città.

Esattamente 10 anni fa, il campo veniva chiuso e gli abitanti avviati a percorsi di autonomia, inclusione sociale e cittadinanza.

Anche la Casa della Carità è stata protagonista di questa storia. Dal 2007 al 2011, infatti, la Fondazione ha gestito lì un presidio sociale. Successivamente, gli operatori della Casa hanno seguito l’accompagnamento dei residenti nei percorsi di uscita dal campo.

A distanza di 10 anni, notiamo come il “legame di una comunità di famiglie” è ancora molto forte. Pur dispersi sul territorio della città, è evidente la capacità che queste famiglie hanno di rimanere in contatto tra di loro e con la Casa: di fronte a una festa o a un lutto la comunità si raduna e tutti partecipano all’evento di una delle famiglie.

L’abitare in appartamenti ha favorito la creazione di legami con i vicini di casa senza creare problemi di convivenza.

E soprattutto, molti dei bambini di allora hanno concluso con naturalezza il percorso scolastico della scuola dell’obbligo. Un buon numero ha frequentato i corsi professionali e oggi lavora come operaio e operaia specializzati e c’è chi sta affrontando la maturità al liceo linguistico con la prospettiva di un percorso universitario.

Via Triboniano: che cosa abbiamo imparato

Il Triboniano non è stato solo una “favela” carica di disagio umano e sociale, che ha generato preoccupazione e sofferenza. Triboniano è stato anche un luogo abitato da donne, uomini e famiglie con più di 200 minori.

La Casa della Carità ha deciso di stare in mezzo a loro, tra conflitti ed esperienze positive.

Lavorando al Triboniano è cresciuta la consapevolezza che i campi vanno superati. Anche se riconosciuti e regolarizzati, infatti, possono continuare ad attirare disagio e a volte a moltiplicare illegalità piccole e strutturali.

Si è scelta la strada, l’unica realistica e nell’interesse degli abitanti tutti, del campo e vicini, di promuovere opportunità per lasciare il campo. Per chiuderlo certo, ma non con gli sgomberi, invocati come scelta che dava più consensi immediati.

Chi di noi aveva accettato la fatica del presidio sociale ha accettato la sfida e ha immaginato un percorso di uscita. Nella convinzione che il campo andasse superato nei fatti, ma anche concettualmente.

Si è scelto di stare nel mezzo e diventare collaboratori di un progetto pilota di superamento del campo negli spazi istituzionali che si aprivano. E nella consapevolezza che dire Rom significava rifiuto generalizzato, inimicizia diffusa.

È evidente che superare i campi in modo positivo significa fare un percorso di costruzione di cittadinanza, superando il clima da capro espiatorio, di indiscriminata generalizzazione e di esclusione, che è molto quotato al mercato del consenso politico.

Spostare l’opinione pubblica non sul rifiuto, ma sulla cittadinanza, significa disinnescare quella strategia che fa dei Rom unicamente un pericolo sociale.

Il valore sociale e culturale di questo lavoro è che, da accampati in una favela, queste persone e queste famiglie sono diventate abitanti di un contesto sociale. Cittadini a pieno titolo.

Dal campo alla casa

Il superamento del campo di via Triboniano, raccontato da alcuni protagonisti di quella esperienza: Titel Vasile, un ex residente del campo, Antonietta Spinella, rappresentante di un comitato di quartiere, Maurizio Azzollini, allora dirigente del Comune e oggi direttore generale della Fondazione, e Fiorenzo De Molli, responsabile del Settore Accoglienza e Ospitalità della Casa.

TRIBONIANO: IL CAMPO, l’incendio e l’intervento della Casa

In via Triboniano l’insediamento nasce spontaneamente nella prima metà degli anni ’90. Con il tempo, il campo cresce, ospitando cittadini provenienti da Romania, Bosnia, Kosovo e Macedonia, prevalentemente di etnia rom.

Nel 2001, il Comune di Milano regolarizza l’area. Al contempo, però, il campo è abbandonato a se stesso, tanto che la baraccopoli si espande senza controllo arrivando a ospitare fino a mille persone nel degrado più assoluto. 

L’incendio al campo di via Triboniano

Il 31 dicembre 2006, un incendio distrugge buona parte della baraccopoli: 64 roulotte con le baracchine annesse vanno in cenere e le famiglie che le abitano finiscono per strada.  

Non è il primo episodio del genere. Nonostante il campo sia diventato regolare, infatti, la corrente elettrica non è mai arrivata e durante l’inverno si usano stufe a legna e candele per riscaldare e illuminare l’ambiente.

Forte dell’esperienza con le famiglie rom sgomberate dal campo irregolare di via Capo Rizzuto e del “Villaggio solidale”, il giorno dopo l’incendio la Casa della Carità manda i suoi operatori in via Triboniano e comincia un lavoro di ascolto e vicinanza con le persone che abitano nel campo.

Dopo l’incendio, il Comune di Milano avvia un intervento di riqualificazione della zona, creando tre aree distinte e dotando il campo di container abitabili e roulotte, energia elettrica, acqua corrente e allacciamento alla rete fognaria. 

Nel marzo 2007, la Casa della Carità firma una convenzione con il Comune di Milano per la gestione del presidio sociale di via Triboniano, poi rinnovata più volte fino al 2011. 

La visita del Cardinale Dionigi Tettamanzi al Triboniano nel 2010

È la vigilia di Natale, quando l’allora arcivescovo di Milano fa visita al Triboniano.

Ricorda don Colmegna: «Era un momento difficile per la città e molto faticoso anche per noi, che cercavamo di proporre soluzioni innovative per superare situazioni di abbandono come quelle dei campi. Lui ha scelto di venire in mezzo a queste persone, visitare le baracche, portare una parola di solidarietà e attenzione, rompendo il clima di tensione che si respirava in quel periodo. Ci ha permesso di ritrovare le buone condizioni per il superamento del campo, condividendo una straordinaria esperienza di umanità»

I progetti sociali

In via Triboniano, la Fondazione mette a disposizione una presenza sociale composta di sei operatori, con il compito di pensare a un progetto di inclusione sociale e autonomia con ciascuna famiglia.

Poiché la maggior parte degli uomini è occupata nei settori dell’edilizia e del giardinaggio e dal momento che alcune donne lavorano, si pensa di riproporre anche in via Triboniano la metodologia già seguita con successo dalle persone sgomberate dal campo di via Capo Rizzuto nel 2005: con le famiglie che hanno fonti di reddito sufficientemente regolari e certe, si avviano piani di risparmio con l’obiettivo di trovare una soluzione abitativa autonoma.

Gli uomini che non hanno situazioni stabili di lavoro sono orientati nella ricerca di un’occupazione. Gli operatori li aiutano a stilare un bilancio di competenze, a redigere un curriculum e a rivolgersi agli sportelli e agli uffici che propongono offerte di lavoro. 

Alle donne sono proposti corsi, consulenze e colloqui con esperti sui temi dell’igiene e cura personale, della sessualità, del rapporto con i figli e della maternità.  

Per tutti i bambini si verifica la frequenza scolastica e, con gli istituti frequentati, si avviano progetti di compresenza degli operatori della Casa durante le ore di lezione. Tutti gli alunni sono quotidianamente seguiti nelle attività di doposcuola.

Nel 2008, gli operatori della Casa della Carità organizzano una vacanza a Pomaia, in Toscana, per i bambini del campo di via Triboniano.

Un’esperienza indimenticabile. Come ricorda Maria, che allora aveva 9 anni: “Con voi per la prima volta ho visto il mare“.

Triboniano Pomaia 6
Triboniano Pomaia 9
Triboniano Pomaia 6
Triboniano Pomaia 4
Triboniano Pomaia
Triboniano Pomaia 5

La chiusura di via Triboniano 

Il primo maggio 2011 il Comune di Milano, in accordo con il prefetto Gian Valerio Lombardi, sancisce la definitiva chiusura del campo. Un anno prima, l’insediamento era stato inserito nel cosiddetto “piano Maroni”, dal nome dell’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni, che, tra i vari interventi,  prevedeva il superamento dei campi rom e che, proprio per questo, era stato firmato anche dalla Casa della Carità. 

Per consentire a tutti i nuclei di trovare sistemazioni stabili e durature, la Fondazione promuove, insieme ad altre undici realtà impegnate nel settore, un’agenzia cittadina per trovare casa e lavoro agli abitanti dei campi prossimi alla chiusura. 

Parallelamente, gli operatori della Casa coinvolgono quasi tutte le famiglie del campo con assemblee e colloqui personali per presentare le proposte che il piano di uscita prevedeva: rientro in Romania con alcune sovvenzioni, borse lavoro tramite l’ufficio comunale del Celav, possibilità di sostegno economico in caso di affitto o di acquisto di una casa. 

Maria, dalle baracche del Triboniano al Louvre

Erano oltre 200 i minori che vivevano al Triboniano, fra container e baracche, con poche prospettive di futuro.

Grazie ai progetti sociali realizzati con questi bambini e con le loro famiglie, oggi la maggior parte di loro frequenta o ha portato a termine un percorso scolastico. C’è chi quest’anno farà la maturità con la prospettiva di un percorso universitario. C’è chi lavora come parrucchiera, elettricista, tecnico delle fibre ottiche, ascensorista, meccanico d’auto, panettiere, barista, commessa.

Una degli ex bambini del Triboniano è Maria. Oggi ha 22 anni, lavora, vive da sola. E quando può viaggia con le amiche e sua sorella minore.

Via Triboniano: i risultati 

Quando la Casa comincia il suo intervento nel campo regolare di via Triboniano, nel gennaio 2007, l’insediamento ospita 537 persone. Nel maggio 2010, alla firma del piano Maroni  per “l’alleggerimento dei campi”, le famiglie presenti sono 109, per un totale di 502 abitanti

Le politiche messe in atto per il superamento positivo del “Triboniano” portano 482 persone a trovare una soluzione abitativa. Tra affitti e mutui sul mercato privato, alloggi popolari e appartamenti messi a disposizione dall’associazionismo e dalla stessa Casa della Carità, 53 nuclei famigliari trovano una casa in Italia in cui proseguire il loro percorso di autonomia. 49 famiglie accettano invece progetti di rientro assistito in Romania. 

Altre 7 si allontanano spontaneamente dal campo senza aver trovato nessuna soluzione condivisa. 

[L’immagine di apertura è di Donatella De Vito]


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