Come si vive il Ramadan alla Casa della Carità? Ne abbiamo parlato con Doudou Khouma, operatore della Fondazione di fede musulmana
Il 12 maggio si concluderà il Ramadan, il mese sacro dei musulmani, iniziato lo scorso 13 aprile. Anche alla Casa della Carità viviamo intensamente questo tempo, insieme ai nostri ospiti di fede musulmana. E prima dell’esplodere del Covid, ogni anno la Fondazione promuoveva un incontro interreligioso di preghiera per condividere l’Iftar, la rottura quotidiana del digiuno, insieme alle diverse comunità islamiche di Milano e con i rappresentanti delle altre religioni.
Abbiamo approfondito questo tema con Doudou Khouma, operatore della Casa di fede musulmana.
Doudou, puoi spiegare che cos’è il Ramadan?
Ramadan è il mese sacro dei musulmani, che ricorda la prima rivelazione del Corano a Maometto, ed è il mese in cui si pratica il digiuno. Fa parte dei 5 pilastri della religione insieme alla testimonianza di fede, la preghiera, l’elemosina, il pellegrinaggio alla Mecca. Storicamente questo tempo di digiuno e preghiera è iniziato quando il Profeta lasciò La Mecca per Medina. In questo mese, dall’alba al tramonto, bisogna astenersi dal mangiare, bere, fumare, dalle attività sessuali. Inoltre bisogna cercare di non arrabbiarsi e di dedicarsi agli altri. Al tramonto, si rompe il digiuno mangiando datteri e bevendo acqua. Quando finisce il Ramadan, l’Islam chiede di fare la zakāt, cioè di donare una parte di quello che si ha a chi è in povertà o in difficoltà. Anche questo è un modo di condividere.
Che cosa significa per i musulmani praticare il digiuno?
Posso dire come vivo io il Ramadan. A me aiuta tanto praticare il digiuno. È un bisogno spirituale che avverto, perché digiunando posso provare che cosa vuol dire avere fame. E questo mi aiuta a essere disponibile con gli altri e a condividere quello che ho.
Non deve essere facile conciliare il digiuno con la vita lavorativa…
Nei paesi islamici, durante il mese di Ramadan l’orario lavorativo si adatta alla vita religiosa, così che le persone possano poi tornare a casa per la rottura quotidiana del digiuno. In Italia invece la giornata lavorativa non cambia. Ma quando uno crede a qualcosa, nonostante difficoltà che vive, continua a rispettare i precetti della religione. Quest’anno comunque il Ramadan cade in un periodo buono, le giornate non sono così lunghe e calde, come invece succede quando cade in agosto.
Alla Casa della Carità molti ospiti sono di fede islamica. Come si vive qui il Ramadan?
Alla Casa della Carità, il contesto dove lavoro, c’è una bella accoglienza e c’è molto riguardo per noi fratelli musulmani. Gli ospiti musulmani che vivono qui, infatti, hanno la possibilità di digiunare e arrivare all’orario di rottura senza temere di dover saltare il pasto serale. E questo non è scontato. Invece alla Casa della Carità ci si è organizzati. Per esempio, si cambia l’orario serale della mensa e alla mattina i ragazzi hanno un sacchetto con del cibo, che viene consegnato la sera precedente, così che all’alba possono mangiare. Se poi, come è capitato, l’orario della rottura cade dopo la chiusura della mensa, si prepara comunque del cibo che le persone possono consumare e fare una rottura degna.
Non tutti gli ospiti musulmani praticano il digiuno. Per esempio se si segue una terapia farmacologica non si può, ma comunque tutti vivono con partecipazione questo momento. Chi viene qui la sera in questo mese, infatti, sente che siamo in Ramadan e avverte che è un momento di condivisione.
Com’è stato, in questi due anni, vivere il Ramadan nel pieno della pandemia?
È stato più complicato, soprattutto lo scorso anno, durante la prima ondata. Le moschee erano chiuse e non si poteva vivere insieme il momento della rottura del diguno, non si potevano incontrare amici e parenti e non si sono potute tenere le celebrazioni di Eid-el Fitr, il Festival di Fine Digiuno. Anche in Casa della Carità, per le misure di sicurezza che avevamo, appena si finiva di mangiare bisognava lasciare il posto. E non abbiamo potuto organizzare la festa finale tutti insieme come al solito. Ma soprattutto è stato un problema per quelle persone che vivono per strada, che non hanno un posto dove stare e non hanno soldi per comprare da mangiare. Molti di loro vanno in Moschea a fare la rottura. Qui infatti si preparano dei pasti anche per chi è in difficoltà, che può fermarsi anche dopo la cena, fino all’ultima preghiera della sera.
L’anno scorso non è stato possibile e per tanti ragazzi è stato molto difficile. Quest’anno fortunatamente va un po’ meglio. Le moschee possono accogliere al 50% i fedeli e possono preparare e distribuire i sacchetti.