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Le conseguenze del nuovo Patto europeo sull’immigrazione

Abbiamo intervistato Emilio De Capitani, già Segretario della Commissione Libertà Civili del Parlamento Europeo, con il quale abbiamo approfondito le conseguenze delle nuove politiche europee sull’immigrazione e l’asilo.

Il 20 dicembre 2023 il consiglio dell’Unione Europea e il Parlamento Europeo hanno raggiunto l’accordo sul cosiddetto “Nuovo Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo”, che è stato poi adottato dal Parlamento Europeo il 14 aprile 2024.

Per conoscere le conseguenze che questa nuova normativa avrà sulle persone migranti, all’indomani delle elezione europee del 8 e 9 giugno 2024 abbiamo intervistato Emilio De Capitani, già Segretario della Commissione Libertà Civili del Parlamento Europeo tra il 1998 e il 2011.

Emilio De Capitani
Emilio De Capitani

Professor De Capitani, quali saranno secondo lei le conseguenze del nuovo Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo?

A mio parere, le conseguenze saranno sicuramente negative, perché il Patto tutto fa meno che costruire una politica comune “…intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori” come vorrebbe l’art. 79 del Trattato di Lisbona sul Funzionamento dell’Unione Europea. Si concentra invece solo sul contrasto all’immigrazione irregolare, un obiettivo ossessivamente perseguito da più di vent’anni dai Ministri degli Interni europei che di tutto si preoccupano salvo che del governo della mobilità delle persone.

Il patto così, ad esempio, conferma ed estende la finzione giuridica del “non ingresso” sul territorio dell’Unione anche quando i migranti vi siano fisicamente presenti e si trovino quindi sotto la giurisdizione europea che deve assicurare loro il diritto al giusto processo, non possa respingerli, debba tutelare l’interesse superiore del minore e impedire la privazione arbitraria della libertà. Vengono così generalizzate la procedura di frontiera, lo screening pre-ingresso1, la detenzione amministrativa anche in assenza di minacce per la sicurezza.

Diventa inoltre sempre più arduo ricorrere contro provvedimenti di espulsione o rimpatrio e si è prevista la riduzione delle garanzie a tutela delle persone nel caso in cui si ritenga che queste siano state “strumentalizzate” da paesi terzi per destabilizzare l’Unione Europea. Si continua quindi a combattere contro nemici immaginari evocando minacce la cui portata non trova riscontri oggettivi.

Sotto questo profilo, l’unico aspetto positivo della messa in opera del Patto potrebbe venire dalla verifica sul campo della applicazione delle norme adottate e che dovrebbero essere operative su tutto il territorio dell’Unione entro la metà del 2026.

La Commissione ha infatti appena presentato una dettagliatissimo programma di attuazione che obbligherà gli Stati membri, già nei prossimi mesi, a rimodulare il quadro legislativo nazionale, l’organizzazione amministrativa e le strutture sul territorio.

Qui il controllo della Società civile sarà fondamentale a evitare che la deriva securitaria prenda il sopravvento rispetto alla tutela dei diritti nei singoli paesi membri. Va infatti ricordato che anche le norme del Patto non possono derogare ai principi previsti dai Trattati o dalla nostra Costituzione.

A suo parere, il Patto può avere particolari esiti nefasti sulle categorie più vulnerabili, inclusi i minori?

Questo resta purtroppo possibile proprio per il carattere ambivalente delle norme europee, che riconoscono i diritti in linea di principio ma aprono anche la strada a eccezioni. Così, la nuova Direttiva in materia di accoglienza prevede che le persone vulnerabili, e in particolare i minori o le vittime di violenza e tortura, debbano essere protette tempestivamente, prevedendo obblighi di informazione tempestiva sulla portata dei loro diritti e la possibilità di richiedere assistenza legale gratuita già nel corso della procedura amministrativa. Poi però si prevede che anche queste categorie, per ragioni di sicurezza, siano oggetto delle cosiddette procedure di frontiera che riducono di fatto e di diritto la tutela dei diritti delle persone e che possono portare anche a decisioni di espulsione con scarsa possibilità di ricorso al giudice.

Per i minori non accompagnati viene prevista già al momento della presa delle impronte digitali la nomina di un rappresentante con una formazione speciale2 e che potrebbe seguire fino a trenta minori, ma c’é da chiedersi se questa assistenza venga poi assicurata anche nei fatti da personale con queste caratteristiche.

Ugualmente, da un lato si prevede che la detenzione, su semplice provvedimento amministrativo, sia una misura di ultima istanza e a seguito di una valutazione individualizzata per evitare che ne possano derivare rischi per la salute fisica o mentale. Si pone però il problema del controllo dell’applicazione di questi principi. Ora il Patto prevede un meccanismo indipendente per il monitoraggio dei diritti fondamentali durante la fase di fase di screening e la procedura di frontiera per l’asilo. Inoltre, gli Stati membri devono prevedere un meccanismo efficace per indagare sulle accuse di mancato rispetto dei diritti fondamentali, per consentire alle vittime di accedere alla giustizia civile o penale3. Mi chiedo se saranno sufficienti queste previsioni per evitare le derive che il nostro paese ha conosciuto nel quadro dei CPR.

A livello europeo si sta facendo strada una vera e propria esternalizzazione dei controlli alle frontiere (vedi protocollo Italia-Albania, accordi con la Libia, con la Turchia e la Tunisia) basata anche su accordi con governi autoritari. Quali sono secondo lei gli aspetti più problematici in termini sia di garanzia dei diritti delle persone migranti sia di tutela dei principi e valori fondativi dell’Unione Europea? 

Intanto va da sé che qualunque politica migratoria dell’UE ha una “dimensione esterna” che deve tenere conto della situazione nei paesi di provenienza o transito dei migranti. Nel fare ciò, l’Unione non può però abdicare alle proprie responsabilità e obblighi, come previsti dai trattati e dalla Carta che devono essere rispettati anche al di fuori del territorio dell’Unione (art.21 TUE). Questo vale anche per le iniziative del nostro paese quando trasferisce migranti e richiedenti asilo sul territorio albanese, un paese non UE, o quando, da anni, spinge per far riconoscere e finanziare dall’UE aree di ricerca e soccorso nelle acque di un paese come la Libia, che non ha nessuna credibilità internazionale e che non ha ratificato la Convenzione di Ginevra per i rifugiati. Questo vale in diversa misura anche per le relazioni dell’UE con la Turchia e con l’Egitto che vengono finanziati per tenere lontani i potenziali migranti dal territorio europeo. Tutte queste misure sono la conferma del fatto che gli Stati membri non si sono ancora dati una governance dei flussi migratori.

Ciò è paradossale, perché in questi stessi anni è stato anche possibile gestire il flusso di milioni di sfollati ucraini senza problemi maggiori per la sicurezza loro e dell’UE. Ora, ciò è stato possibile non solo grazie alla generosità della società civile, ma anche perché, per la prima volta, l’Unione Europea ha saputo affrontare il problema seguendo due strade finora ignorate.

È stata innanzitutto riconosciuta la scelta del migrante e ciò va in aperto contrasto con la logica di Dublino e l’ossessione del divieto dei “movimenti secondari”, visto che gli Ucraini possono circolare sull’intero territorio dell’Unione.

In secondo luogo perché, da subito, si è superato l’approccio securitario dei Ministri degli Interni e si sono coinvolti attraverso due piattaforme di solidarietà tutti i rami dell’amministrazione pubblica europea e nazionale assicurando i permessi di soggiorno, l’assistenza sociale e sanitaria, l’istruzione, l’alloggio, il riconoscimento dei diplomi e, ultimo ma non meno importante, il diritto al lavoro. Con il senno di poi la Commissaria UE per gli affari Interni Ylva Johansson ha riconosciuto che la Direttiva avrebbe dovuto essere attivata nel 2015 con i profughi siriani e, aggiungo io, nel 2021 con quelli afgani o oggi con i palestinesi. Ma la domanda fondamentale è: perché l’insegnamento di questa direttiva sulla protezione temporanea non è stato ripreso a regola di riferimento per il Patto Migrazione e asilo a sostituzione dell’approccio di Dublino4?

A livello nazionale abbiamo constatato – anche attraverso il lavoro della campagna Ero straniero alla quale la Casa della Carità partecipa – che la mancanza di canali di ingresso regolare impatta sulle condizioni di vita delle persone migranti quanto sul mercato del lavoro. C’è margine, a suo parere, affinché una soluzione possa essere definita a livello europeo?

Il margine c’è, eccome, anche perché, dopo il Trattato di Lisbona, anche in materia di migrazione regolare si applica il principio della maggioranza qualificata5. Come ricorda la mia cara amica Chiara Favilli, prima ancora di questo Trattato già nel 2001 la Commissione riconosceva che la politica migratoria è necessaria per gestire un fenomeno destinato a continuare nel tempo, “sia per le condizioni geopolitiche dei Paesi di origine, sia per le esigenze della stessa Unione Europea, caratterizzata da un calo demografico che deve essere colmato per mantenere e possibilmente accrescere il benessere economico dell’Unione”.

Aveva così presentato una proposta di direttiva sull’ingresso per motivi di lavoro6, che mirava a regolare in modo organico l’ingresso e il soggiorno dei migranti c.d. economici, addirittura prospettando la possibilità di ingresso per ricerca di lavoro. Tuttavia, tale proposta non è mai stata approvata ed è stata poi ritirata.

Quella che manca dunque è la volontà politica da parte dei governi degli Stati membri, per non parlare della resistenza da parte dei Ministeri degli Interni ad abbandonare il ruolo di “Deus ex Machina” in queste politiche anche se essi non sono minimamente strutturati per assicurare la gestione e integrazione dei migranti “regolari”. Queste sono competenze che, a livello nazionale, sono svolte dai Ministri degli Affari sociali, dell’Istruzione, del Lavoro…, ma questi ultimi faticano tuttora a darsi un ruolo a livello europeo, come si vede dalle difficoltà che incontra ancora il cosiddetto “Pilastro Sociale”.

Ma nel giorno in cui, magari sotto pressione dei sindacati e della società civile, questi decidessero di entrare in gioco come é avvenuto per il caso ucraino, è probabile che con nuovi suonatori anche la musica cambi. Detto questo, non sarebbe male che il Parlamento europeo neo-eletto riprendesse l’iniziativa visto che che questa materia è fra le sue competenze e quindi sulle sue responsabilità.

Ci sono altre problematiche/questioni che crede rilevante portare all’attenzione? 

Penso che nei prossimi due anni la società civile, di cui voi siete una ammirevole espressione, dovrebbe tallonare passo a passo la messa in opera del Patto ad evitare che, a partire dal nostro paese, venga utilizzato per limitare i diritti anziché promuoverli.

Come ho detto, molte delle norme sono ambivalenti, ma i principi della Carta e del Trattato sono comunque prevalenti e chi non li rispettasse si esporrebbe non solo al giudizio degli elettori, ma anche a quello della Commissione che potrebbe attivarsi su iniziativa della società civile per condizionare il trasferimento dei fondi ai paesi membri.

Come ricordava recentemente l’avvocata Paola Regina commentando l’incresciosa situazione del CPR di Milano7, vi sono ormai procedure chiare per attivare la condizionalità di bilancio per violazione dei diritti fondamentali nell’utilizzo dei fondi europei.       


  1. La nuova base dati “Eurodac” memorizzerà ed elaborerà i dati biometrici, i dati d’identità e altre informazioni dei richiedenti protezione internazionale, delle persone sbarcate a seguito di operazioni di ricerca e salvataggio e delle persone fermate in relazione all’attraversamento irregolare della frontiera esterna o trovate illegalmente presenti sul territorio di uno Stato membro. In questo modo, il sistema non solo verificherà le nuove domande di protezione internazionale con quelle già registrate nella banca dati, ma permetterà di verificare il rispetto della nuova versione del Regolamento di Dublino (AMMR) di controllare i cosiddetti ‘movimenti secondari” al di fuori del paese che deve esaminare le domande di asilo e indicare se la persona registrata puo’ presentare un pericolo per la sicurezza interna. ↩︎
  2. Vedi la Raccomandazione della Commissione “on system in the bests interests of the child, C(2024) 2680 final developing and strengthening  integrated child protection. The unaccompanied minor should be accompanied by a representative or, where a representative has not been designated, a person trained to safeguard the best interests of the child and his or her general wellbeing, throughout the time his or her biometric data are taken. Such a trained person should not be the official responsible for taking the biometric data, should act independently and should not receive orders either from the official or the service responsible for taking the biometric data. ↩︎
  3. Secondo la Comunicazione della Commissione il meccanismo nazionale di monitoraggio indipendente dovrà controllare il rispetto del diritto dell’Unione e del diritto internazionale, per quanto riguarda l’accesso alla procedura di asilo, il principio di non respingimento, l’interesse superiore del minore e le norme pertinenti in materia di trattenimento, durante la fase di screening e la procedura di frontiera per l’asilo. Deve garantire che le accuse circostanziate di mancato rispetto dei diritti fondamentali siano trattate in modo efficace e che le indagini su tali accuse siano svolte come necessario. ↩︎
  4. In un primo tempo la Commissione aveva persino previsto di abrogare la Direttiva Protezione temporanea per poi decidere di affiancarle un testo astruso e contradditorio sulle situazioni di Crisi e forza maggiore. ↩︎
  5. L’unanimità rimane per la determinazione del volume di ingressi di cittadini provenienti da Paesi terzi allo scopo di cercare un lavoro dipendente o autonomo (art. 79, punto 5, del TFUE). ↩︎
  6. Proposta di direttiva relativa alle condizioni d’ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo, COM(2001)386 dell’11 luglio 2001, in GUUE C332E del 27 novembre 2001, 248-256. ↩︎
  7. I CPR alla luce del diritto europeo: https://www.libertaegiustizia.it/2024/04/04/i-cpr-alla-luce-del-diritto-europeo/ ↩︎

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