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RITROVIAMO UNA SPERANZA DI PACE

Una riflessione del nostro presidente don Paolo Selmi sul tema della pace, dopo il riaccedersi del conflitto in Medio Oriente

Quando lo scorso 7 ottobre ho appreso la notizia dell’aggressione cruenta, crudele e insensata di Hamas contro i civili israeliani e poi della furiosa reazione del governo di Israele, che sta purtroppo colpendo soprattutto la popolazione palestinese di Gaza, ho pensato che eravamo di fronte a un’altra profonda ferita alla speranza di pace.

Non solo per una situazione – quella tra Israele e Palestina – che sembra non avere una via d’uscita, ma una ferita alla speranza di pace per tutti quei popoli che ancora sono lacerati dalla brutalità della guerra.

E a essere ferita è anche la speranza del singolo, a cui può venire da domandarsi: che senso ha vivere in questo mondo? Chi me lo fa fare di impegnarmi per cambiare le cose? Come posso custodire la speranza e permettere che nessuno la uccida?

Di fronte a questi sentimenti e interrogativi, vorrei condividere alcuni pensieri che possono aiutarci a non essere spettatori, giudici o peggio ancora salottieri. Per me sono delle direttrici, che aiutano il mio oggi a non perdere la speranza. E mi auguro che lo siano anche per voi.

Pensando a quanto sta accadendo in Medio Oriente, si ha la tentazione di cercare a tutti i costi un colpevole; di trovare chi, per primo, a innescato la miccia di una spirale di violenza reciproca che va avanti da oltre 70 anni. Ma, come ha avuto più volte modo di dire Papa Francesco, che è un uomo di Dio, ma ha uno sguardo aperto su tutti: «Il terrorismo e gli estremismi non risolvono il conflitto tra israeliani e palestinesi, ma alimentano l’odio, la violenza e la vendetta e fanno solo soffrire tutti. Il Medio Oriente ha bisogno di una pace costruita sulla giustizia, sul dialogo e sul coraggio della fraternità. La guerra non porta a nessuna soluzione. La storia ci insegna che non è una strada percorribile, dobbiamo trovarne un’altra e il dialogo è uno strumento indispensabile per riportare giustizia e avviare percorsi di riconciliazione».

L’altra direzione da seguire, a mio parere, la indica Etty Hillesum, scrittrice olandese ebrea vittima dell’Olocausto, che scrisse: «Ad ogni atto di crudeltà, dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà conquistato in noi stessi».

Queste parole non sono state partorite su una spiaggia di Sharm el-Sheikh. Etty Hillesum le scrive da dentro l’orrore del campo di sterminio di Auschwitz, a contatto quotidiano con la sofferenza, con lo sguardo che trafigge gli occhi dei carnefici. Qui Etty, con chiarezza e in modo esplicito, chiede di trovare dentro di sé un nuovo senso delle cose, che la violenza e l’orrore razziale hanno tentato di cancellare dalla vita degli uomini.

Mi rendo conto che questo guardare profondamente in noi stessi e fare di tutto affinché non prevalga una logica di rabbia, di cattiveria, di razzismo, di vendetta è qualcosa che possiamo fare nel nostro piccolo (l’augurio è coloro che hanno in mano le sorti del mondo facciano quel che compete a loro). Ma questo grande lavoro di discernimento serve invece per far prevalere quella logica di fraternità e sororità, che Papa Francesco mette in gioco nell’enciclica “Fratelli tutti”.

Perché l’uomo non ha solo da salvarsi o sperare che tanto orrore non torni più. C’è un compito più decisivo e che attiene totalmente all’umano: ridare senso alla vita e uno sguardo vero ad ogni essere umano.

E qui vorrei citare Margaret Karram, presidente del Movimento dei Focolari: una donna nata in Israele – di cui è cittadina – in una famiglia araba dalle profonde radici cristiane. Dice Karram: «La preghiera predispone il nostro cuore a guardare l’altro per quello che è: una sorella, un fratello che sta soffrendo, che ha visto morire migliaia di persone del suo popolo. E questo vale per entrambe le parti. In questi momenti di comunione con Dio, siamo uniti nel chiedere la forza di essere strumenti di pace, di giustizia, di riconciliazione nel mondo. Sono convinta che per fermare il rancore dei cuori, occorre formare le persone al rispetto reciproco, alla pace e alla giustizia, fin dalla più giovane età. Occorre il coraggio della fraternità. Andare verso l’altro non per distruggerlo ma per costruire ponti».

In questo senso, penso a quanto sperimentiamo quotidianamente alla Casa della Carità, una casa da sempre abitata da donne e uomini provenienti da paesi diversi, di culture diverse, di diverse religioni. Non che non ci siano mai tensioni, ma c’è un impegno ad accogliere e ascoltare le storie di vita delle persone che bussano alla porta per poi accompagnarle, pur nella diversità, nella convivenza e nella relazione.

Per questo il mio invito, soprattutto per i più giovani, è quello di vivere esperienze di solidarietà, di volontariato, di servizio civile, mettendo a disposizione il proprio tempo, le proprie energie e le proprie passioni.

Mettersi in gioco in campi e contesti diversi, per trovare e condividere quella speranza, che, credo abita in tanti di noi.

Approfondisci

  • Leggi le riflessioni in occasione della giornata di preghiera per la pace del 17 ottobre 2023. Clicca qui.
  • Leggi l’enciclica “Fratelli tutti”. Clicca qui.

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