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Adama Dieng al convegno SOUQ

“Immigrazione forzata come conseguenza delle atrocità o del loro rischio: genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra”. Leggi il testo della lectio magistralis di Adama Dieng, Sottosegretario generale e consigliere speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per la prevenzione del genocidio, al convegno del Centro Studi SOUQ il 14 gennaio 2019, all’università IULM.

Illustri ospiti, signore e signori, vorrei iniziare ringraziando tutti gli sponsor dell’evento, in particolare il Centro Orientamento Studi Africani (COSA) e il suo Presidente Baye Ndiaye che si prodiga per promuovere una società inclusiva. Da sempre Baye è in prima fila nella lotta per l’eradicazione di ogni forma di pregiudizio nei confronti della nostra Madre Africa, culla dell’umanità. Ho pertanto accettato senza esitazione il suo invito a condividere con voi il mio pensiero sulla migrazione forzata, una delle sfide che si trovano ad affrontare il continente africano e quello europeo.

Per iniziare, lasciatemi sottolineare che la migrazione internazionale non è solamente un problema africano ma un fenomeno globale che sta crescendo in portata, complessità e impatto. Oggi, praticamente tutti i paesi del mondo sono al tempo stesso paesi di destinazione, d’origine e di transito per i migranti internazionali. Ai modelli migratori tradizionali si aggiungono nuovi flussi, alimentati dai cambiamenti economici, demografici, politici e dalle realtà sociali. I cambiamenti dei modelli migratori interessano la dimensione e la composizione delle popolazioni migranti così come le economie e le società ospitanti e d’origine. L’incremento della mobilità globale, la crescente complessità dei modelli migratori e l’impatto degli spostamenti delle popolazioni hanno contribuito a far divenire la migrazione internazionale una priorità per la comunità mondiale.

La migrazione rappresenta una delle caratteristiche determinanti del ventunesimo secolo e fa parte integrante dello sviluppo economico e sociale. L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile ha riconosciuto il ruolo della migrazione internazionale nel raggiungimento dello sviluppo inclusivo, sociale ed economico. Almeno 10 dei 169 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) fanno riferimento ad argomenti direttamente pertinenti a migrazione internazionale, migranti e mobilità. Tra questi i traguardi dell’obiettivo 4 sulle sovvenzioni per periodi di studio all’estero, dell’obiettivo 8 sulla tutela dei diritti al lavoro dei migranti e dell’obiettivo 10 volti a facilitare una migrazione ordinata, sicura, regolare e responsabile, anche attraverso l’attuazione di politiche migratorie pianificate e ben gestite.

La migrazione svolgerà un ruolo significativo nell’attuazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Infatti, molti degli SDG possono essere pienamente raggiunti solo se vengono presi in considerazione i migranti e i loro contributi allo sviluppo. Al contrario, esiti di sviluppo diversi possono influenzare positivamente i modelli migratori del futuro.

Lo scorso anno, per la prima volta, gli Stati Membri delle Nazioni Unite hanno concordato un patto globale onnicomprensivo per meglio gestire la migrazione internazionale, affrontare le sue sfide, rafforzare i diritti dei migranti e contribuire allo sviluppo sostenibile. Tale accordo è stato raggiunto dopo più di un anno di discussioni e consultazioni tra Stati Membri, autorità locali, società civile e migranti stessi. Questo documento importante e storico, il Patto mondiale per una migrazione sicura, ordinata e regolare, è stato adottato formalmente a Marrakesh (Marocco) il 10 dicembre 2018.

Il Patto mondiale non è legalmente vincolante. Si basa sui valori di sovranità dello stato, condivisione delle responsabilità, non discriminazione e diritti umani, e riconosce che è necessario un approccio basato sulla cooperazione per ottimizzare i vantaggi generali della migrazione, affrontando al tempo stesso i rischi e le sfide degli individui e delle comunità dei paesi di origine, transito e destinazione. In una dichiarazione, il Segretario generale António Guterres ha accolto l’accordo definendolo “un successo significativo”. Ha affermato che rispecchia “l’opinione condivisa dei governi secondo cui la migrazione transfrontaliera, per sua stessa natura, è un fenomeno internazionale e che la gestione efficace di questa realtà globale necessita della cooperazione internazionale per aumentarne gli effetti positivi per tutti.

Riconosce anche che ogni individuo ha diritto a sicurezza, dignità e protezione”. Non posso non citare Monica Ramirez, fondatrice dell’organizzazione conosciuta con il nome Justice for Migrant Women. Durante un evento tenutosi lo scorso settembre ai margini dell’annuale sessione di alto livello dell’Assemblea Generale, Monica Ramirez ha affermato: “Tutti noi sappiamo che affinché il Patto eserciti l’effetto che si prefigge, ogni Stato Membro dell’ONU deve lavorare a fondo per creare leggi e condizioni sicure ed eque per chiunque attraversi i suoi confini”.

Due settimane fa, rivolgendosi ai delegati a un incontro sulla migrazione tenutosi nella sede dell’ONU a New York, il Presidente dell’Assemblea Generale Mariá Fernanda Espinosa ha affermato: “La migrazione e lo sviluppo sostenibile sono ‘profondamente collegati’ e l’Agenda 2030,

il progetto dell’ONU per un futuro sostenibile per tutti, non verrà realizzata se non ‘includiamo completamente i migranti’.”. Il Presidente dell’Assemblea Generale ha affermato che il modo migliore per porre definitivamente fine alla migrazione forzata è realizzare gli SDG, in quanto questi attenueranno le “spinte avverse” che inducono le persone a lasciare le proprie case in cerca di una vita migliore: “Nessuno decide di lasciarsi alle spalle la famiglia, la terra e i propri averi senza una motivazione fondata”.

La signora Espinosa ha insistito sul fatto che i bisogni delle donne migranti, le quali costituiscono più della metà della popolazione migrante nel mondo, devono essere considerati in modo specifico: le politiche del lavoro sono più restrittive nei loro confronti rispetto agli uomini, sono più soggette a violenza e sfruttamento, e donne e ragazze rappresentano il 71% delle vittime della tratta di esseri umani. Visto che l’85% di quello che guadagnano i lavoratori migranti resta nel paese ospitante, la signora Espinosa ha affermato che è evidente che i vantaggi della migrazione superano di gran lunga gli svantaggi. Inoltre, centinaia di miliardi di dollari vengono inviati ai paesi in via di sviluppo sotto forma di rimesse, un contributo che è stimato essere il triplo degli aiuti allo sviluppo previsti per il 2017. Pertanto i migranti contribuiscono alla realizzazione degli obiettivi specifici dell’Agenda 2030 quali la riduzione della povertà, l’eliminazione della fame e la promozione della salute.

Il Patto mondiale per la migrazione intende garantire che tutti gli aspetti della migrazione internazionale siano gestiti dai paesi in un modo sicuro ed ordinato, senza compromettere la sovranità di alcuno stato, così come affermato dalla signora Espinosa. “Al contrario, la rinforza. Nessuno stato, per quanto potente possa essere, sarà in grado di risolvere da solo le sfide poste dalla migrazione. Il Patto promuove la cooperazione tra stati quale mezzo migliore per far fronte alla migrazione internazionale.” Sfortunatamente, come sottolineato dal Segretario generale Guterres: “[La migrazione] è anche una questione spesso male interpretata e sfruttata per guadagno politico”. Ha evidenziato che “la migrazione non regolata e mal gestita ha creato una percezione falsata e negativa dei migranti che alimenta gli episodi di xenofobia, intolleranza e razzismo”.

Non sorprende che due settimane fa, all’apertura del Consiglio per i diritti umani di Ginevra, abbia rilasciato un discorso incisivo che molti hanno interpretato come segnale di avvertimento. Ha affermato che: “Stiamo assistendo a un’ondata di xenofobia, razzismo e intolleranza – incluso l’aumento dell’odio antisemita e antislamico. L’odio è una minaccia per i valori democratici, la stabilità sociale e la pace. Si diffonde a macchia d’olio attraverso social media, internet e teorie cospirazioniste. È favorito dall’opinione diffusa che stigmatizza donne, minoranze, migranti, rifugiati, in breve l'”altro”. Infatti, l’odio sta penetrando nei principali sistemi, tanto nelle democrazie liberali quanto nei sistemi autoritari. Alcuni dei principali partiti politici e leader tagliano e incollano idee estremiste nelle loro stesse propagande e campagne elettorali. Partiti un tempo giustamente considerati inferiori acquisiscono influenza sui governi. E ogni volta che si viola una norma, si indeboliscono i pilastri dell’umanità.

Ha colto l’occasione per sottolineare la sua determinazione e mostrare che è tempo di agire. A tale riguardo, ha informato il Consiglio della decisione di incaricare il suo Consigliere speciale per la prevenzione del genocidio, Adama Dieng, di riunire una squadra ONU per rispondere all’odio, definire una strategia sistemica e presentare un piano d’azione globale e di rapida applicazione.

Il Segretario generale Guterres non ha mancato di ricordare al mondo che “il dibattito sulla mobilità umana, ad esempio, è stato falsato da convinzioni errate che collegano i rifugiati e i migranti al terrorismo, usandoli come capro espiatorio per i mali della società”. Ha aggiunto che “Un’insidiosa campagna ha tentato di affondare il Patto mondiale sulla migrazione in un mare di falsità riguardanti natura e scopo dell’accordo”. Quella campagna è fallita. Per usare le sue parole “Vale la pena ricordare che il primo giorno della conferenza per l’adozione della Convenzione coincideva con il settantesimo anniversario dell’adozione da parte dell’Assemblea Generale della Dichiarazione universale dei diritti umani”. Nel concludere le sue osservazioni, il Segretario generale Guterres ha affermato che “Dobbiamo ristabilire l’integrità del regime di protezione dei rifugiati internazionali e

continuare a lavorare per i valori comuni e la cooperazione internazionale per riaffermare i diritti e proteggere le persone da trafficanti spietati, contrabbandieri e altri predatori…”

Signore e signori, come probabilmente sapete, è dalla Seconda guerra mondiale che un numero così vasto di persone non lascia le sue case per cercare un luogo più sicuro. Purtroppo, oggi il bollettino degli sfollamenti forzati assomiglia sempre più a un bollettino di guerra, come lo dimostrano le statistiche sulla migrazione presentate al vertice mondiale delle Nazioni Unite.

Mentre le sofferenze e le morti dei migranti e dei rifugiati che tentano di attraversare il Mar Mediterraneo sono state ben documentate, un’attenzione minore è stata dedicata allo sfruttamento e agli abusi che subiscono nei paesi di transito, o in quelli di origine, incluse quelli che, come risultato di situazioni di estrema violenza, in alcuni casi possono costituire atrocità.

Durante il loro viaggio verso l’Europa e altre località, molti migranti e rifugiati hanno assistito o sono stati vittime di crimini e violazioni dei diritti umani, compresi omicidi e sparizioni forzate, schiavitù ed estorsione, violenza sessuale, tortura e altre forme di trattamento crudele, disumano e degradante. Inoltre, quelli che raggiungono l’Europa o altre località devono spesso far i conti con ostilità, razzismo e xenofobia, come sottolineato dall’Alto commissario per i diritti umani.

La dichiarazione presidenziale del Consiglio di sicurezza sulla “Conservazione della pace e sicurezza internazionale” del 16 dicembre 2015 sottolinea il collegamento tra migrazione forzata, traffico di esseri umani e commissione di atrocità, con le quali si intendono genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Le persone che fuggono dai loro paesi, in molti casi fuggono da conflitti armati, gravi violazioni dei diritti umani o persecuzioni che in alcuni casi possono costituire atrocità. Inoltre, alcune delle violazioni dei diritti umani e dei crimini associati al traffico di esseri umani e alla migrazione forzata possono essere considerate atrocità, se violano la legge umanitaria internazionale o sono perpetrate in maniera diffusa e sistematica. Credo fermamente che sia necessario appoggiare tutti gli sforzi volti a perseguire le responsabilità per gravi crimini legati alla tratta di esseri umani e alla migrazione forzata. Credo anche che esista una notevole sovrapposizione tra i fattori di rischio delle atrocità e quelli trainanti la migrazione forzata: situazioni di conflitti armati, casi diffusi di violazione dei diritti umani, discriminazioni in base identità, povertà, disparità strutturale, carenza di opportunità socioeconomiche e crisi umanitarie.

Sono sicuro che affrontando le cause principali delle atrocità, ridurremo anche la migrazione forzata e quindi la tratta di esseri umani. Tutte le popolazioni hanno il diritto di vivere vite appaganti, in pace e sicurezza. Sono convinto che tutti noi non abbiamo solo la responsabilità di contribuire ad alleviare la sofferenza e il dolore di rifugiati e migranti, ma anche di promuovere diritti umani, coesione sociale e pace. Per questo motivo, spero che l’evento di oggi diffonderà questo messaggio e sarà d’aiuto per rafforzare il nostro impegno nei confronti dei principi che ci guidano. Lo scorso ottobre sono stato invitato a pronunciare il discorso di apertura all’incontro dell’EU High Level Group to Fight Racism, Xenophobia and All Forms of Intolerance a Vienna.

Non ho potuto fare altro che condividere apertamente con i partecipanti i miei più grandi timori riguardanti la situazione in molte parti del mondo, dove le persone sono perseguitate a causa di quello che sono, della loro etnia, religione, cultura nella quale sono stati cresciuti o semplicemente per caratteristiche fisiche distintive. Dobbiamo contrastare, interrompere e combattere attivamente queste tendenze. Il continente europeo non vi è estraneo. Al contrario, molte tendenze a riguardo stanno nascendo all’interno dei confini dell’Europa e le vittime sono state in primo luogo migranti e rifugiati. L’accelerazione di queste tendenze spaventose mi preoccupa. L’Europa sta affrontando la sfida di promuovere e mantenere la convivenza armoniosa tra i cittadini dei suoi stati e coloro che attraversano le frontiere per cercare la salvezza nel continente. Migranti e rifugiati mettono alla prova la capacità dei paesi europei di rispettare i diritti fondamentali e le libertà per tutti.

Ho ricevuto segnalazioni di attacchi fisici e verbali nei confronti di migranti e rifugiati. Questi gruppi di persone continuano a soffrire umiliazioni e disumanizzazioni, non come risultato di reazioni sporadiche in circostanze specifiche, che sarebbero comunque negative, ma come parte di una strategia calcolata per guadagnare e mantenere il potere.

Tuttavia, la demonizzazione dei migranti da parte di politici e alcuni membri della società, non ha provocato né profonda indignazione né alcuna condanna. Al contrario, i politici sembrano esacerbare questi attacchi con la retorica dell’odio e ben poca resistenza. In tutta Europa, la rinascita degli ultranazionalismi sta legittimando odio, razzismo e violenza.

Mentre gli estremisti diffondono sulla scena politica parole di istigazione mascherandole sotto le vesti del “populismo”, i reati generati dall’odio e le espressioni di odio continuano ad aumentare. I reati generati dall’odio costituiscono uno dei primi chiari segnali di avvertimento per le atrocità. Pertanto, non devono rimanere irrisolti.

Signore e signori, la disumanizzazione di migranti e rifugiati, come la vediamo in tutta Europa, sottrae quell’umanità che giustifica la protezione universale dei loro diritti. I leader ultranazionalisti legittimano la violenza dei loro sostenitori inquadrando i migranti come una minaccia per la loro cultura e identità. Ciò che viene presentato come razionale, a favore della politica della sovranità nazionale, incentrato sulla protezione dei “confini”, nasconde deliberatamente la sua natura razzista e nazionalista. Di fatto, questi leader negano il problema: secondo loro il razzismo non sarebbe altro che “un’invenzione” dei loro detrattori. Nel mondo reale, questi attacchi sono manifestazioni di violenza razzista.

Parole e azioni hanno conseguenze. Anche qui in Italia abbiamo assistito a un importante aumento della violenza nei confronti dei migranti, come sparatorie, aggressioni a minori e omicidi.

In Germania lo scorso agosto, durante una manifestazione a Chemnitz, gruppi di neonazisti hanno dato la caccia ai migranti per vendetta. Uno dei leader di un importante partito di estrema destra ha

giustificato queste aggressioni affermando che “quando avviene un omicidio di questo tipo, è normale che le persone reagiscano”.

L’affermazione dell’ex ministro degli esteri del Regno Unito che ha paragonato le donne con il burqa alle cassette postali è stata seguita da un incremento documentato di reati nei confronti delle donne musulmane generati dall’odio, i cui autori facevano diretto riferimento alle sue parole.

È risaputo che anche il primo ministro ungherese continua a fomentare l’odio etnico e razziale. La Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha recentemente invitato l’Ungheria a intervenire contro le incitazioni all’odio dei politici nei confronti delle minoranze, tra cui rom e

musulmani.

Signore e signori, i leader ultranazionalisti stanno promuovendo quella che si può definire “democrazia illiberale” costruita su presupposti “valori cristiani”. Tuttavia, nessuna religione difende l’intolleranza politica nei confronti delle minoranze. I leader religiosi devono svolgere un ruolo fondamentale nella prevenzione delle istigazioni alla discriminazione e alla violenza, come sottolineato nel Piano di Azione per guide religiose e promotori per prevenire e contrastare incitamenti alla violenza che possono condurre a crimini d’odio, studiato dal mio ufficio. Molti di loro lo fanno e devono essere supportati e accompagnati.

Perseguendo i loro obiettivi anti-migrazione, i leader ultranazionalisti hanno condotto in Europa una forte campagna diffamatoria nei confronti delle organizzazioni della società civile. Gli obblighi dello stato imposti dalla normativa internazionale sui profughi vengono respinti intenzionalmente. Gli attacchi allo stato di diritto attraverso riforme costituzionali e i tentativi di sopprimere l’indipendenza della magistratura sono profondamente sconcertanti.

L’evidente presa di mira dei migranti, parallelamente agli sforzi compiuti per indebolire i diritti umani e le strutture democratiche, costituiscono circostanze che incoraggiano l’autoritarismo. Quando lo Stato discrimina attivamente una minoranza, accetta che i suoi membri vengano trattati come cittadini di serie B. Promuove la supremazia di un gruppo dando priorità ai suoi diritti e interessi a spese degli altri. Una volta è stata coniato il termine “tirannia della maggioranza”.

Abbiamo bisogno di una leadership coraggiosa per contrastare la corrente che attribuisce tutte le colpe ai migranti, inquadrandoli come una minaccia per la sicurezza nazionale. Questo crea un clima in cui è giustificabile commettere atti di violenza contro i migranti in nome dell'”autodifesa”.

Signore e signori, gli Stati europei hanno la responsabilità di proteggere le loro popolazioni, comprese quelle dei migranti, dalle atrocità. Tale responsabilità comporta anche la prevenzione dell’istigazione di tali reati. È di fondamentale importanza contrastare la tendenza di incolpare i migranti per i problemi interni di un paese. Per combattere globalmente gli effetti delle espressioni d’odio e dei reati legati allo stesso, le democrazie europee devono essere in grado di affrontare le cause più profonde del razzismo e della discriminazione.

Per evitare di fare altro male a persone innocenti, abbiamo bisogno di un’Europa resiliente che difenda la società civile, lo stato di diritto e l’universalità dei diritti umani. Questi valori sono al cuore dell’Europa. Devono riemergere urgentemente. Se vogliamo trovare una soluzione duratura e sostenibile alla tragedia degli sfollamenti forzati, anche gli africani devono affrontare le cause profonde dei conflitti. Le persone non scelgono di lasciare la propria casa e la propria terra senza motivo. Il più delle volte sono costrette ad andarsene da circostanze che impediscono loro di restare. A volte, sono costrette a fuggire o vengono prese di mira solo perché appartenenti a una determinata razza, etnia, nazionalità, religione o perché hanno opinioni politiche diverse.

In Sud Sudan, ad esempio, le donne vengono stuprate, i bambini costretti a imbracciare le armi e civili innocenti vengono uccisi solo per la loro etnia, intrappolati nel bel mezzo di una lotta di potere.

In Nigeria, l’organizzazione terroristica Boko Haram continua impunemente a commettere atrocità e a incitare le comunità a rivoltarsi l’una contro l’altra, in nome della religione. In Somalia, Al Shababab continua i suoi attacchi terroristici. Nella Repubblica Centrafricana, vicini di casa che hanno vissuto insieme per molti decenni si sono rivoltati l’uno contro l’altro solo perché uno è musulmano e l’altro è cristiano.

La verità è che le religioni sono state usate indebitamente per ottenere vantaggi politici. Quando ho visitato la Repubblica Centrafricana cinque anni fa, ho visto le milizie di Bangui dare la caccia ai connazionali dell’Africa centrale con i machete. Uno loro membro mi ha detto in confidenza: “Libereremo la Repubblica Centrafricana dai musulmani; non vogliamo che nessuno di loro resti tra noi”.

Nel 2015, Il mio ufficio ha intervistato i profughi del Kordofan meridionale e degli stati del Nilo Azzurro del Sudan sui combattimenti in corso nei due stati. Hanno raccontato orribili episodi di violenza commessi dalle forze armate sudanesi mentre contrastava l’insurrezione del Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese/Esercito del Nord (SPLM/A-N) nella regione.

Anche un bambino dei Monti Nuba o di Ed Damazin, nello stato del Nilo Azzurro, conosce la parola “Antonov” per via dei bombardamenti aerei effettuati dalle forze armate del Sudan contro l’SPLM-N.

Sicuramente abbiamo la responsabilità di proteggere queste popolazioni dalle atrocità e dal loro incoraggiamento, la responsabilità di dare loro un senso di sicurezza, un senso di protezione della loro vita e dei loro mezzi di sussistenza. Come dice il vecchio adagio, prevenire è molto meglio che curare. Stiamo spendendo milioni di dollari per far fronte alle emergenze e all’aggravarsi delle crisi in Africa. Pensate se queste risorse fossero invece utilizzate per dare più potere ai popoli del continente, per promuovere i principi fondamentali e i valori condivisi del popolo africano e liberarci dalla povertà; potremmo costruire un continente prospero che occuperebbe il posto che gli spetta nel mondo. Mwalimu Julius Nyerere ci supplicava di essere “il custode dei nostri fratelli e sorelle”.

I governi africani devono essere più sensibili ai bisogni dei loro popoli. Ribellioni, insurrezioni e altri disordini che sconvolgono la società non si verificano all’improvviso. Nella maggior parte dei casi, sono il riflesso di disagi irrisolti, derivanti dall’esclusione, dalla discriminazione, dall’iniqua distribuzione delle risorse, dal malgoverno che indebolisce le istituzioni statali e dalle sistematiche violazioni dei diritti umani, pur restando impunite.

La nostra diversità dovrebbe essere la nostra forza, non la nostra debolezza. I problemi sopraggiungono quando ci riferiamo ai nostri vicini come a “quelle persone”, incoraggiamo le politiche che escludono gli altri e consolidiamo il dogma del “loro contro di noi”.

Dobbiamo investire di più nella promozione dei valori della diversità e nel rafforzamento della coesione sociale. Dobbiamo sviluppare le capacità che rafforzino la resilienza delle società e delle comunità locali per resistere ai periodi conflittuali senza spaccarsi. Le fratture nelle società spingono intere comunità a trasferirsi, a cercare rifugio altrove; le madri rischiano la morte per attraversare i mari con i loro figli su imbarcazioni precarie in cerca di sicurezza altrove.

Credo che dobbiamo promuovere il rispetto dello stato di diritto e dei diritti umani per affrontare le cause degli sfollamenti di massa. La promozione del buon governo e la costruzione di istituzioni democratiche basate sullo stato di diritto non è un concetto nuovo Come ha affermato mio fratello, il defunto Kofi Annan, “la democrazia è un’aspirazione universale non legata alla cultura, alla razza, alla religione o alla regione”. Tutti noi aspiriamo a questi valori.

Tuttavia, dobbiamo fare di più che semplicemente aspirare a questi valori. L’Africa deve sforzarsi di promuovere il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, coltivare lo stato di diritto e, soprattutto, garantire la protezione delle sue popolazioni a prescindere da razza, nazionalità, religione, etnia, sesso o appartenenza politica. È vero che a livello regionale, l’Africa ha compiuto progressi significativi nell’adozione di norme che promuovono gli standard internazionali relativi alla protezione delle popolazioni, nonché nell’istituzionalizzazione dei meccanismi di prevenzione dei conflitti a diversi livelli, da quello continentale a quello comunitario. Così come lo dimostra il Sistema di allarme rapido a livello continentale (Continental Early Warning System) dell’Unione Africana, l’ECOWARN in Africa occidentale e il CEWARN dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo.

Queste iniziative nel continente si ispirano allo spirito Ubuntu, per cui ognuno è considerato il custode dei propri fratelli e delle proprie sorelle, soprattutto in tempi di difficoltà o vulnerabilità. Su questa base, l’Africa ha fatto molta strada nello sviluppo di quadri giuridici per la protezione delle popolazioni. L’Organizzazione dell’Unità Africana è stata la prima organizzazione regionale ad adottare un quadro giuridico per la protezione dei rifugiati, nel 1969. E nel 2009 il suo successore, l’Unione africana, ha compiuto il primo passo innovativo adottando la Convenzione per la protezione e l’assistenza agli sfollati interni, comunemente nota come Convenzione di Kampala.

Tutti noi abbiamo la responsabilità di chiederci cosa possiamo fare per proteggere le popolazioni dai crimini internazionali più gravi: genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Questi crimini continuano a essere perpetrati in molte parti del mondo. Sebbene gli appelli alla responsabilizzazione siano ormai la norma quando vengono commessi tali crimini, l’impunità è fin troppo comune. Possiamo e dobbiamo fare di più, più in fretta, per salvare vite umane ed evitare che

le società collassino e degenerino in orribili violenze.

Ciò potrebbe anche contribuire a prevenire le migrazioni forzate causate dalle atrocità o dal rischio che queste si verifichino. La prima cosa che possiamo fare è essere più attenti e prestare attenzione ai segnali di avvertimento. Le atrocità si verificano su larga scala e non sono eventi spontanei o isolati; sono processi basati su storie, precursori e fattori scatenanti che, combinati, consentono di commetterle.

Signore e signori, molti e diversi attori sono impegnati ad aiutare i migranti e i rifugiati durante il loro passaggio in Europa e in altri paesi. Le organizzazioni religiose, tuttavia, meritano una menzione speciale.

Credo che la fede svolga un ruolo speciale nell’attuale crisi che coinvolge migrazioni e rifugiati. Spesso è la fede che spinge le persone a intraprendere il loro “viaggio della speranza”. È la fede, ancora una volta, che li aiuta a superare le prove e le sfide che incontrano lungo il cammino e ad affrontare la sfida dell’integrazione nelle nuove società.

È sempre la fede che muove molti a offrire sostegno e aiuto lungo il percorso dei migranti, dai paesi d’origine a quelli ospitanti. Molte organizzazioni religiose forniscono cibo, alloggio, istruzione e sostegno medico e psicologico a migranti e rifugiati. Queste organizzazioni stanno anche lavorando duramente per combattere le cause della migrazione forzata, della tratta e delle atrocità nei paesi di origine.

Non sentiamo molto parlare del lavoro di queste organizzazioni, del prezioso lavoro e del contributo che offrono. Il Piano d’azione del Segretario Generale per la prevenzione dell’estremismo violento, adottato dall’Assemblea Generale nel luglio 2016, sottolinea il ruolo di attori e leader religiosi nel combattere le condizioni favorevoli all’estremismo violento, che in alcuni paesi è una delle principali cause di migrazione forzata.

Signore e signori, concluderò il mio intervento sottolineando ancora una volta quanto ho detto prima: “I governi africani devono essere più sensibili ai bisogni dei loro popoli”. Non c’è dubbio che stiamo assistendo a un drastico cambiamento in molti settori, compreso il sistema di governo. Nell’ultima assemblea dell’Unione africana, tenutasi ad Addis Abeba alla fine di gennaio 2019, i capi di stato e di governo hanno adottato decisioni chiave, tra cui la creazione di un centro operativo continentale a Khartoum per la lotta all’immigrazione irregolare, con particolare attenzione alla tratta di esseri umani e al traffico di migranti nel continente.

I leader africani hanno inoltre accolto favorevolmente la firma, avvenuta il 10 dicembre 2018 a Marrakesh, dell’accordo di sede tra il Regno del Marocco e la Commissione dell’Unione africana sull’operatività dell’Osservatorio africano sulle migrazioni, il cui ruolo sarebbe, tra l’altro, il sostegno alle iniziative continentali esistenti in materia di migrazione, attraverso la raccolta, lo scambio, l’analisi e la condivisione dei dati al fine di affrontare efficacemente le sfide migratorie.

Queste decisioni dimostrano che l’Africa non è passiva. Dobbiamo tuttavia riconoscere che occorre fare molto di più e ciò richiede una stretta collaborazione con l’Europa, un continente che ha tratto grande beneficio dall’Africa e che continua a beneficiare delle immense risorse del continente più ricco, la cui maggior parte della popolazione non gode di diritti economici, sociali e culturali. L’immagine dell’Africa deve essere corretta in modo da dimostrare a quelli come il Primo Ministro Orban che i diritti umani sono universali.

Mettiamo in chiaro che coloro che parlano di valori cristiani ma umiliano e disumanizzano migranti e rifugiati, stanno essi stessi minando

questi valori. Sono tra coloro che sostengono che i diritti umani sono relativi e determinati dalla cultura e dalle realtà politiche di ogni società, ma questa tesi è errata. Se le tradizioni culturali o i credi religiosi da soli fossero alla base del rispetto delle norme sui diritti umani da parte dello Stato, allora sarebbe ampiamente legittimata la violazione di qualsiasi diritto umano. La ricerca della pace e di una vita vissuta con dignità in virtù dei diritti umani fondamentali non si limita a un particolare gruppo di società o nazioni, colore, sesso o credo religioso.

È una ricerca che caratterizza l’intera umanità e la nostra consolidata fiducia nella Carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione universale dei diritti umani. Quanti di voi in questa sala hanno mai sentito parlare della Carta di Mandé (il primo documento sui diritti umani prodotto nel 1222 in

Mali)? Quanti hanno sentito parlare della carta di Medina proclamata dal Profeta dell’Islam Maometto (la pace sua con lui) che riconosce e garantisce i diritti delle minoranze?

L’Africa ha subito e continua a subire pregiudizi, l’immagine che predomina quando si parla dei migranti africani non rispecchia quello che sono in realtà. È il risultato di una campagna orchestrata da politici opportunisti che sfruttano l’ansia pubblica legata alle migrazioni. In tutta Europa, la rinascita degli ultranazionalismi sta legittimando odio, razzismo e violenza. Quando lo Stato discrimina attivamente una minoranza, accetta che i suoi membri vengano trattati come cittadini di serie B. Promuove la supremazia di un gruppo dando priorità ai suoi diritti e interessi a spese degli altri.

Per questo motivo suggerisco a Baye Ndiaye e ai suoi colleghi che COSA organizzi una conferenza internazionale entro la fine di quest’anno incentrata sulle immagini dei migranti africani in Europa. Tale conferenza internazionale darebbe seguito all’evento di oggi e potrebbe avere luogo, perché no, in questo bellissimo campus della IULM. Idee e suggerimenti a tal proposito sono ben accetti.

Non posso concludere senza sfruttare questa sede per esortare i governi europei ad applicare un approccio di tolleranza zero a tutte le forme di xenofobia e discriminazione e a rispettare fino in fondo i loro obblighi internazionali nei confronti dei migranti e dei richiedenti asilo. Non si tratta solo di adempiere agli obblighi internazionali, ma anche di costruire società ideali e aperte, in cui i membri di comunità diverse non solo si tollerano a vicenda, ma si affidano alle reciproche forze per

costruire insieme un futuro migliore. Durante una visita che ho effettuato quattro anni fa in Argentina, l’allora Ministro dell’Educazione ha spiegato questo concetto meglio di quanto io abbia mai potuto fare; ha riassunto la sua filosofia di integrazione con la frase: “IO SONO L’ALTRO”. Grazie mille.


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