Le pene alternative al carcere non servono solo a estinguere un reato, ma possono rappresentare una seconda possibilità, soprattutto per chi è più in difficoltà, dimostrando che un’altra idea di giustizia è possibile.
Fin dalla sua apertura la Casa della Carità si spende per portare avanti un’idea della giustizia che non rappresenti una punizione o una vendetta verso chi ha commesso un reato, ma che, come prevede l’articolo 27 della Costituzione italiana, proponga all’autore di reato la possibilità di intraprendere un percorso di rieducazione che prevede anche pene alternative alla detenzione.
Per questo, tra le tante iniziative legate alla giustizia, nel 2011 la Fondazione ha scelto di essere uno degli enti convenzionati con il Tribunale di Milano per lo svolgimento dei lavori di pubblica utilità e dal 2014 anche per la sospensione del procedimento penale con la messa alla prova.
Da ottobre 2023, la Casa ha aderito con altri enti al progetto “TAG – Tutta un’Altra Giustizia” che, oltre a rispondere alla crescente richiesta di percorsi di giustizia di comunità emersa con la Riforma Cartabia del 2022, introduce una vera e propria presa in carico della persona sottoposta a queste misure alternative.
La giustizia che dà un’altra possibilità
Durante il colloquio e tutto l’iter che viene svolto in Casa della Carità con chi deve svolgere i lavori di pubblica utilità, soprattutto con i più giovani, emergono spesso molte vulnerabilità personali.
«Mi viene in mente un ragazzo piuttosto giovane, molto chiuso, il quale ci ha raccontato di non uscire quasi mai di casa perché non ha amici. Che cosa ne sarebbe stato di lui se avesse dovuto scontare la sua pena in carcere? Grazie alle misure alternative, avrà la possibilità di venire tutti i giorni alla Casa e di relazionarsi con altre persone in un ambiente inclusivo e non giudicante», spiega Iole Romano, referente del Progetto TAG per la Fondazione.
Il progetto Tutta un’Altra Giustizia dà quindi la possibilità di far emergere problemi nascosti che in altri modi, per esempio se la persona dovesse semplicemente pagare una multa, non verrebbero affrontati.
Afferma Elena Marchesi, operatrice del TAG alla Casa della Carità: «I lavori di pubblica utilità o la messa alla prova sono utili alla persona nel proprio percorso di vita al di là del fatto commesso e permettono di creare intorno a lei una rete che altrimenti non ci sarebbe, lasciandola nell’ombra delle fragilità in cui si trova. Penso ad esempio al caso di una donna che doveva svolgere i lavori per aver occupato abusivamente una casa. Durante gli incontri con lei abbiamo scoperto che era vittima di maltrattamenti da parte del marito e così abbiamo potuto aiutarla».
«Non è per tutti così, ma per molte persone questo progetto può rappresentare un’altra possibilità, soprattutto per chi è più in difficoltà», aggiunge.
Un contesto non giudicante
Spesso le persone che arrivano alla Casa sentono su di sé un forte pregiudizio per quello che hanno fatto e per gli stessi lavori di pubblica utilità: «Hanno paura delle conseguenze che possono esserci sul lavoro o con la famiglia e hanno un’idea dei lavori da film americano, dove si vedono persone in tuta arancione che puliscono i bordi delle strade», racconta Elena Marchesi.
Aggiunge Iole Romano: «Mi piace pensare che alla Casa ci sia la possibilità di acquisire quella fiducia in sé che è stata persa. Soprattutto nel primo colloquio, infatti, noi ribadiamo che nessuno è giudicato per quello che ha commesso. Il percorso che proponiamo non è affidato al caso, ma è frutto di una ricerca comune che concili le esigenze della Casa e il percorso ripartivo, valorizzando la professionalità e le doti umane della persona. Così quest’esperienza non è solo un’incombenza da sbrigare, ma un’opportunità di crescita. Quello che ci sta a cuore è che la persona, oltre a rendersi utile, possa scoprire un mondo diverso, più inclusivo, meno giudicante. Perché il giudizio annienta chiunque».
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