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AFFRONTARE L’EMERGENZA ABITATIVA, IL VILLAGGIO SOLIDALE DELLA CASA DELLA CARITÀ

Da sempre, attraverso il Villaggio Solidale, la Casa della Carità offre una risposta alle famiglie in emergenza abitativa. Abbiamo approfondito il tema con Donatella De Vito, responsabile del Settore Disuguaglianze e nuove povertà della Casa della Carità.

La Casa della Carità accoglie 13 famiglie in emergenza abitativa, che sono ospitate in un Centro di Autonomia Abitativa (CAA), composto da alcune casette prefabbricate situate in via Brambilla e presso la sede del CeAS – Centro Ambrosiano di Solidarietà, nel Parco Lambro di Milano.

Il Centro di Autonomia Abitativa e il lavoro sociale con le famiglie nascono dall’esperienza del “Villaggio Solidale”, che la Casa della Carità e il CeAS hanno portato avanti, fin dal 2005, con numerose famiglie rom sgomberate da insediamenti formali e informali.

Con queste famiglie, la Fondazione ha sviluppato percorsi personalizzati con l’obiettivo dell’inclusione sociale, economica e abitativa. Oggi, il “Villaggio Solidale” non accoglie solo famiglie rom ed è considerato una buona prassi, da replicare anche in altri contesti.

In questo articolo ne abbiamo parlato con Donatella De Vito, responsabile del Settore Disuguaglianze e nuove povertà della Casa della Carità.

Che cosa si intende per emergenza abitativa

Facciamo prima un passo indietro e capiamo insieme cosa si intende per “emergenza abitativa“*.

La nozione di emergenza abitativa individua le situazioni di quei nuclei che – in possesso di specifici requisiti previsti dagli appositi regolamenti regionali e comunali – necessitano di essere aiutati nell’individuazione di una soluzione abitativa in tempi più rapidi rispetto a quelli previsti per le assegnazioni ordinarie di alloggi in edilizia residenziale pubblica, per via della situazione abitativa “emergenziale” nella quale versano, perché:

  • sono assoggettati a procedure esecutive di sfratto
  • devono forzatamente lasciare l’alloggio in cui abitano a seguito di ordinanza di sgombero o in conseguenza di eventi calamitosi che lo rendano inutilizzabile
  • abitano un alloggio dichiarato non idoneo all’abitazione
  • si trovano nella condizione di profughi o rifugiati
  • risultano ospiti da almeno tre mesi di dormitori pubblici o di altra struttura alloggiativa temporanea

L’emergenza abitativa a Milano

«Quando si parla di emergenza abitativa in una città come Milano, ormai si parla di un fenomeno multiforme, che a volte assume aspetti nascosti, ma non per questo meno pericolosi, soprattutto perché si parla di nuclei dove tendenzialmente ci sono dei minori», esordisce Donatella.

Che spiega: «L’emergenza abitativa assume oggi forme diverse: c’è quella estrema, che si verifica quando un nucleo finisce per strada; ma c’è anche la condizione di tante famiglie migranti che condividono con altri un appartamento sovraffollato, dove vivono in una situazione di precarietà contrattuale e sottoposti a forme di sfruttamento, che si verificano all’interno del proprio gruppo etnico».

Così come, continua, l’emergenza abitativa è quella di una famiglia che subisce uno sfratto a causa di una crisi improvvisa, dovuta alla perdita del lavoro, a una malattia e di conseguenza alla fine dei risparmi: «La quota di famiglie che si trova in questa categoria sta aumentando e stanno aumentando anche i nuclei che vivono in alloggi non adeguati, edifici dismessi, case occupate. Sono situazioni più nascoste, ma iniziano ad arrivare a noi, mentre prima non succedeva», dice De Vito.

Il Villaggio Solidale, una risposta all’emergenza abitativa a Milano

Il Villaggio Solidale della Casa della Carità è nato nel 2005 per rispondere all’emergenza abitativa di famiglie rom migranti, che provenivano principalmente dalla Romania, e che a Milano si sono trovate ad abitare in campi autocostruiti. 

Se in questi 20 anni non è cambiato il metodo di lavoro con le famiglie accolte al Villaggio Solidale, è però cambiato il target di riferimento, al mutare dell’emergenza abitativa in città. 

Spiega Donatella: «Negli anni sono diminuiti gli insediamenti informali e le loro dimensioni, ma sono aumentate le occupazioni abusive di case popolari. Quindi le famiglie rom che accogliamo non vengono più da sgomberi di campi, ma da sgomberi di case occupate. E poi sicuramente è aumentata la quota di famiglie non rom che stanno arrivando ai nostri servizi, che oggi sono circa il 20-30% degli accolti».

Si tratta di famiglie tendenzialmente straniere, con una lunga storia di permanenza in Italia, che hanno vissuto regolarmente, bene e autonomamente per diversi anni, ma che a un certo punto, si ritrovano in situazioni di estremo bisogno, non avendo reti familiari o avendo reti fragili, a causa di:

  • Perdita di lavoro di uno dei due adulti
  • Malattia
  • Aumento dei prezzi
  • Non rinnovo dell’affitto

Il CAA, spiega ancora Donatella, nasce come centro di seconda accoglienza per famiglie che già dovrebbero aver fatto un percorso in un Centro di Ospitalità Temporanea (COT) e in cui almeno uno dei due adulti è percettore di reddito, ma che, pur essendo abbastanza autonome economicamente, non hanno ancora sufficienti risorse per fare l’ultimo salto verso la completa autonomia abitativa. «Ma in realtà, ci troviamo frequentemente a lavorare con famiglie che non hanno questi requisiti e che hanno anche più fragilità e più bisogni contemporaneamente, su cui noi le dobbiamo accompagnare», dice. 

Le difficoltà di queste famiglie scaturiscono sempre dal versante economico e lavorativo, per poi provocare spesso una crisi familiare o un disagio psicologico negli adulti, che impatta sulla loro reattività. A volte queste situazioni si accompagnano alla scadenza del permesso di soggiorno che, in mancanza di lavoro e di soldi non si può rinnovare: «Si crea quindi un vortice di problemi, che incancrenisce la situazione di difficoltà, rendendo necessario un intervento sociale più lungo e articolato», afferma De Vito.

La necessità di interventi olistici

L’esperienza quasi ventennale del Villaggio Solidale ha insegnato che per queste famiglie la svolta arriva quando c’è il lavoro: «È proprio vero che il lavoro nobilita l’Uomo, la persona, qualunque essa sia. Per questo quando si parla di emergenza abitativa bisogna parlare di pari passo di politiche per il reinserimento lavorativo di soggetti fragili, di politiche attive del lavoro e di azioni di riqualificazione professionale per gli adulti, così che possano tornare a essere competitivi sul mercato del lavoro».

Secondo De Vito servono quindi interventi sempre più “olistici”, che sviluppino sinergie tra i diversi settori:  «Chi si occupa di politiche sociali dovrebbe lavorare sempre più in rete con chi si occupa di politiche per la casa e politiche per il lavoro».

Affinché però queste famiglie possano poi trovare soluzioni abitative adeguate, è anche necessario intervenire sul mercato degli alloggi: «Oggi il problema principale in una città come Milano è che ci sono pochi alloggi ad affitto calmierato, soprattutto per le famiglie numerose. Per una famiglia di quattro persone che non riesce ad avere accesso all’edilizia popolare, infatti, una casa in affitto a Milano costa mediamente tra i 1000 e i 1.200 euro al mese. Questo significa che almeno due persone devono lavorare a tempo pieno e se una delle due “traballa”, è un problema. E se il nucleo è più numeroso, la situazione è ancora peggiore, perché non ci sono proprio case in affitto di dimensioni adeguate», spiega Donatella.

Che conclude: «È necessario potenziare un’offerta di alloggi sempre più diversificata. Da una parte, il Comune e soprattutto la Regione Lombardia dovrebbero pensare a come utilizzare i fondi europei per rendere possibile in breve tempo la ristrutturazione di case che sono sfitte perché non agibili. Dall’altra, le fondazioni e gli enti privati dovrebbero sperimentare nuove forme di abitare».

Approfondisci

Uscire dall’emergenza abitativa. Leggi la storia di Anna.

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*fonte: www.piemonteimmigrazione.it

La Fondazione BPM sostiene 15 famiglie in difficoltà seguite dalla Casa della Carità nel pagamento del canone di locazione della loro abitazione. Sono famiglie uscite da una situazione di emergenza abitativa e inserite nei percorsi per l’autonomia, ma che si trovano ancora in una condizione di fragilità economica.


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