Progetto Diogene si occupa di persone senza dimora con con problemi di salute mentale.
Nell’ambito dei suoi progetti dedicati alla salute mentale, la Casa della Carità, da 20 anni, realizza un intervento di presa in carico dedicato a persone senza dimora che hanno un disagio psichico e patologie psichiatriche conclamate. È il Progetto Diogene, realizzato in collaborazione con ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Novo Millennio Società Cooperativa Sociale ONLUS, Caritas Ambrosiana e finanziato dalla Regione Lombardia.
Di chi si occupa Progetto Diogene
Dall’inizio del 2023 il Progetto Diogene segue 50 persone. Si tratta di 18 italiani e 32 stranieri. 44 uomini e 6 donne.
«La maggior parte di loro ha più di 34 anni, anche se stiamo notando un aumento di persone senza dimora giovani, che non superano i 25 anni. Si tratta di ragazze e ragazzi che sono finiti per strada a causa della mancanza di lavoro, sono i cosiddetti “NEET” (Not [engaged] in Education, Employment or Training; cioè persone che non studiano e non lavorano, ndr). Oppure vivono di “lavoro povero”. O ancora sono giovani che se ne sono andati da casa per via di conflitti familiari o per una storia di adozione fallita. O sono persone che hanno alle spalle i traumi della migrazione», racconta Vita Casavola, responsabile del Progetto Diogene.
Che aggiunge: «Con questi giovani facciamo più fatica a relazionarci rispetto alle persone più grandi, perché spesso sono invisibili. Non alloggiano nelle zone classiche delle persone senza dimora, dai portici del centro ai dintorni della stazione; non appaiono “trasandati” e per questo la loro presenza sfugge anche allo sguardo dei passanti. Inoltre non chiedono aiuto ai servizi per senza dimora se non quando la situazione diventa per loro insostenibile e da noi non si lasciano avvicinare, perché non riconoscono di avere un problema».
Come opera Diogene
Nel corso di uscite serali, l’Unità di Strada di Diogene composta da professionisti (psichiatra, educatori e psicologo) incontra le persone senza dimora là dove vivono: «L’innovatività dell’intervento consiste proprio nel non restare in attesa di una richiesta di presa in cura, che difficilmente arriva, ma nell’andare verso queste persone», spiega Vita.
Inizialmente viene fatta una valutazione clinica del disagio della persona, in base alla sintomatologia che presenta e contemporaneamente, piano piano, si cerca di attivare una relazione che porti la persona ad acquisire consapevolezza del proprio disagio e del bisogno di aiuto. Quando possibile, vengono attivati anche accoglienza e ricoveri mirati.
Se le persone decidono di rimanere in strada, viene avviato un monitoraggio costante delle loro condizioni.
Operatrici e operatori di Diogene si presentano in modo anonimo, non hanno cioè segni di riconoscimento (come pettorine ecc.), ma allo stesso tempo sono “caldi” e aperti al contatto. L’obiettivo, quando possibile, è accompagnare queste persone in un percorso di cura e inclusione sociale a 360 gradi, offrendo percorsi di ospitalità in Casa della Carità e operando in rete con i servizi pubblici e le organizzazioni che si occupano di senza dimora e persone in grave emarginazione.
«La cosa più difficile ma più importante è costruire con loro una relazione di fiducia. Lo strumento primo di lavoro, anche nella “psichiatria di strada”, è la parola. E quindi aspettiamo che le persone siano disponibili a raccontarsi. Per questo dobbiamo essere perseveranti, ma non invadenti», sottolinea la responsabile del progetto.
«Il lavoro con queste persone – conclude – richiede molto tempo e molta tenacia, anche da parte degli operatori, per elaborare le frustrazioni che si possono vivere quando le situazioni dei senza dimora seguiti, malgrado l’impegno, non si modificano se non con grande impegno e lunghi tempi. A volte anche anni».
Approfondimenti
Nel corso degli anni gli operatori del progetto hanno svolto due ricerche intervento con il contributo del Dipartimento di Neuroscienze e Tecnologie Biomediche dell’Università di Milano Bicocca: la prima “Homeless e malattia psichiatrica a Milano. Il Progetto Diogene”, è stata pubblicata sulla rivista Psichiatria di Comunità, vol. X, n. 1, Marzo 2011, pag. 49-57.
La seconda ricerca “Treating Homeless People With Psychiatric Disorders – Evidence From the Italian Diogene Project” è stata pubblicata recentemente sulla rivista: “The Journal of Nervous and Mental Diseas” – University of Maryland School of Medicine -110 S. Paca St, 4th Floor, Baltimora, MD 21201 USA
Abstract
Visti i numerosi dati della letteratura internazionale che evidenziano la presenza di gravi disturbi psichici nei soggetti homeless è stato condotto uno studio pilota per indagare questo fenomeno anche in Italia.
Il “Progetto Diogene” con una ricerca-intervento ha voluto descrivere il fenomeno degli homeless, individuare gli indicatori utili alla costruzione dell’alleanza di lavoro con questi soggetti e, infine, verificare l’efficacia del progetto stesso attraverso la valutazione degli esiti dei trattamenti psicosociali.
Due unità di strada multidisciplinari, due volte alla settimana, negli anni, hanno pattugliato le strade di Milano per supportare e prendere in carico le persone senza dimora con patologie psichiatriche.
Tra questi è stato individuato il campione di senza dimora per la seconda ricerca, ai quali sono stati somministrati un questionario sociodemografico e le scale di valutazione l’HoNOS e il GAF al momento del reclutamento (T0), a 1 anno (T1) e a 2 anni (T2) dalla prima valutazione.
Per lo studio sono stati selezionati 112 senzatetto con patologia psichiatrica. Quarantasei utenti hanno abbandonato dopo la prima valutazione. Tra questi, la percentuale più alta di abbandoni (67,4%) è stata registrata tra coloro che non hanno ricevuto alcun tipo di trattamento (a – supporto sociale, b – trattamento psichiatrico + supporto sociale).
Il tempo trascorso per strada non è significativamente correlato all’adesione e ai risultati. È interessante notare che il miglioramento maggiore dei sintomi psicopatologici è stato registrato tra le persone sottoposte a entrambi i trattamenti confermando, attraverso interventi specifici, la validità del modello di intervento nell’approccio a persone così vulnerabili.