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Che cosa ci ha lasciato il 2020?

L’anno che è stato e quello che sarà. Ne abbiamo parlato in un’intervista con il nostro presidente don Virginio Colmegna.

Quello che sta per finire è stato un anno difficile per tutti e non vediamo l’ora di lasciarcelo alle spalle. Ma che cosa ci ha lasciato questo 2020? Che cosa ha insegnato a un’organizzazione come la Casa della carità? Come deve reagire la città nell’anno nuovo? Ne abbiamo parlato con il nostro presidente, don Virginio Colmegna.

Se pensi all’anno che sta per concludersi, segnato da una pandemia inattesa e terribile, che cosa ti ha lasciato?

La pandemia, della quale stiamo ancora vivendo la seconda ondata, ci ha fatto avvertire che le cose così com’erano non funzionavano, che era necessario un cambiamento. Il Covid ci ha detto che nulla sarà più come prima. È un richiamo che continuamente ci fa anche Papa Francesco: stiamo attraversando un cambiamento d’epoca ed è arrivato il momento di riscoprire la prossimità coi poveri, coi fragili e da lì partire per ricostruire una società diversa, caratterizzata da un sentimento nuovo di fraternità e dalla riscoperta dei legami sociali.

E che cosa ha lasciato alla Casa della carità?

Anche la Casa della carità è stata travolta dalla pandemia. Allo smarrimento iniziale, però, ha fatto ben presto spazio la capacità e la volontà di affrontare questa nuova situazione di emergenza, come le tante vissute in passato, con resilienza e resistenza, capacità che nascono dall’urgenza di stare vicini ai più deboli. La vocazione della Fondazione, il suo mandato, ne sono usciti rafforzati. Non ci siamo lasciati trascinare dalla delusione: abbiamo capito che era una sfida che dovevamo affrontare reinventandoci continuamente, immettendo nel lavoro quotidiano la capacità di sognare. E di questo devo ringraziare ancora una volta gli operatori, che si sono spesi con professionalità, tenacia, passione per il proprio lavoro e grande amore per gli ospiti.

Don Virginio Colmegna intervistato da MIA News in occasione del 18° anniversario della Fondazione, nel novembre 2020

Sembrerà paradossale, ma questo è stato anche un periodo di grande creatività. Penso a “Regaliamoci futuro” – il progetto di riorganizzazione e ristrutturazione della Casa nato prima della pandemia, e che da questa è stato attraversato e influenzato – che ha visto un fervido confronto tra gli operatori e con i volontari. Penso alla nascita dell’associazione nazionale “Prima la comunità” sul tema della salute, penso all’Associazione Amici Casa della carità e alle idee per stare vicini agli anziani. Abbiamo messo davvero in campo quelle che chiamo energia politica, energia culturale ed energia spirituale, per affrontare questo periodo e trarne insegnamenti per il futuro, sollecitati dall’Enciclica “Laudato si’” e quindi dal tema della conversione ecologica.

È stato un anno particolare, segnato da tante sofferenze. Ci sono stati anche momenti belli che vuoi ricordare?

Sì, ci sono stati tanti momenti belli che voglio ricordare e tra questi metto subito l’anniversario, l’essere diventati maggiorenni, accompagnati da due lezioni stupende sull’Enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco, che ci hanno regalato la teologa Cristina Simonelli e la clarissa cappuccina suor Chiara Francesca Lacchini. È un momento a cui penso quasi con commozione, perché ho visto una Casa viva, che si interroga. Un altro momento per me speciale è stata la presentazione, il 18 dicembre, dell’e-book che racconta il percorso di Regaliamoci futuro; vorrei invitare tutti a leggerlo con pazienza, perché vi sono impressi i segni che vogliamo tracciare per il domani della Casa della carità, dove l’idealità si è fatta capacità di ripensare il sistema organizzativo.

Per la Casa della carità, come per tante altre realtà sociali, è stato un 2020 complesso. Quali saranno le sfide che le organizzazioni del terzo settore dovranno affrontare nel nuovo anno?

La grande e urgente sfida da affrontare è quella di non diventare autoreferenziali, chiudendosi in se stessi, e di non diventare enti assistenziali. La sfida è sviluppare protagonismo, innovare e imprimere una svolta di carattere culturale, per dire ancora una volta che bisogna partire dagli ultimi, dalle difficoltà che ci fanno intravedere le storie delle persone che incontriamo tutti i giorni, dalla relazione con loro. Il capitale sociale che le realtà del terzo settore, della società civile e del volontariato esprimono, deve farsi capacità politica. È il messaggio che ha lanciato anche il Papa nell’iniziativa dedicata ai giovani “The Economy of Francesco”.

Un servizio di TV2000 dedicato a come la Casa della Carità stava affrontando la pandemia, nel giugno 2020.

Anche la città di Milano ha subito un duro colpo da questa pandemia e sono emerse tante contraddizioni di una città metropolitana ricca e lanciata verso il futuro, ma anche segnata da povertà nascoste che sono esplose nella loro drammaticità. Che cosa dovrà fare la Milano del 2021 per affrontare queste contraddizioni?

La Milano del 2021 non dovrà smettere di dare centralità all’attenzione per le fragilità. Milano deve rimanere una città attrattiva, che attrae anche perché pervasa dalla cultura della solidarietà. Va bene investire nella Milano del progresso e del futuro, ma la corsa verso questi obiettivi non deve dimenticarsi degli ultimi, che dovrebbero invece scandire il passo.
Servono politiche sociali innovative, che assorbono dentro di sé anche le politiche della salute, messe drammaticamente in crisi dalla pandemia. Occorre tornare a occuparsi delle periferie, che non hanno bisogno di citazioni, ma hanno necessità di interventi urgenti, con tempistiche definite e che tengano conto della complessità di una realtà come Milano che, come tutte le grandi città, ha diversi problemi, ma è anche attrezzata per affrontarli. E non in modo assistenzialistico, come avviene spesso, ma strutturalmente. Abbiamo bisogno di una Milano che si lasci interrogare dalle ferite aperte dalla pandemia, e sappia curarle con cuore e intelligenza.

C’è un tuo sogno che speri che si realizzi nell’anno che inizia?

Vorrei vedere svilupparsi sempre di più il senso di appartenenza a una comunità. È quello che, in piccolo, stiamo realizzando nel Quartiere Adriano. Infatti, dall’esperienza della Casa della carità e in stretto legame con essa, sta sorgendo SON – Speranza Oltre Noi, un progetto per accogliere persone con disabilità e le loro famiglie. Realizzeremo questo progetto all’interno di quello che chiamo “Sistema della Casa della carità”, in rete anche con il CeAS – Centro Ambrosiano di Solidarietà e l’Associazione Amici Casa della carità.
“Facciamo in modo che si moltiplichino i piccoli luoghi di conoscenza, di condivisione, di ascolto, e a un certo punto da questi tanti piccoli luoghi nascerà una città”, diceva il cardinal Martini. Ecco, è per questo che tengo molto a SON e vi sto investendo tante energie, perché non sarà solo un luogo di accoglienza, ma un luogo dove rispondere alle domande di amicizia, condivisione, fraternità, cittadinanza. Un luogo dove essere e costruire, appunto, comunità. Un villaggio che sta nascendo e che renderà ancora più grande la famiglia della Casa della carità e un punto di partenza per costruire una città inclusiva. È questo il mio sogno per il 2021, che già comincia a realizzarsi.


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Uno dei render di come sarà la sede della Casa della carità, al termine dei lavoratori iniziati nell’ambito di “Regaliamoci futuro“.

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