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ANNIVERSARIO 2023: IL MESSAGGIO DI DON PAOLO SELMI

L’anniversario 2023 della Casa della Carità è stato il primo vissuto da don Paolo Selmi come presidente della Fondazione. Il suo messaggio.

Il mese di novembre che si è appena concluso ha visto la celebrazione dell’anniversario della Casa della Carità.

Il primo per me, da quando lo scorso febbraio l’arcivescovo di Milano Mario Delpini mi ha chiamato a guidare questa Casa. E allora ho colto questa occasione per fare un primo bilancio della mia esperienza fin qui.

Questi primi mesi, per me, sono stati molto impegnativi, perché mi sono affacciato a una realtà nuova. Ma devo dire che da subito mi sono sentito a casa, accompagnato da un’équipe di operatrici e operatori ben radicata, in cui, sia tra chi lavora qui da molti anni sia tra i giovani nuovi assunti (che sono un terzo del totale), ho trovato professionalità, cura, passione, desiderio di esserci.

In questi mesi ho visto come davvero questa è una Casa che accoglie chi non sa provvedere a sé stesso e lo fa ascoltando e accompagnando, mettendocela tutta per ridare umanità piena a chi l’ha smarrita, a chi è stato messo da parte. È una Casa che si impegna a vivere e far gustare umanità e fratellanza universale, che un individualismo triste e consumista cancella o ignora, non fermandosi però all’assistenzialismo, ma facendo cultura della carità. Come volle il nostro fondatore, il cardinale Carlo Maria Martini.

Da febbraio a oggi ho fatto esperienza di come questa sia una Casa aperta, che accoglie i bambini delle scuole, i giovani studenti delle superiori e gli universitari, per sognare e costruire un futuro che inizia oggi. Ma è anche una Casa che non dimentica gli anziani, in particolare quelli che vivono nel quartiere, che qui sono accolti e amati come fossero i nonni di tutti noi.

E soprattutto è un luogo che vuole continuare a chiamarsi “Casa” e non vuole essere categorizzato semplicemente come azienda, ente, organizzazione. Questa è la differenza e fa la differenza. È una differenza da custodire e da far crescere. È utopia?

Nel convegno di Caritas Ambrosiana del 4 novembre scorso, Luciano Manicardi, monaco di Bose, si poneva la medesima domanda rispetto al tema della sororità e fraternità universale e rispondeva lasciando la parola allo scrittore uruguayano Eduardo Galleano: “L’utopia è come l’orizzonte: cammino due passi e si allontana di due passi. Cammino dieci passi e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare”. E a camminare creando eutopie, cioè dei luoghi, delle esperienze storiche, collettive, associative, che si caratterizzino per ciò che è significato e implicato dal prefisso “eu”, bene. Quel bene di cui noi vediamo l’esempio nella prassi di umanità di Gesù.

Si tratta di creare spazi di condivisione e convivialità, partecipazione e solidarietà, di scambio delle storie e delle narrazioni, che danno senso all’oggi e aprono al futuro; che mentre colmano di significato l’oggi delle persone e delle loro relazioni, indicano la direzione di cammino, la meta verso cui orientarsi.

Per questi miei primi mesi di cammino in questa Casa, desidero quindi ringraziare il consiglio di amministrazione, che si sta mettendo in gioco ascoltando. Vorrei dire grazie a operatrici e operatrici, perché abitano questo luogo come casa e anche per le loro “case” che stanno costruendo, alimentando, sognando. Ci sono con passione e competenza. Grazie a volontarie e volontari, che non sono ancora riuscito a incontrare tutti, ma che fanno vivere la Casa: dalle docce al guardaroba, dalla scuola d’italiano a centro d’ascolto. Grazie a donatrici e donatori, di pensiero e di fiducia. Grazie anche alle scuole e alle università che si lasciano coinvolgere.

Grazie davvero, perché solo insieme possiamo continuare, come disse sempre il cardinal Martini, a costruire amicizia nella città e per la città.


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