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3 OTTOBRE LAMPEDUSA, 10 ANNI DOPO

Il 3 ottobre 2013 di fronte alle coste di Lampedusa affondava un barcone con oltre 500 persone a bordo. 368 le vittime. Una riflessione della Casa a 10 anni da quella tragedia.

«Il 3 ottobre, per noi, è tutti i giorni, perché il racconto di quei viaggi e di tragedie come quella avvenuta 10 anni fa è quotidiano». A dirlo è Peppe Monetti, avvocato dello sportello di tutela e consulenza legale della Casa della Carità, quando gli chiediamo una riflessione a 10 anni dal naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, quando persero la vita 368 persone.

Quella del 3 ottobre non fu purtroppo l’unica e nemmeno la più grave tragedia del mare, ma fu quella che più di tutte suscitò commozione, tanto che la data è stata scelta come Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione. E proprio dopo quella strage, l’allora Governo Letta istituì l’operazione “Mare Nostrum”, per il salvataggio dei migranti nel Mediterraneo.

In memoria di quella strage, la rete “Nessuna persona è illegale”, cui aderisce anche la Casa della Carità, organizza un momento di commemorazione per le vittime del 3 ottobre 2013 e per tutte quelle persone che ancora oggi muoiono nel mar Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Italia e l’Europa e lungo tutti i confini del mondo. L’appuntamento è per martedì 3 ottobre 2023 alle 18.30 in piazza Duca d’Aosta a Milano. Scopri di più.

3 ottobre, 10 anni dopo

Si disse allora «mai più morti in mare», eppure in questi 10 anni poche cose sono cambiate e migliaia di persone sono morte e continuano a morire ogni anno nel Mediterraneo. Secondo l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, solo nei primi sei mesi del 2023 sono decedute o disperse circa 1.300 persone nel tentativo di raggiungere l’Europa via mare. Circa 28mila in 10 anni.

«In questi 10 anni è tristemente cambiato pochissimo e solo in negativo: si sono fatti nuovi decreti “sicurezza”, si sono cambiati i nomi ai permessi di soggiorno rendendo la vita delle persone straniere in Italia sempre più precaria, si sono criminalizzate le ONG che fanno ricerca e soccorso in mare», dice Monetti.

Che aggiunge: «Di fronte a ogni nuova tragedia si dice che servono flussi regolari, che bisogna aprire dei corridoi umanitari (un programma di trasferimento e integrazione in Italia rivolto a migranti in condizione di particolare vulnerabilità, ndr), ma su questo fronte non si è fatto nulla. L’unica cosa che è stata fatta è stata cercare di impedire le partenze, dando soldi a dei dittatori e piegandosi ai loro ricatti e senza controllo su come vengono trattate le persone che vengono bloccate in questi paesi».

Secondo Peppe Monetti, anche le proposte di regolarizzazione che sono state fatte in questi anni, come il recente ampliamento del cosiddetto “Decreto flussi” (numero massimo di cittadini stranieri provenienti dal Paesi extra Ue che ogni anno possono fare ingresso in Italia dall’estero per lavorare, ndr), non sono sufficienti: «Non ci si può basare su un sistema complicato e farraginoso e che non ha mai funzionato, come quello del decreto flussi. Secondo questo sistema, solo per citare una delle criticità, un datore di lavoro dovrebbe assumere da un paese straniero una persona che non ha mai visto. Allora si chiama una persona che già si conosce e che magari lavora in nero. La persona deve tornare al proprio paese d’origine con un nulla osta, per poi rientrare in Italia. Da quello che ci hanno raccontato in molti, però, lì non riescono ad avere nelle tempistiche stabilite un appuntamento con le ambasciate italiane per avere il visto. E così spesso non riescono a rientrare in Italia in modo regolare e se una persona è in grave difficoltà, non ha altra scelta che prendere la barca».

La Casa a Lampedusa

Circa un anno e mezzo dopo la tragedia del 3 ottobre, dal 13 al 17 aprile 2015, tre operatori della Fondazione fecero un viaggio in Sicilia e a Lampedusa, che per migliaia di persone migranti con cui la Casa ha lavorato e continua a lavorare, sono state il primo approdo in Italia e in Europa.

«Da quando è nata la Casa della Carità abbiamo ascoltato i racconti drammatici dei viaggi che passavano da Lampedusa, delle condizioni disumane in cui si sono trovati a vivere se avevano avuto la fortuna di arrivare vivi, ma anche della generosità di persone che li hanno accolti a braccia aperte», dice in proposito Peppe.

Da qui la scelta della Casa di andare a visitare quei luoghi: «Erano stati giorni molto intensi, in cui abbiamo viaggiato da Catania a Scicli, da Agrigento a Lampedusa, incontrando persone migranti e associazioni che si occupano di accoglienza. Abbiamo visto situazioni drammatiche come quella del “centro di prima accoglienza e soccorso” di Pozzallo, che era la negazione dell’accoglienza. Ma abbiamo conosciuto anche progetti molto belli, che facevano vera accoglienza e inclusione, come quello di Mediterranean Hope», ricorda Monetti.

Approfondisci

  • Rivivi il viaggio della Casa in Sicilia e a Lampedusa. Clicca qui.
  • Ascolta il podcast “Quella notte senza luna”, di Intrecci Media. Clicca qui.

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