“Amleto in testa”, il nuovo spettacolo del laboratorio di teatroterapia della Casa andrà in scena il 20 giugno.
Giovedì 20 giugno alle 18.30, l’auditorium della Casa della Carità ospita “Amleto in testa”, il terzo spettacolo
del laboratorio di teatroterapia della Casa della Carità.
A portare in scena “Amleto in testa”, per la regia di Alberto Pluda, saranno: Paola Allanda, Fabio Ardemagni, Otar Astamadze, Massimo Bellan, Rita Campagnoli, Claudia Carotenuto, Ledda Leon Salavarria, Ivana Quaglia, Nancy Risi Leon, Marta Sirtori, Filomena Venturo Cabrera de Rojas.
Il laboratorio di teatroterapia, nato nel 2020, è condotto da Alberto Pluda, educatore della custodia sociale e teatroterapeuta, affiancato da Serena Pagani, coordinatrice di Migrarte, progetto che si occupa di cura e integrazione mediante percorsi artistici, all’interno del quale si svolge il laboratorio di teatro.
Il gruppo di teatro, fin dalla sua nascita, è sempre stato fortemente eterogeneo, costituito da persone ospiti della Casa, persone che arrivano dai servizi diurni (docce, sportelli, laboratori di arte-terapia ecc), dal gruppo anziani della Fondazione e dalla custodia sociale.
“Amleto in testa”, il percorso
Dopo aver lavorato su “Le città invisibili” di Italo Calvino, quest’anno il laboratorio ha affrontato l'”Amleto” di Shakespeare: «Amleto ha bussato alla nostra porta, ci ha portato il suo monologo sull’essere o non essere, sulla sua inquietudine e sul suo affrontare la vita. Ci abbiamo dialogato e, servendoci di lui come di una maschera, lo abbiamo utilizzato per poterci raccontare, entrando in contatto con le nostre parti più nascoste, in una narrazione del nostro essere e non essere, che è diventato per il gruppo un atto trasformativo, prima individuale e poi corale», racconta Serena Pagani.
Le persone partecipanti al laboratorio hanno quindi letto il monologo di Amleto, lo hanno maneggiato, lo hanno imparato a memoria e lo hanno espresso tramite il loro corpo: «Abbiamo poi chiesto loro quali emozioni suscitava in loro il monologo di Amleto e come risuonava in loro rispetto alla loro storia», racconta ancora l’operatrice.
Ogni persona ha poi scritto un testo e tutti i testi messi insieme hanno costruito la sceneggiatura dello spettacolo: «Lo stupore per noi, giunti quasi alla conclusione del processo, è stato il rendersi conto che siamo stati attraversati da un atto trasformativo a doppia direzione: ci siamo serviti di Amleto per attivare un cambiamento e al contempo è come se avessimo trasformato Amleto, alleggerendolo un po’ del suo peso del vivere», affermano Alberto e Serena.
Scambi e sinergie
Il fine ultimo del laboratorio di teatroterapia non ha un obiettivo performativo, ma è alla continua ricerca della crescita individuale e di gruppo, servendosi di strumenti che attraverso la dimensione del gioco vanno a lavorare sulle parti più profonde delle persone, sviluppando in loro autostima, nuove risorse e sguardi altri che portino ad una possibile differente narrazione della propria storia e dell’immagine di sé.
Un altro elemento qualitativo di questo laboratorio sono gli scambi e le sinergie che si generano con altre realtà. Per esempio si è collaborato con diverse scuole medie e superiori e con la Civica Scuola di Teatro “Paolo Grassi” di Milano, in particolare con studentesse e studenti del terzo anno del corso di regia e drammaturgia del docente e tutor Paolo Giorgi, e questo ha permesso di arricchire il percorso del laboratorio.