Abbiamo costituito “Prima la comunità”, una nuova associazione per chiedere integrazione sociosanitaria, medicina di territorio, Case della salute.
L’emergenza Coronavirus ha portato alla luce una distorsione, in Lombardia evidente più che altrove, relativa allo spostamento del baricentro dalla medicina territoriale all’ospedale. È un’impostazione che, indebolendo la prevenzione, ha espropriato la gente comune di un sapere sulla salute. Penso anche ai medici di base, negli anni sempre più abbandonati, quasi a dire che non c’è bisogno di loro. Oppure al ruolo dell’assistente sociale, ormai chiamato in causa solo in funzione riparativa.
È tempo di rinnovamento, di cambiamenti strutturali. Abbiamo bisogno di una nuova visione, che sia portatrice di una profonda integrazione tra sociale e sanitario. Abbiamo bisogno di una rimessa in moto del valore della persona dove non tutto è tecnica, certamente necessaria e su cui bisogna investire, ma occorre anche una dimensione di relazione e di comunità. Abbiamo bisogno, come spinta organizzativa, di quella medicina di territorio che connette professioni, compresi i medici di base, gli infermieri di prossimità insieme alle figure sociali. Abbiamo bisogno che il carattere culturale ritorni a essere centrale attraverso la formulazione di proposte concrete.
Tutto questo è l’associazione “Prima la comunità”. Abbiamo fatto nascere dal basso un movimento con l’impegno straordinario di portare il valore della progettazione sociale dentro il sanitario, a cominciare dall’esperienza delle “Case della salute“. È un cammino comune che abbiamo intrapreso sui territori a livello nazionale, è un’opportunità straordinaria che rimette in gioco il valore della prossimità e che si sostanzia in una grande esigenza di riflessione, ripensamento, condivisione, dialogo. E per me, se permettete, anche di natura spirituale e di ricerca di senso.
[L’immagine di apertura è di mauro mora su Unsplash]