Gli aiuti economici per fronteggiare la pandemia non devono farci dimenticare il dramma di chi bussa alle frontiere.
Ancora morti nel Mediterraneo, in 53 l’altra notte hanno perso la vita davanti alle coste libiche. Sono circa 3 mila, invece, i migranti che ormai da giorni lottano per sopravvivere nel nord della Bosnia-Erzegovina. Situazioni che si aggiungono a quelle delle isole greche, delle frontiere della Spagna, del Mediterraneo centrale.
Stiamo parlando molto di Europa negli ultimi tempi. Il dibattito però si è concentrato su questi fondi “salvifici”, montagne di soldi con cui ci si illude di correggere i problemi della pandemia, come se questi fossero solo economici e non riguardassero anche la nostra idea di salute, di ambiente, di sistema di produzione, di diritti. Un’Europa concentrata, giustamente, ad aiutare chi sta attraversando delle difficoltà non deve però mai dimenticare chi bussa alle sue porte per chiedere aiuto. Sono vittime dei nostri stessi problemi, a cominciare da una ricerca di profitti intensiva e sfrenata che sfrutta persone e risorse generando quelli che Papa Francesco chiama gli “scarti”.
Nel suo discorso di insediamento come presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen disse: «Una cosa è certa: l’Europa offrirà sempre rifugio a coloro che necessitano di protezione internazionale». Allora togliamolo il velo dell’indifferenza, come ci insegna la parabola del Samaritano. Il levita e il sacerdote, immersi nella fretta di compiere i loro riti, non colgono il bisogno della persona che soffre. Il Samaritano invece vede il malcapitato, si ferma, entra in relazione con lui. Si lascia commuovere. «Lasciateci piangere» disse Papa Francesco nel primo viaggio apostolico a Lampedusa. Recuperiamo i sentimenti, allontaniamo l’indifferenza, sentiamoci in comunione con questi fratelli che scappano dalla Libia o affrontano il gelo delle montagne dei Balcani. E pretendiamo interventi rapidi, concreti, umani.