Salvare vite umane è una questione di volontà politica. Bisogna aprire a canali umanitari e a visti legali per quote stabili.
In Parlamento si discute del rinnovo dell’accordo con la Libia sui migranti. Dal Mediterraneo arriva la notizia di almeno tre morti nell’ultimo naufragio a largo di Lampedusa. La società civile sta chiedendo in queste ore ai nostri politici di non votare il rifinanziamento del Memorandum con la Libia del 2017, che prevede l’intervento della Guardia costiera libica per il contenimento dei flussi migratori.
Sono più di 7 mila i morti accertati in questi quattro anni. Così come migliaia sono le persone costrette a subire violenze e torture. Numerose le testimonianze raccolte e le denunce anche da parte di diverse agenzie delle Nazioni Unite e di organizzazioni umanitarie.
Mi unisco alla voce di quanti non si rassegnano ad accettare che nulla cambi. Gli accordi con la Libia vanno interrotti. E vanno fermate anche le morti in mare. Un modo per farlo è, come chiede il Centro Astalli «l’apertura strutturale di canali umanitari per chi scappa da guerre e persecuzioni e visti legali per quote stabili e adeguate di migranti di cui si faccia carico l’UE con una distribuzione equa e razionale tra tutti gli Stati membri».
Allo stesso modo vanno attivate urgentemente operazioni di ricerca e soccorso in mare con regole volte espressamente al salvataggio dei naufraghi e all’approdo in un porto sicuro che non può essere la Libia. Non è utopia, ma è una questione di volontà politica. Che oggi può essere espressa in una direzione, che è quella della vita, del rispetto della dignità delle persone, della solidarietà. Oppure in un’altra, che è quella della violenza, della sofferenza e della morte.