Le politiche sanitarie hanno smantellato la medicina di territorio e a farne le spese sono i più deboli.
Le politiche per la salute non sono una delle tante di un programma elettorale: sono il filo rosso che forma la strategia di governo di un Paese. Investire nella salute di una comunità è da sempre estremamente importante, la pandemia lo ha solo confermato. Cito in questo senso anche Papa Francesco, che nella Laudato Si’ evidenzia come la salute sia un diritto che riguarda tutti, senza confini.
Invece, ciò cui abbiamo assistito negli ultimi anni è un disinvestimento sulla cosiddetta medicina di territorio, che ha prodotto l’abbandono del campo e una sempre maggiore pressione sugli ospedali, a loro volta privati di personale e risorse. Come sempre, maggiormente penalizzati sono risultati i più deboli. Ne hanno sofferto di più le cronicità, le disabilità, le malattie mentali, le condizioni degli anziani, le persone che presentano una somma di problematiche, la prevenzione, la possibilità di essere monitorati bene restando al proprio domicilio. Tutti questi soggetti andrebbero invece seguiti e accompagnati sul territorio, comunitariamente, oltre la logica delle prestazioni.
Il Sistema sanitario nazionale è un patrimonio di lotte e di conquiste da tenere caro, è un bene inserito nella nostra Costituzione. La pandemia ce lo ha drammaticamente evidenziato una volta di più. E allora non possiamo non farci interrogare dai punti critici di questo sistema di cura con cui abbiamo avuto a che fare. È pertanto arrivato il momento di riportare la salute sul territorio e farne una questione che riguarda un’intera comunità. Ciò significa valorizzare anche il capitale etico che c’è, la prossimità delle relazioni, la domiciliarità creando coesione sociale e valori condivisi. Il cambiamento deve essere culturale: passare dalla sanità alla salute. Lo dice l’Oms, lo dice l’Agenda 2030 dell’Onu, che lo ha inserito tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile.
È giunto il momento di una grande riforma dal basso: terzo settore e volontariato devono essere protagonisti anticipatori perché non sono solo il tappabuchi della bontà. Questo è il Paese della legge 180, che ha proprio rivalutato il valore della comunità. Dobbiamo fare questo sforzo e noi, come Casa della carità, ci siamo. Abbiamo lanciato il movimento “Prima la comunità” che insiste proprio sulla necessità delle Case della salute ovvero presidi territoriali di medicina che sta accanto alle persone, a partire dai più deboli.
[L’immagine di apertura è di Matheus Ferrero su Unsplash]