Paura del virus e angosce non pesino ulteriormente sulle categorie più fragili. Dobbiamo avvertire l’urgenza della solidarietà per attuare cambiamenti profondi.
Ieri il presidente Mattarella ha fatto un richiamo ai pericoli del «Virus dell’egoismo» e della chiusura in se stessi. Si è appellato alla cultura della solidarietà e nel farlo mi ha ricordato la sollecitazione alla fraternità di Papa Francesco. Credo che sia estremamente importante, accanto alle preoccupazioni in tema di salute, sicurezza e prevenzione, rimettere in moto nel tessuto sociale proprio una forte e profonda connessione alla cultura della solidarietà.
È importante perché stiamo vivendo di nuovo un periodo di angoscia e debolezza, segnato da tanti interrogativi e dove le paure si innestano sulle già provate fragilità. Proprio per questo abbiamo ancor più bisogno di riscoprire la dinamica della solidarietà, che non consiste solo nel fare qualcosa per gli altri, ma nel ripensare dentro sé stessi un nuovo modo di vedere e che deve incidere nella comunità: l’avvertire cioè che c’è urgenza di nuovi stili di vita individuali e di assumere, per la società, la prospettiva di una logica redistributiva.
Ed è proprio la cultura della solidarietà a restituirci queste consapevolezze, a renderci capaci di interrogarci su come non venire travolti dall’impulso a voler tornare a com’era prima. Invece, niente dovrà essere più come prima. Lo scossone che sentiamo arrivare dalle notizie sulla pandemia deve sì preoccuparci, ma deve pure mettere in moto un’intensità nuova, se volete anche spirituale e di preghiera, orientata a sentimenti di solidarietà, fraternità, vicinanza e sempre contrastando il virus dell’egoismo e dell’individualismo.