La solitudine è traversale e riguarda anziani e giovani perché ha a che fare con la società dell’individualismo e con la perdita di senso e obiettivi.
In Italia ormai più di un terzo della popolazione ha più di 65 anni e il nostro è il paese in Europa con il più alto tasso di over 65 rispetto alla fascia di età compresa tra i 15 e i 64 anni. Inoltre, nel 2018 l’Istat ha certificato che il 13 per cento della popolazione vive da solo, una percentuale che varia a seconda dell’età e che arriva al 16 per cento per chi ha tra i 55 e i 74 anni e addirittura al 38 per cento oltre i 75 anni. Spesso sono le donne a rimanere da sole in età molto avanzata, magari dopo aver accompagnato gli ultimi anni di vita del marito. Quelli della solitudine e dell’aumento della popolazione anziana sono nodi fondamentali per le nostre società, spesso sottovalutati.
La solitudine sembra uno dei prodotti della società dell’individualismo perché l’egoismo produce, tra gli altri effetti, anche un senso profondo di incapacità di relazioni e di legami. E a farne le spese sono coloro che, per questa società, non servono più, gli anziani appunto. La cosiddetta rete, non quella virtuale, ma tutto ciò che sta intorno a un soggetto e che dovrebbe essere il punto di partenza e il cardine di qualsiasi politica sociale, di innovazione e di welfare, ha bisogno di persone vere che si mettono insieme e condividono relazioni. In Casa della carità cerchiamo di sfidare continuamente la solitudine aprendo le porte agli anziani del quartiere, una zona di periferia dove l’anonimato e l’abbandono sono rischi concreti e presenti.
La solitudine tra l’altro è un minaccia che incombe su tutti, proprio perché la società dell’individualismo produce vuoti e scava dentro le coscienze. Riguarda dunque anche i giovani e richiama la mancanza di senso, di spinte, di obiettivi, laddove l’arrampicamento sociale continuo rimette in moto quella che si chiama povertà di significati e di valori.
La questione della solitudine chiede risposte che avvertano l’urgenza di politiche sociali che non siano il rimedio a situazioni individuali, ma siano interventi di ampio respiro rivolti alla costruzione di un’autentica coesione sociale, che riscopra il linguaggio del “noi”, che recuperi la fiducia verso l’altro, che costruisca ponti e non muri. Perché i muri creano solitudini mentre i ponti, anche se qualche volta apparentemente possono creare incertezze, in realtà sono strumenti che permettono ancora di sognare e di sperare.
[L’immagine di apertura è di engin akyurt su Unsplash]