Alle recenti europee hanno riscosso consenso forze politiche che sostegno il “Prima noi”. Le elezioni e “Prima gli ultimi” inducono una riflessione sulle radici dell’esperienza cristiana.
Lo scorso 27 maggio il Papa ha presentato il Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Francesco scrive: «Non si tratta solo di migranti: si tratta di mettere gli ultimi al primo posto. Gesù Cristo ci chiede di non cedere alla logica del mondo, che giustifica la prevaricazione sugli altri per il mio tornaconto personale o quello del mio gruppo: prima io e poi gli altri! Invece il vero motto del cristiano è “prima gli ultimi!”».
Alle recenti elezioni europee hanno riscosso maggior consenso forze politiche che invece mettono una categoria prima di altre. Non si vuole qui entrare nel merito del dibattito sull’esito elettorale né fare una battaglia di slogan. Le elezioni e “Prima gli ultimi” mi inducono una riflessione sulle radici dell’esperienza cristiana.
Il primo pensiero che mi viene in mente è la Lettera a Diogneto. Diogneto è un pagano e la Lettera a lui diretta si apre con alcune domande relative ai cristiani, al loro Dio e alla loro religione. Il testo illustra poi la condizione dei cristiani nel mondo con una serie di paradossi, e la paragona alla condizione dell’anima nel corpo: i cristiani sono rinchiusi nel mondo, ma non appartengono a esso; ne sono odiati, ma l’amano e sono loro che lo tengono insieme.
I cristiani, dunque, stanno nel mondo e vi portano dentro valori che non sono imprigionati negli schemi di natura politico-organizzativa. La religione, dunque, non è proclamazione di simboli astratti, ma è vissuta dentro la storia come esperienza irrinunciabile.
Ma quali sono questi valori e qual è il senso di questa esperienza? Il cristiano li ritrova nel Vangelo, a partire da Matteo 25. «Ho avuto fame, ho avuto sete, ero forestiero, ero nudo, ero malato, ero carcerato». Il dato fondamentale è la fraternità, siamo tutti figli di Dio. E se vi è una preferenza, questa è per gli ultimi, per i poveri, i deboli, gli indifesi, vale a dire chi ha fame, ha sete, era forestiero, nudo, malato, carcerato. È lì che Gesù ci invita a cercare il suo volto. Vi è dunque una dimensione evangelica che attraversa le motivazioni di carattere umanitario e che precede la politica.
Ci interroga che qualcuno dica “Prima noi” perché lì avvertiamo un disagio. Ma una richiesta di aiuto non deve mai essere un messaggio di esclusione per qualcun altro né trasformarsi in rivendicazione vertenziale ed egoistica. Le paure della gente, come ho sempre detto, sono legittime, comprensibili e vanno ascoltate. Ma la sicurezza è anzitutto un bisogno che va ricostruito con la cultura della solidarietà.
Alla Casa della carità accogliamo persone in stato di bisogno, senza preferenze, ma credendo nell’universalità. Andiamo avanti con sempre più convinzione nel sostenere l’idea di ospitalità condivisa e del senso di gratuità. Certamente, vi è l’urgenza di risposte concrete, ma prima che di servizi, la persona in difficoltà ha bisogno di una relazione positiva che la aiuti a ritrovare serenità interiore. È qui che ritroviamo le radici del nostro essere cristiani che viviamo con la mitezza che il Vangelo ci insegna.
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