Le disuguaglianze sono da contrastare con una nuova cultura fatta di economica civile, condivisione dei beni, rispetto di lavoro e ambiente, consumi critici.
Di recente sono stati diffusi dei dati che dimostrano, una volta di più, come la ricchezza globale sia concentrata nelle mani di pochissimi mentre miliardi di altre persone vivono in condizione di povertà. Proprio negli stessi giorni, il gruppo dei pochi ricchi e potenti della terra si ritrova a discutere a Davos dei problemi del mondo.
L’auspicio è che le loro riflessioni partano dalla drammaticità di quei numeri che riflettono le disuguaglianze e accolgano il rovesciamento di prospettiva che ancora una volta ci offre Papa Francesco. Il quale chiede fortemente di considerare i più deboli, gli “scarti” non in una logica di aiuto assistenziale, ma per porre una più ampia questione di giustizia, di dignità, di ridistribuzione, di uguaglianza.
Per farlo, è necessario ripensare profondamente i parametri coi quali il capitalismo ha prodotto e produce continuamente questi fenomeni di disuguaglianza. Quindi abbiamo bisogno non tanto di numeri, di slogan o di archetipi della vecchia politica, ma di scoprire un tessuto culturale che generi degli orientamenti nuovi, a partire dal linguaggio. Parliamo dunque di economia civile, comunione e condivisione di beni, lavoro dignitoso, consumi critici e consapevoli, rispetto dell’ambiente, dono e gratuità e iniziamo ad andare in questa direzione.
Occorre mettere in gioco nella dimensione pubblica dei valori, a partire da quello della fraternità. E qui serve la politica che non può più essere colei che costruisce le grandi promesse mancate, ma deve fare lo scatto di mettere in atto provvedimenti ispirati a un’etica nuova, slegata da questo neoliberismo che produce “scarti” umani e disuguaglianze.