Tra pochi giorni molte grandi città, tra cui Milano, andranno al voto per eleggere i nuovi sindaci.
L’altra sera ripensavo a quanto una mamma, con figlio disabile affetto da gravi problemi psichici, mi diceva. «Non ce la faccio più» era il suo grido d’aiuto, ma la sua era una sofferenza più per il senso di solitudine e abbandono vissuto che non per la sua condizione in sé.
Allora, a mio avviso, la scelta elettorale deve chiedere alla politica di intervenire trasformando continuamente queste esigenze di solidarietà e di attenzione in un patrimonio che cambi il volto delle città, a partire dalle sue priorità. Per fare questo c’è bisogno di una nuova visione della società e non solo di risposte frammentate.
Abbiamo bisogno di veder raccolta, ad esempio, la vitalità che sprigiona il terzo settore, che non può essere frenata dalle diatribe e dagli scontri. Occorre essere capaci di guardare in faccia la realtà e promuovere una sussidiarietà partecipata e non solo gestionale, che abbia la forza di generare cambiamenti.
Abbiamo bisogno di nuovi indicatori da portare dentro il linguaggio economico e farli diventare il metro per valutare i progetti da realizzare: le diseguaglianze, la povertà, le comunità territoriali, il senso dei legami sociali così come li richiama Papa Francesco nell’enciclica Fratelli Tutti.
Che si possa ancora sognare una città che riparta da tutto questo! La scadenza amministrativa sia l’occasione di un impegno concreto per la solidarietà che riguardi tutti, indipendentemente dall’arena elettorale, e che non sia solo dichiarato come una buona intenzione.