Come è vissuta l’affettività da chi vive una condizione di vulnerabilità come le persone ospiti della Casa? Ne parliamo con Vanessa Caputo, responsabile dei progetti sociali.
Le relazioni affettive sono una delle componenti fondamentali nella vita di ciascuna persona. Ma che cosa significa affettività per chi vive in situazioni di vulnerabilità, come quella sperimentata dalle persone ospiti della Casa della Carità?
Ne abbiamo parlato con Vanessa Caputo, responsabile dei “progetti sociali”: «Quello dell’affettività per le persone ospiti della Casa della Carità è un pezzo di bagaglio faticoso che le persone si portano qui. Molte di loro, infatti, arrivano alla Casa proprio perché hanno perso ogni tipo di legame affettivo, familiare o sociale. Penso per esempio a un uomo italiano, l’ultimo che abbiamo accolto, che, dopo un matrimonio e un’altra lunga relazione, con anche delle figlie, non ha più nessuno, sono tutti spariti. Anche le amicizie del passato, quelle in cui era più coinvolto emotivamente, gli hanno voltato le spalle. Quindi vive veramente un deserto di relazioni».
Ci sono poi i migranti, che magari sono partiti, a volte scappati, senza figli e compagni, pensando di ricongiungersi in un secondo momento. Ma il ricongiungimento – a meno che non godano dello status di rifugiato – è un percorso lungo e complesso, perché occorre dimostrare di avere requisiti stringenti come una casa di una certa metratura e un certo reddito. Le persone vivono quindi costantemente con il pensiero e la volontà di far arrivare qui i loro familiari.
Altre persone hanno un vissuto affettivo caratterizzato da separazioni traumatiche: «Penso ad esempio a una donna ospite che è scappata da una situazione di violenza terribile del marito, che aveva ucciso una delle figlie. Lei è fuggita in Italia con le altre due bambine, ma quando è arrivata qui ha avuto un esordio psicotico e le bambine sono state date in affidamento. Oppure a un ex ospite, che era sposato e lavorava, ma nel momento in cui si è ammalato gravemente la moglie lo ha lasciato solo con la figlia. Sono finiti a dormire su una panchina del Parco Trotter e la figlia è stata data in affidamento. Quando lei ha compiuto 18 anni ha espresso il desiderio di emanciparsi, mentre il padre un giorno ci ha detto di vederla ancora come una bambina e vorrebbe che potessero tornare a vivere insieme».
Dinamiche relazionali e affettive nella Casa della Carità
Oltre alle dinamiche affettive che le persone portano con sé, altre se ne sviluppano durante il periodo di accoglienza alla Casa della Carità: «Pur non essendo una circostanza felice, quando le persone arrivano qui hanno la possibilità di tirare un sospiro di sollievo e quindi, a volte, lasciano anche lo spazio per aprirsi a nuove relazioni», dice Vanessa.
Sono infatti tante le amicizie che nascono all’interno della Casa, perché le persone hanno un vissuto comune, come quello della strada, che le fa sentire unite; oppure perché si è della stessa nazionalità o ancora perché, se c’è una malattia, ci si prende cura gli uni degli altri. Essendo però tutte persone molto fragili, queste amicizie in tanti casi finiscono nel giro di poco tempo, perché nella convivenza c’è anche la fatica dello stare insieme: «Penso a queste due donne che condividono la stanza. All’inizio sembrava che tra loro ci fosse un idillio, ma siccome una delle due di notte non riesce a dormire a causa dell’altra, ora la non la può più vedere», dice Vanessa.
A complicare le cose c’è la difficoltà, magari quando c’è una fragilità mentale, di mettersi in relazione con gli altri e di fidarsi. O forse, ipotizza Vanessa, vedono negli altri la propria storia, il proprio fallimento ed evitano di avvicinarsi. E le cose, spiega ancora l’operatrice, sono molto cambiate da quando ci sono gli smartphone: «Le persone non socializzano più come prima, tendono a isolarsi, a starsene nel proprio letto a guardare le serie tv sul cellulare».
Alla Casa non mancano anche gli amori che nascono tra persone ospiti, anche se spesso sono legami molto fugaci, che si sgretolano in poco tempo quando uno dei due termina l’accoglienza e lascia la struttura: «Penso a una donna che ha avuto questa storia con un altro ospite, che è nata e finita qui nel momento in cui lui è andato via. Ma ci sono anche storie che funzionano, come quella nata tra altri due ospiti che ora andranno a vivere insieme», conclude Vanessa.