Abbiamo ritrovato alcuni racconti dei primi minori stranieri soli arrivati alla Casa, scritti in occasione della partecipazione alla Società di Lettura della Biblioteca del Confine.
Sono sempre più numerosi i minori stranieri soli che arrivano a Milano, ma il fenomeno non è nuovo. La Casa della Carità se ne occupa dal 2011, quando arrivarono in città decine di giovani, provenienti soprattutto dal nord Africa.
Abbiamo ritrovato alcuni racconti dei ragazzi arrivati alla Casa da soli in quei primi anni di accoglienza, scritti in occasione della partecipazione alla Società di Lettura della Biblioteca del Confine.
Romani
Mi chiamo Romani e ho 16 anni. Vivevo ad Abnud in Egitto con la mia famiglia: i miei genitori, tre fratelli e il mio cane. Non andavo a scuola, ma lavoravo con il martello.
Sono partito quando avevo 15 anni per aiutare la mia famiglia, in particolare per comprare i medicinali per curare mio padre. I miei genitori non volevano che io me ne andassi, ma alla fine mio padre ha pagato il viaggio.
Dalla mia città sono arrivato ad Alessandria in macchina e lì ho vissuto con i miei futuri compagni di viaggio. Dopo una traversata molto lunga sono arrivato a Licata, in Sicilia, dove un mio amico egiziano mi ha aiutato ad arrivare a Milano.
Sono partito in pullman e dopo un giorno e mezzo sono arrivato vicino alla stazione centrale. Qui ho dormito quattro notti per strada al freddo e mi sono chiesto perché ho lasciato il mio letto caldo per venire qui a stare male…
Dopo qualche notte al centro Sammartini sono stato portato a Genova, dove lavoravo dalle 6 di mattina alle 4 di pomeriggio nei campi insieme a ragazzi di tutte le età. Guadagnavo 5 euro alla settimana e non riuscivo ad aiutare la mia famiglia in Egitto. Solo chiamarli mi costava la paghetta.
Poi un giorno hanno portato tutti via tutti noi ragazzi e io sono tornato a Milano e sono stato accolto alla Casa della Carità. Adesso vivo con cinque ragazzi in un appartamento. Il mio più grande desiderio è iniziare la scuola per poi lavorare e aiutare la mia famiglia.
Mamadou
Mi chiamo Mamadou, ho 17 anni vengo da Velingara una città del Senegal. Lì studiavo, avevo tanti amici e vivevo con i miei genitori e con due sorelle e tre fratelli.
La vita non era facile e per questo ho deciso di partire per l’Italia. Sono partito nel 2014 da Dakar, dove viveva mio nonno, senza dire niente a nessuno dei miei familiari fino a quando sono arrivato in Niger.
In un mese sono andato in macchina insieme a un mio amico fino alla Libia passando da Mali e Burkina Faso. Sono rimasto a Tripoli sei mesi e se riuscivo lavoravo. Poi una sera sono partito con un gommone fino ad arrivare a Siracusa in Sicilia. Ho impiegato un giorno ad attraversare quel tratto di mare. Eravamo tutti ammassati ed è stato difficile.
In acque internazionali siamo saliti su un barcone tedesco che ci ha salvato e ci ha portato in Sicilia. Qui sono rimasto un mese in un centro di accoglienza, poi sono partito in pullman fino a Milano e sono arrivato a Lampugnano.
Sono rimasto prima in un centro di accoglienza vicino alla stazione e poi mi sono spostato alla comunità della Casa della Carità, che mi ha dato un appartamento dove vivo tuttora.
Sono arrivato a Milano per studiare e lavorare il mio sogno è quello di intraprendere il percorso socio sanitario.
Mina
Io mi chiamo Mina e ho 18 anni. Sono in Italia da poco meno di 3 anni e vengo dall’Egitto. Avevo 14 anni quando per la prima volta ho lasciato il mio villaggio Assiut per andare a lavorare ad Alessandria.
L’anno successivo sono andato al Cairo e da lì, di nascosto, sono tornato ad Alessandria con dei miei amici con l’intenzione di imbarcarmi per l’Italia. Arrivati ad Alessandria, siamo stati 3 giorni in una casa sulla spiaggia ad aspettare le barche in modo che la polizia non ci vedesse.
Il 6 giugno 2016 sono salito su un barcone che ho raggiunto percorrendo 50 metri a nuoto. È stata una brutta giornata in cui sentivo gli scafisti parlare continuamente con parolacce e insulti. Neppure il governo era dalla nostra parte e diceva che l’importante era la sicurezza del paese e se anche fossimo morti non ci sarebbe stato problema.
Dopo essermi imbarcato ho aspettato 4 giorni fermo in mare che arrivassero altri due gruppi di persone che come me volevano raggiungere l’Italia. A questo punto abbiamo viaggiato nel Mediterraneo per 16 giorni e infine siamo approdati a Trapani.
Durante il viaggio stavo male fisicamente per il freddo e per la nausea anche se mangiavamo solo un pezzetto di pane e poca acqua. Inoltre intorno a me vedevo che c’erano più persone cattive che buone e gli scafisti buttavano in mare chi alzava la voce o disturbava.
Arrivati a Trapani ci hanno preso tutti i documenti e ci hanno mandati nelle comunità. La mia era a Marsala ed era rivolta ai minori non accompagnati: io ci sono rimasto un mese. Qui mi annoiavo anche se c’erano vicino una piscina e una palestra, l’unica attività che facevo era andare in bicicletta.
Grazie all’aiuto di un mio amico tunisino che mi ha dato i suoi documenti ho potuto comprare il biglietto del pullman che mi ha portato a Milano. Qui sono stato accolto prima in un campo per migranti poi finalmente alla Casa della Carità. Grazie al lavoro dei suoi operatori ho iniziato ad andare a scuola, a vivere con altri giovani e a ricominciare una vita da ragazzo della mia età.
Ho imparato in poco tempo l’italiano e oggi sto studiando per diventare meccanico industriale. Inoltre adesso sono stato affidato a una famiglia che abita a Villapizzone. Con impegno e fatica sono riuscito ad essere davvero felice!