Tania è un’ospite ucraina della Casa della Carità. Non appena ha saputo dell’arrivo dei profughi in fuga dalla guerra, si è offerta come mediatrice.
Frenetiche. È l’aggettivo che meglio descrive queste prime giornate di accoglienza dei profughi in arrivo dall’Ucraina.
Ci sono i nuclei da accogliere, ci sono da organizzare gli spazi e la distribuzione dei pasti, c’è da affrontare la burocrazia per richiedere il permesso di soggiorno.
Ma nessuno degli ospiti parla italiano e a differenza di altre accoglienze, non c’è nemmeno una lingua ponte che possa essere d’aiuto per capirsi reciprocamente. A dare allora un contributo fondamentale sono due donne ucraine, Tania e Cristina, che non appena hanno saputo dell’arrivo dei profughi si sono offerte come mediatrici.
Tania, da ospite a mediatrice
E una di loro, Tania, ha una storia particolare, perché lei stessa è ospite della Casa della Carità e ora è in prima linea nell’accoglienza.
Scambiamo due parole con lei in un momento di relativa tranquillità e ci racconta di essere arrivata in Italia nel 2008 dalla città ucraina di Leopoli.
Alla Casa invece, con il marito e 3 dei 4 figli, è stata accolta nel 2016. «Avevamo avuto problemi economici e non riuscivamo più a pagare l’affitto. Per questo siamo stati sfrattati. Abbiamo vissuto qualche tempo nel centro di emergenza sociale di via Barzaghi, ma poi lì c’è stato un incendio e quindi siamo stati trasferiti alla Casa della Carità. E qui è nato il mio ultimo figlio».
I figli e le figlie di Tania hanno tra i 4 e i 9 anni e quando loro sono a scuola, lei lavora saltuariamente nelle pulizie o come badante: «Con 4 bambini non è facile e poi con il Covid faccio sempre più fatica a trovare lavoro», dice.
Ma ora tutto il tempo che non è dedicato alla famiglia, lo trascorre nel centro dove Casa della Carità e CeAS – Centro Ambrosiano di Solidarietà hanno allestito l’accoglienza.
La gioia di aiutare
Esserci e aiutare i suoi connazionali in fuga dalla guerra è motivo di gioia e orgoglio per Tania.
Glielo si legge negli occhi azzurrissimi, che fanno capolino sopra la mascherina e diventano un po’ lucidi quando racconta che anche lei, come tutte le donne ospitate dal progetto di accoglienza, ha dei parenti che sono rimasti in Ucraina. «Una zia e due cugini. Uno di loro è già morto durante i combattimenti, l’altro purtroppo lo sento poco, perché non sempre riesce a ricaricare il telefono».
[Nell’immagine di apertura Tania, a destra, traduce le indicazioni degli operatori per gli ospiti]