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L’acqua nella Bibbia e nella tradizione ebraica – di Elena Lea Bartolini De Angeli

L’acqua nella Bibbia e nella tradizione ebraica – di Elena Lea Bartolini De Angeli

Elena Lea Bartolini De Angeli è docente di Giudaismo ed Ermeneutica ebraica.

Come la gazzella del deserto desidera intensamente i ruscelli d’acqua, così tutto il mio essere desidera intensamente Te o Dio (Sal 42,2).

Le parole di questo Salmo descrivono con grande efficacia il valore dell’acqua per la cultura biblica fortemente legata alla vita nomade mediorientale: la gazzella del deserto cerca di dissetarsi presso i wadi, i corsi d’acqua, che in questo luogo arido per l’estrema rarità di precipitazioni appaiono spesso come alvei quasi interamente asciutti e attivi solo dopo le piogge, una ricerca quindi faticosa ma necessaria alla sopravvivenza, in quanto l’acqua è per tutti gli esseri viventi fonte vita.

L’uomo biblico conosce bene quanto sia preziosa l’acqua e quanto la sua mancanza possa essere causa di morte: per questo molte narrazioni ne sottolineano l’importanza e diversi degli interventi miracolosi da parte di Dio riguardano il suo dono prezioso in momenti particolarmente difficili. Pensiamo alla sorgente che salva Hagar e Jismaele dalla morte (cf. Gen 21,14-21) o ai miracoli dell’acqua durante l’Esodo (cf. Es 15,25-27; 17,6).

Non a caso quindi il termine ebraico berakhah, “benedizione”, se vocalizzato berekhah indica un bacino d’acqua, una cisterna o una piscina, sottolineando pertanto il legame fra l’acqua e l’azione benedicente da parte di Dio o degli uomini.

L’acqua sostanza originaria sopra cui si libra lo spirito divino

Inoltre la lingua ebraica designa questo prezioso elemento naturale come majim, una parola che non ha la forma singolare ma solo quella plurale per sottolineare il suo essere un dono divino indispensabile per l’esistenza e la sussistenza del creato. Ma non si tratta solo di un termine plurale: majim è un plurale con desinenza duale, rimanda quindi ad una duplicità che può essere spiegata a vari livelli: innanzitutto cosmogonico, in quanto secondo gli antichi tutta la terra era circondata dall’acqua, sotto e sopra.

C’è però un altro aspetto interessante dal punto di vista biblico che comprende il significato dell’acqua sia in relazione alla vita che come elemento naturale collegato allo Spirito di Dio che crea il mondo e l’umanità.

Nel primo capitolo della Genesi l’acqua costituisce infatti la sostanza originaria sopra la quale si libra lo spirito divino: “La terra era informe e deserta e l’oscurità ricopriva l’abisso, mentre lo Spirito di Dio si librava sulla superficie dell’acqua” (Gen 1,2). Al di là della descrizione cosmogonica tipica del Vicino Oriente antico, è significativo il fatto che “lo Spirito di Dio” si libri, aleggi, sopra l’acqua e non sopra uno degli altri elementi originari menzionati.

Se prendiamo poi in considerazione il secondo racconto della Genesi – che dal punto di vista redazionale è più antico rispetto al primo – troviamo di nuovo che la funzione dell’acqua è centrale: finché il Signore non fa piovere e non crea un sistema di irrigazione la terra non può produrre nulla (cf. Gen 2,5-6); ed è solo dopo aver dato alla terra l’acqua che Egli può plasmare il primo uomo, lo ’adam, con polvere di terra, di ’adamah, quindi di terra irrigata e umida; e solo a questo punto il racconto dice che: insufflò nelle sue narici un alito di vita, e lo ’adam divenne un essere/respiro vivente (Gen 2,7). L’originale ebraico del testo biblico utilizza lo stesso termine, nefesh, sia per designare lo ’adam divenuto nefesh chajiah, “essere vivente”, cioè unità inscindibile di corpo e spirito, che per descrivere “tutto l’essere” della persona che anela a Dio come menzionato nel Salmo 42: tutto il mio essere (nafshi) desidera intensamente Te o Dio.

Il secondo capitolo capito della Genesi descrive inoltre un fiume che uscendo da Eden, Oriente, irriga il giardino piantato dal Signore per poi dividersi in quattro altri fiumi che vanno ad irrigare tutta la terra anticamente conosciuta (cf. Gen 2,10-14). L’immagine che ne deriva è quella di un collegamento fra l’acqua terrestre e celeste: dal giardino di Dio alla terra irrigata dai fiumi e al mare, e che sviluppa una dinamica circolare in rapporto all’evaporazione e alle piogge. Per questo l’acqua non solo disseta e fa vivere, ma diventa un elemento capace di collegare il mondo degli uomini a quello di Dio e del Suo Spirito.

In rapporto a questo la tradizione ebraica riconosce all’acqua sorgiva o piovana una capacità rigenerativa che segna il passaggio da uno stato all’altro: quando ci si trova in particolari situazioni come il termine dell’emorragia mestruale o da parto, o quando si lascia il celibato per il matrimonio, o quando comunque si vuole sottolineare un cambiamento, ci si immerge nel miqweh, il bagno rituale che deve essere alimentato da una percentuale di acqua sorgiva o piovana; l’immersione deve essere completa trattenendo il fiato, quindi sospendendo per un attimo il respiro vitale. Tale gesto assume pertanto il significato di rigenerazione e rinascita all’interno di quell’elemento naturale che collega terra e Cielo richiamando il liquido amniotico materno, lo stesso elemento sul quale all’origine della creazione si librava lo Spirito di Dio.

“L’acqua che sta là”

La lingua ebraica inoltre esprime un profondo significato simbolico anche nel modo con cui designa il cielo usando l’espressione shamajim, che comprende il termine majim (acqua) con la sua desinenza plurale e duale. Letteralmente tale espressione può essere compresa come l’unione dei termini sham (là) e majim (acqua), e quindi: “l’acqua che sta là”, in cielo, ma dal punto di vista religioso sottolinea il legame fra Cielo e terra sopradescritto che è l’elemento naturale capace di veicolare lo Spirito divino.

Per questo nella letteratura rabbinica lo studio della Torah, l’insegnamento divino rivelato al Sinai, è paragonato alla vitalità dell’acqua: è importante studiarla almeno una volta ogni tre giorni, lo stesso intervallo di tempo oltre quale non si può vivere senza abbeverarsi.

Il Maharal di Praga, famoso rabbino e studioso del XVI secolo, fa invece notare che l’acqua rappresenta la materia senza forma in quanto prende quella del contenitore in cui la si versa: per questo può diventare fonte di vita o di morte a seconda dal contesto in cui viene utilizzata e in base alle intenzioni dall’utilizzatore. Un richiamo quindi all’uso responsabile dei beni naturali guardando al futuro: cioè a come e in che stato consegneremo il mondo creato affidatoci da Dio e le sue risorse a chi verrà dopo di noi.

[L’immagine di apertura è di Simona Sambati]


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